È irrilevante, ai fini della legittimità del recesso, che la posizione lavorativa venga ripristinata pochi mesi dopo la sua soppressione.
Nota a Cass. 18 febbraio 2019, n. 4672
Francesco Belmonte
L’arco temporale di 7 mesi, intercorrente tra la soppressione e il ripristino della posizione detenuta dal lavoratore licenziato, è inidoneo ad inficiare la validità del licenziamento.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione (18 febbraio 2019, n. 4672) in una fattispecie riguardante il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di una lavoratrice – ingegnere elettronico specializzato in sistemi di misurazione, responsabile dell’ufficio “Compliance” della subsidiary italiana di una multinazionale giapponese, svolgente la procedura di controllo denominata “STC” – giustificato dalla soppressione della posizione lavorativa ricoperta, dovuta all’abrogazione di una normativa giapponese in materia di controlli che aveva reso l’attività svolta non più richiesta.
In particolare, la modifica normativa aveva determinato la “cessazione dell’Ufficio Compliance e l’attrazione della gestione del sistema qualità presso altra sede Europea della Compagine nipponica e l’assegnazione ad una impresa esterna della gestione della sicurezza sul luogo di lavoro, con una forte contrazione delle procedure di controllo STC e chiusura del relativo ufficio”.
Quanto all’assolvimento dell’obbligo di repêchage da parte dell’azienda, per la Cassazione i Giudici di merito hanno correttamente ritenuto assolto l’onere di una diversa collocabilità della dipendente espulsa, nonostante la società datrice avesse assunto (con qualifica di impiegato e con contratto a termine), in seguito alle dimissioni di un altro impiegato, una nuova lavoratrice 7 mesi dopo il licenziamento de quo.
In materia, la Cassazione ha poi ribadito che “ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, seppure l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, è piuttosto sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa. È dunque in sostanza sufficiente, per la legittimità del recesso, che le addotte ragioni … causalmente determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost.” (V., tra le tante, Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201, ADL, 2017, 317, con nota di A. VALLEBONA, Legittimità del licenziamento diretto ad incrementare il profitto; e, ivi, 318, con nota di G. SANTORO PASSARELLI, Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo: dalla ragione economica alla ragione organizzativa; e Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882, in questo sito, con nota di A. LARDARO, I requisiti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; Cass. 3 maggio 2017, n. 10699, GLav, 2017, 24, 37).