Valido il licenziamento intimato e perfezionato quando la lavoratrice non si trovava oggettivamente nello stato di gravidanza.
Nota a Cass. 3 aprile 2019, n. 9268
Maria Novella Bettini
Il licenziamento intimato durante lo stato di gravidanza rientra nel divieto posto dall’art. 54, co. 2, D.LGS. n. 151/2001 che ne sancisce la nullità, mentre la gravidanza intervenuta nel corso del periodo di preavviso “lavorato”, come nel caso di specie, è attratta nella disciplina dell’art. 2110 c.c. e comporta gli effetti sospensivi previsti da tale norma.
Quindi, lo stato di gravidanza, insorto durante il periodo di preavviso, non è causa di nullità del licenziamento (ai sensi dell’art. 54 cit.), ma costituisce evento idoneo, ex art. 2110 c.c., a determinare la sospensione del periodo di preavviso.
Il principio è precisato dalla Corte di Cassazione (3 aprile 2019, n. 9268), la quale chiarisce che:
a) il licenziamento, quale negozio unilaterale recettizio, “si perfeziona nel momento in cui la manifestazione di volontà del datore di lavoro recedente giunge a conoscenza del lavoratore”. Invece, l’efficacia del licenziamento, ossia la produzione dell’effetto tipico, consistente nella risoluzione del rapporto di lavoro, è differita al momento successivo costituito dalla fine del periodo di preavviso (v. anche Cass. n. 6845/2014 e n. 18911/2006);
b) pertanto, la verifica delle condizioni che legittimano il recesso va compiuta con riferimento al momento in cui detto negozio unilaterale si è perfezionato e non già, qualora il licenziamento sia stato intimato con preavviso, con riguardo al successivo momento della scadenza del preavviso stesso (Cass. n. 15495/2008). Così, ad es., il termine di decadenza di sessanta giorni, di cui all’art. 6 della legge n. 604 del 1966, decorre dalla comunicazione del licenziamento e non già dalla data di effettiva cessazione del rapporto (Cass. n. 6845/2014). Ancora, le norme che disciplinano la materia in modo innovativo sono irrilevanti laddove siano entrate in vigore dopo il suddetto momento di perfezionamento del recesso e durante il periodo di preavviso (Cass. n. 874/1999);
c) va perciò esclusa la nullità del licenziamento, ai sensi dell’art. 54, D.LGS. n. 151/2001, se, al momento in cui lo stesso è stato intimato e si è perfezionato, la lavoratrice non si trovava oggettivamente in stato di gravidanza; mentre, per converso, in base alla formulazione letterale dell’art. 54, cit., co. 5, è nullo il licenziamento per violazione del relativo divieto con riferimento al momento in cui lo stesso è “intimato” (dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro nonché fino al compimento di un anno di età del bambino) e non al momento di produzione degli effetti.
Diverso è invece il problema della sospensione di efficacia del licenziamento (ritualmente comunicato e perfezionato), con riguardo agli eventi (malattia, infortunio, gravidanza e puerperio), di cui all’art. 2110 c.c., che “rilevano non ai fini della nullità o illegittimità del recesso bensì, unicamente, per stabilire la decorrenza dell’effetto di risoluzione del rapporto” (Cass. n. 10852/2016).
Come noto, dall’applicazione del principio di sospensione del rapporto di lavoro di cui all’art. 2110 c.c. (per il periodo previsto dalla legge, dal contratto collettivo, dagli usi o secondo equità), discende, per quanto concerne il licenziamento con preavviso, la sospensione, fin dal momento della sua intimazione, dell’efficacia del licenziamento nel caso in cui uno degli eventi sopracitati sia già in atto, e la sospensione della decorrenza del periodo di preavviso in caso in cui detti eventi siano sopravvenuti (Cass. n. 7369/2005 e n. 10272/2003).
Va peraltro precisato che “la sospensione del termine di preavviso del licenziamento durante il decorso della malattia del lavoratore, con conseguente inefficacia del licenziamento fino alla cessazione della malattia o dell’esaurimento del periodo di comporto, costituisce un effetto che deriva direttamente dalla legge e, quindi, si produce per il solo fatto della sussistenza dello stato morboso, indipendentemente dalla comunicazione della malattia che, di regola, a seconda della disciplina collettiva, può essere effettuata entro tre giorni dall’insorgenza (nella sentenza citata, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto inefficace il licenziamento, reputando irrilevante che la comunicazione della malattia fosse avvenuta poche ore dopo quella del recesso, una volta accertato che detta malattia preesisteva rispetto al recesso)” (Cass. n. 9896/2003).