A cura di M.N. Bettini con la collaborazione di: Fabio Iacobone e Alfonso Tagliamonte
Vicinanza alla pensione. Nel licenziamento collettivo, il criterio di scelta dei lavoratori in esubero, basato sul possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità o di vecchiaia, non rappresenta un mezzo indiretto di discriminazione fondato sull’età. Al contrario, esso deve ritenersi “del tutto giustificato ai sensi delle previsioni della Direttiva 2000/78/CE e delle disposizioni (artt. 3 e 4) del D.LGS. n. 216/2003, con cui la stessa è stata recepita nell’ordinamento nazionale” (Cass. 12 dicembre 2017, n. 29750, annotata in questo sito da G. ROSSINI, Licenziamenti collettivi e requisito di accesso alla pensione di anzianità o di vecchiaia). In particolare, “ove il criterio di scelta adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro ed OO.SS. sia unico e riguardi la possibilità di accedere al prepensionamento, tale criterio sarà applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, restando perciò irrilevanti i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura” (così, Cass. 7 novembre 2016, n. 22543).
Il ricorso al criterio di scelta della prossimità al pensionamento è dunque legittimo purché “consenta di selezionare, con modalità oggettive, il personale che dal licenziamento subisce un danno minore”, in quanto può sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione (così App. Torino 15 maggio 2017, ADL, 2018, 561, con nota di P. TOSI e E. PUCCETTI, I criteri di scelta convenzionali nel contrasto tra le corti; con riferimento al settore del credito, il criterio di scelta (di cui all’art. 8, co.1, DM. n. 158/2000) del raggiungimento dei requisiti del diritto a pensione (o della prossimità di tale diritto), senza distinzione fra pensione di anzianità e di vecchiaia, ha riguardo alla complessiva anzianità contributiva (art. 5, c. 4, DM. cit.), rilevabile da apposita certificazione e “da calcolarsi tenuto conto, non solo dei contributi riconducibili al servizio prestato presso il datore di lavoro recedente, ma anche di quelli relativi a precedenti attività lavorative benché versati presso le gestioni speciali dei lavoratori autonomi, essendo l’eventuale mancata ricongiunzione ascrivibile al lavoratore” (così, Cass. 26 giugno 2017, n. 15860).
La giurisprudenza ha da tempo sottolineato la legittimità, quale criterio di scelta, della prossimità alla pensione (Corte Cost. 30 giugno 1994, n. 268, DL, 1994, II, 160, con nota di M. N. BETTINI, Accordi sindacali sui criteri di scelta dei lavoratori in mobilità; MGL, 1994, 473, con nota di G. MANNACIO, Legittimità costituzionale della normativa sui contrati collettivi che individuano i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità; Cass. S.U. 15 ottobre 2002, n. 14616, MGL, 2002, 868 – con nota di I. INGLESE, Sull’applicazione della l. n. 223/1991 al personale delle Ferrovie dello Stato – secondo cui la pattuizione di questo criterio non sana i vizi della procedura riguardanti l’omessa comunicazione dei motivi dell’eccedenza e delle posizioni in esubero; Cass. 22 settembre 2014, n. 19900, per la quale la scelta deve cadere prima sui lavoratori consenzienti all’esodo e poi sugli altri), trattandosi di un criterio oggettivo che permette di scegliere, a parità di condizioni, il lavoratore che subisce il danno minore dal licenziamento, potendo sostituire il reddito da lavoro con il reddito da pensione (Cass. 20 febbraio 2013, n. 4186).
Per quanto concerne il licenziamento collettivo in cui il ridimensionamento dell’organico sia finalizzato a diminuire il costo del lavoro, qualora il criterio della scelta dei lavoratori da licenziare in possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione, è sufficiente che il datore di lavoro indichi il numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso per i profili professionali previsti, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza (Cass. 5 febbraio 2018, n. 2694, annotata in questo sito da F. DURVAL, Procedura sindacale nei licenziamenti collettivi: comunicazione, motivi e criteri; e Cass. 30 settembre 2015, n. 19457, RIDL, 2016, II, 21, annotata da V. DEL GAISO, Brevi note sul licenziamento collettivo finalizzato alla riduzione del costo del lavoro).
Sicché, nell’ipotesi di licenziamenti collettivi diretti a ridurre i costi della manodopera, “il criterio di scelta unico della possibilità di accedere al prepensionamento, adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali, è applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, senza che rilevino i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura” (Cass. 8 ottobre 2018, n. 24755, annotata in questo sito da A. TAGLIAMONTE, Licenziamenti collettivi e prossimità alla pensione).
Nell’ottica di diminuire i costi sono altresì ritenuti legittimi i criteri “diversi” ma oggettivi – come il maggior costo della retribuzione, il minore rendimento lavorativo e le condizioni economiche complessive di ciascun lavoratore – applicati dall’impresa ai fini della scelta del lavoratore da licenziare. Per cui è stata considerata legittima la scelta del datore di lavoro che aveva intimato il licenziamento in conseguenza di una riorganizzazione dell’azienda per calo di fatturato, coinvolgendo lavoratori (tre) con mansioni fungibili e che aveva licenziato il dipendente che comportava maggiori costi e che percepiva altri redditi, oltre ad essere quello con il minor rendimento lavorativo (poiché non aveva percepito il premio erogato ai dipendenti che avevano dimostrato maggiore impegno e professionalità) (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25192, LG, 2017, 253, con nota di C. GAROFALO, Ragionando ancora di criteri di scelta nel licenziamento per g.m.o., 253; conforme, Cass. n. 24755/2018).
Il requisito della possibilità di accedere al prepensionamento (ovverosia la maggiore vicinanza alla pensione), individuato quale criterio unico di selezione per scegliere i lavoratori in esubero ed adottato nell’accordo sindacale tra datore di lavoro e organizzazioni sindacali, è applicabile a tutti i dipendenti dell’impresa a prescindere dal settore al quale gli stessi siano assegnati, senza che rilevino i settori aziendali di manifestazione della crisi cui il datore di lavoro ha fatto riferimento nella comunicazione di avvio della procedura” (Cass. 7 dicembre 2018, n. 31755 e Cass. 24 ottobre 2016, n. 21374).
Tuttavia, qualora si renda necessario il mantenimento in servizio di alcuni lavoratori pensionabili rispetto ad altri (perché il numero dei lavoratori con i requisiti è superiore ai licenziamenti previsti), il datore di lavoro non è esonerato dal fornire «puntuale indicazione delle modalità con le quali tale unico criterio è stato applicato in modo differenziato con il licenziamento di alcuni e il mantenimento in servizio di altri, tutti egualmente pensionabili» (Cass. 11 dicembre 2015, n. 25048). Occorrerà allora provare non solo che i dipendenti licenziati hanno i requisiti previsti dal criterio di scelta concordato, ma anche che sono stati correttamente selezionati nell’ambito di una platea più vasta, secondo criteri obiettivi e verificabili che escludano una valutazione meramente discrezionale. Tali criteri, in presenza di personale che svolga mansioni fungibili, saranno quelli legali di cui all’art. 5 L. n. 223/1991, relativi a carichi di famiglia, anzianità di servizio ed esigenze tecnico-produttive e organizzative. (v. anche Cass. 30 marzo 2018, n. 7986, che ha ritenuto legittima la norma collettiva transitoria che preveda la possibilità di posticipare la data di risoluzione del rapporto di lavoratori aventi diritto alla pensione per un numero marginale di posizioni con contenuti specialistici (nella fattispecie, le parti sociali avevano programmato un piano di esodo volontario rivolto ad una vasta platea di dipendenti in possesso dei requisiti per conseguire il trattamento pensionistico, stabilendo altresì che laddove il numero di adesioni all’esodo incentivato fosse stato inferiore a quanto previsto, si sarebbe proceduto ai licenziamenti collettivi dei lavoratori comunque in possesso dei suddetti requisiti pensionistici o che li avessero maturati entro il 31 dicembre 2015. Secondo la Corte, la norma transitoria non aveva influito sul criterio della pensionabilità, poiché erano stati licenziati, come da accordo sindacale, solo i lavoratori che alla data indicata dagli accordi applicati nell’ambito della procedura di mobilità avevano maturato i requisiti pensionistici e non avevano aderito alla proposta di esodo incentivato. In particolare, non si era verificata una violazione dei criteri di scelta stabiliti dall’art. 5 L. cit. in quanto la comparazione fra i lavoratori formalmente licenziabili non era né determinata da criteri astrattamente oggettivi e verificabili, ma in concreto malamente applicati, né viziata dall’adozione di criteri generici, non verificabili e comunque delegati alla mera discrezione del datore di lavoro, oppure sia avvenuta alla stregua).