A cura di M.N. Bettini con la collaborazione di: Flavia Durval e Daria Pietrocarlo
Carichi di famiglia. Il datore di lavoro deve tenere conto del criterio dei carichi di famiglia cui fa riferimento l’art. 5, L. n. 223/1991 anche quando, in assenza di comunicazioni da parte del lavoratore, sia comunque a conoscenza della sua condizione familiare e della presenza di persone a suo carico sulla base di circostanze ufficiali, posto che la disposizione è finalizzata ad individuare i dipendenti da licenziare tra quelli meno deboli socialmente, avuto riguardo alla situazione economica effettiva (Cass. 2 agosto 2018, n. 20464, annotata in questo sito da D. PIETROCARLO, Licenziamenti collettivi e carichi di famiglia. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata (App. Milano 25 marzo 2016), che aveva ritenuto sussistente l’obbligo datoriale di considerare i carichi di famiglia rispetto ad una lavoratrice che aveva in precedenza usufruito dei periodi di astensione obbligatoria in occasione della nascita dei figli).
La Cassazione (16 ottobre 2017, n. 24352) ha peraltro precisato che, qualora nella comunicazione preventiva al sindacato (art. 4, co. 9, L. cit.) l’impresa indichi un unico criterio per l’individuazione dei lavoratori in esubero, è necessario, “al fine di permettere l’esauriente e univoca selezione dei predetti senza margini di discrezionalità”, che il datore di lavoro specifichi “le modalità di attuazione di tale criterio tra i dipendenti in servizio e, quindi, in comparazione tra loro, con apposita interlocuzione con le parti sociali”. Pertanto, l’adozione del criterio unico dei carichi di famiglia, indicando la soppressione della specifica posizione lavorativa cui era addetto il prestatore licenziato, senza motivare la preferenza di tale criterio rispetto a quello dell’anzianità e delle esigenze di servizio, “non consente di individuare in via oggettiva e predeterminata, il lavoratore da sospendere”, sicché la scelta operata dal datore di lavoro si risolve in una valutazione di carattere prettamente discrezionale.
Lavoratrice madre e percentuale del lavoro femminile. Il licenziamento collettivo della lavoratrice madre è consentito solo in caso di cessazione dell’attività dell’azienda (ai sensi dell’art. 54, co. 4, D.LGS n. 151/2001, come integrato dall’art. 4, co. 2, D.LGS. n. 115/2003) (per l’ammissibilità di tale recesso anche se non vi è chiusura dell’intera azienda, v. CGUE 22 febbraio 2018, C-103/16, ADL, 2018, 1139, con nota di C. GAROFALO, Il licenziamento collettivo e la lavoratrice madre al vaglio della corte di giustizia dell’Unione Europea ( 1147) e RIDL, 2018, II, 912, con nota di C. PAREO, Il licenziamento collettivo può costituire un’eccezione al divieto di licenziamento della lavoratrice madre?, nonché annotata in questo sito da F. IACOBONE, Licenziamento collettivo e lavoratrice in gravidanza).
Nell’operare la scelta dei lavoratori da licenziare, inoltre, l’impresa “non può licenziare una percentuale di manodopera femminile superiore alla percentuale di manodopera femminile occupata con riguardo alle mansioni prese in considerazione”. Pertanto deve essere salvaguardata la proporzione della manodopera femminile occupata nelle mansioni considerate in esubero (art. 5, co. 2, L. n. 223/1991) essendo espressamente vietata ogni discriminazione per sesso, diretta e indiretta (v. art. 8, co. 2, L. n. 236/1993).
Con riguardo ai soggetti disabili, la quota di legge va rispettata anche nell’ipotesi di riduzione di personale (art. 5, co. 2, L. cit). In base all’art. 10, co. 4, L. n. 68/1999, infatti: “Il recesso di cui all’articolo 4, comma 9, della legge 23 luglio 1991, n. 223, ovvero il licenziamento per riduzione di personale o per giustificato motivo oggettivo, esercitato nei confronti del lavoratore occupato obbligatoriamente, sono annullabili qualora, nel momento della cessazione del rapporto, il numero dei rimanenti lavoratori occupati obbligatoriamente sia inferiore alla quota di riserva prevista all’articolo 3 della presente legge” (Trib. Campobasso 10 gennaio 2018, n. 3 e n. 4, in questo sito, con nota di F. ALBINIANO, Licenziamento collettivo e criteri di scelta dei lavoratori).