L’impiegato non è tenuto ad attivarsi per far cessare lo stato di sospensione cautelare, comunicando l’esito della sentenza penale.
Nota a Cass. 19 marzo 2019, n. 7657
Flavia Durval
La legge non pone a carico del dipendente sottoposto a processo penale e sospeso dal servizio un obbligo di collaborazione e un dovere di comunicare la propria assoluzione.
Il principio è espresso dalla Corte di Cassazione (19 marzo 2019, n. 7657), la quale (cassando la sentenza di merito) chiarisce alcune caratteristiche fondamentali della sospensione cautelare facoltativa della PA nei confronti di un dipendente.
Tale sospensione è una misura cautelare e interinale che costituisce espressione del generale potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro e trova fondamento costituzionale, quanto all’impiego privato, nell’art. 41 Cost. e, in relazione all’impiego pubblico, nell’art. 97 Cost., in quanto finalizzato a garantire, in pendenza del procedimento penale, la corretta gestione dell’impresa o l’efficienza e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione.
L’estromissione temporanea dall’azienda o dall’ufficio del dipendente sottoposto a procedimento penale:
a) è finalizzata a impedire che, in pendenza di procedimento penale, la permanenza in servizio del lavoratore inquisito possa pregiudicare l’immagine e il prestigio dell’amministrazione di appartenenza, la quale, perciò, deve valutare se nel caso concreto la gravità delle condotte per le quali si procede giustifichi l’immediato allontanamento dell’impiegato;
b) ha carattere di “provvisorietà e rivedibilità, nel senso che solo al termine e secondo l’esito del procedimento disciplinare si potrà stabilire se la sospensione preventiva applicata resti giustificata e debba sfociare nella destituzione o nella retrocessione, ovvero debba venire caducata a tutti gli effetti” (Corte Cost. 6 febbraio 1973, n. 168; Cass. n. 20708/2018; n. 10137/2018, in questo sito, con nota di P. PIZZUTI, Sospensione cautelare nel pubblico impiego, corresponsione degli assegni non percepiti e dimissioni e Cass. n. 18849/2017, in questo sito, con nota di G. I. VIGLIOTTI, Il collocamento a riposo del dipendente pubblico non estingue il potere disciplinare);
c) impone alle amministrazioni, in vista della tempestiva riattivazione del procedimento disciplinare, all’esito della definizione di quello penale, di non restare inerti e di adottare sollecitamente tutte le iniziative necessarie a consentire una tempestiva ripresa del procedimento. “Né il legislatore nei diversi interventi normativi né, tanto meno, le parti collettive hanno mai previsto a carico del dipendente sottoposto a processo penale e sospeso dal servizio, un obbligo di collaborazione e un dovere di comunicazione delle sentenze penali, a prescindere dalla natura e dal contenuto di dette decisioni”.
La normativa sul punto (D.P.R. n. 3/1957, art. 97, L. n. 97/2001, dall’art. 55 ter, D.LGS. n. 165/2001, inserito dal D.LGS. n. 150/2009 e recentemente modificato dal D.LGS. n. 75/ 2017), al fine di consentire alle Pubbliche Amministrazioni di avere tempestiva notizia dei processi penali avviati a carico di dipendenti pubblici e del loro esito, prevede solo precisi oneri di comunicazione a carico del Pubblico Ministero (art. 129 disp. att. c.p.p.) e della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento (art. 154 ter disp. att. c.p.p.).
La facoltà dell’impiegato di attivarsi per far cessare lo stato di sospensione non può essere trasformata in un obbligo o in un onere “di sollecitare l’apertura o la prosecuzione del procedimento stesso che potrebbe risolversi in senso a lui sfavorevole. Non sarebbe difatti ragionevole che, per far cessare una situazione di incertezza che il legislatore ha ancorato al trascorrere di un termine congruo, si debba accollare, a colui che ha un interesse addirittura contrapposto all’esercizio del potere disciplinare, l’onere di sollecitarlo, tenuto conto che l’ordinamento, per esigenze di certezza del tutto analoghe, già conosce ipotesi, come quelle attinenti alla prescrizione di reati, nelle quali l’estinzione del potere punitivo in relazione al mero trascorrere del tempo non è subordinata ad alcun onere da parte del soggetto che ne beneficia, né, tanto meno, alla conoscibilità del fatto illecito” (Corte Cost. n. 264/1990);
d) pone a carico del datore di lavoro l’alea dell’accertamento relativo alle ragioni che hanno giustificato la sospensione (Corte Cost. n. 168/1973), poiché la scelta del datore di lavoro di sospendere il rapporto potrà essere giustificata solo se tale procedimento si concluda validamente con una sanzione di carattere espulsivo (infatti, l’eventuale condanna penale, intervenuta nei confronti dell’impiegato, “non è suscettibile di tenere ferma la sospensione cautelare dal servizio, disposta in corso di procedimento penale e stabilita dall’amministrazione in via discrezionale, non potendosi ammettere una conversione della misura in una sanzione di identico contenuto” (Cons. Stato Ad. Plen. 28 febbraio 2002, n. 2);
e) comporta il diritto alla restitutio in integrum nei casi di: 1) annullamento della sanzione inflitta (Cass. n. 26287/2013); 2) mancata conclusione del procedimento disciplinare a causa del decesso del dipendente (Cass. n. 13160/2015); 3) irrogazione di una sanzione meno afflittiva rispetto alla sospensione cautelare sofferta (Cass. nn. 9304/2017e 5147/2013); 4) omessa riattivazione del procedimento in seguito alle dimissioni (Cass. n. 20708/2018, cit.) o del pensionamento (Cass. n. 18849/2017, cit.).
Tale restitutio ha natura retributiva e non risarcitoria poiché la misura cautelare, per il suo carattere unilaterale, non fa venir meno l’obbligazione retributiva che è solo in tutto o in parte sospesa ed è sottoposta alla condizione dell’accertamento della responsabilità disciplinare del dipendente.
Solo se il procedimento nei confronti del dipendente si conclude sfavorevolmente, con la sanzione del licenziamento, il diritto alla retribuzione viene definitivamente meno, in quanto “gli effetti della sanzione retroagiscono al momento dell’adozione della misura cautelare; viceversa qualora la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura tale da non giustificare la sospensione sofferta, il rapporto riprende il suo corso dal momento in cui è stato sospeso, con obbligo per il datore di lavoro di corrispondere le retribuzioni arretrate, dalle quali dovranno essere detratte solo quelle relative al periodo di privazione della libertà personale perché in tal caso, anche in assenza dell’atto datoriale, il dipendente non sarebbe stato in grado di rendere la prestazione”.