I termini di decadenza per l’impugnazione del trasferimento di azienda di cui all’art. 32, co. 4 lett. c), L. n. 183/2010, si applicano anche al lavoratore che richieda di passare alle dipendenze del nuovo appaltatore che sia obbligato ad assumere i dipendenti in forza di una clausola del contratto collettivo.

 Nota a Trib. Torino 24 gennaio 2019, n. 147

 Paolo Pizzuti

Il lavoratore che pretenda di essere assunto da un nuovo appaltatore, in virtù di apposita clausola sociale, può impugnare la cessione del contratto nel termine di decadenza di 60 giorni ai sensi dell’art. art. 6, L. n. 604/1966.

È quanto affermato da Trib. Torino 24 gennaio 2019, n. 147 relativamente al ricorso di alcuni lavoratori assunti da una società cooperativa nell’ambito dell’appalto intervenuto fra la cooperativa stessa ed una terza società per il servizio di “assistenza bagagli, merce e posta e movimentazione fisica delle merci”. Nello specifico, i lavoratori sostenevano che, alla scadenza del contratto di appalto, si era verificato un trasferimento di ramo d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c., dal momento che il servizio di assistenza bagagli, merce e posta era stato “internalizzato” dalla terza società, la quale, per non assumere i lavoratori impiegati nel servizio medesimo (pur trattandosi, nella prospettiva dei ricorrenti, di trasferimento di ramo d’azienda) era ricorsa ad un’agenzia di somministrazione che aveva provveduto alle assunzioni. E, pertanto, chiedevano l’accertamento, oltre che della violazione della clausola sociale di subentro nell’impresa cessionaria, della prosecuzione dei loro rapporti di lavoro presso la società terza, ex art. 2112 c.c.., con risarcimento del danno pari alle mancate retribuzioni.

I giudici hanno rigettato le domande, eccependo l’intervenuta decadenza ai sensi dell’art. 32, co. 4,  lett. c), L. n. 183/2010, secondo cui il termine di decadenza di 60 giorni per l’impugnazione del licenziamento (di cui all’art. 6, L. n. 604/1966) si applica anche…. “alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento”.

Tale disposizione, secondo il Tribunale, opera “non solo quando il lavoratore contesti la legittimità del trasferimento, invocando la permanenza del proprio rapporto in capo al cedente, ma anche nell’ipotesi inversa, nella quale l’interessato vanti il diritto, negatogli, a proseguire il rapporto presso il cessionario”. Con conseguente applicazione del termine di decadenza di cui all’art. 32, co. 4, lett. c), L. n. 183/2010 cit., il quale, “nonostante l’impropria formulata utilizzata deve certamente riferirsi al trasferimento d’azienda (e d’altronde la precisazione che la data del dies a quo da cui far decorrere i 60 giorni per l’impugnazione è quella del “trasferimento” conferma che si tratta non della data in cui viene ceduto il singolo contratto, ma di quella riferita all’atto di trasferimento dell’azienda o del ramo di essa…”).

In sintesi, dunque, la decisione in esame applica la disciplina contenuta nell’art. 32 cit. ad una fattispecie che non presuppone un trasferimento effettivamente realizzatosi sul piano individuale. Si vedano, analogamente, App. Palermo 28 dicembre 2016, n. 993 e Trib. Napoli 20 febbraio 2014.

Nel senso invece che la disciplina della decadenza è un istituto eccezionale, di stretta interpretazione, non estensibile in via analogica ex art. 14, disp. prel. c.c. e che la legge pone quale presupposto del regime caducatorio la “cessione del contratto di lavoro” che, pur essendo un’espressione non tecnica, presuppone pur sempre un effettivo passaggio, v. Trib. Torino 1° agosto 2014, n. 2375. Su queste basi, qualora il lavoratore non sia trasferito, non avviene il passaggio individuale e, quindi, non interviene alcuna modifica sul piano della titolarità del contratto individuale di lavoro, per cui non si potrebbe parlare, neppure in modo improprio, di “cessione del contratto” (v. Trib. Venezia 5 giugno 2017, n. 177; Trib. Busto Arsizio 12 luglio 2016, LG, 2017, 102; Trib. Roma 24 maggio 2016; App. Roma 16 gennaio 2015, n. 259; v. anche Cass. n. 13179/2017,  secondo la quale l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore – in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto – costituisce una vera e propria successione di appalto e non un trasferimento d’azienda o di parte d’azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. quando il personale impegnato nell’appalto sia «assorbito» da un’ impresa dotata di una propria struttura organizzativa ed operativa e siano presenti elementi di discontinuità nell’esecuzione del servizio che determinino una specifica identità di impresa  e, in questo sito, M.N. BETTINI, Cambio d’appalto e trasferimento).

Per l’interpretazione secondo cui la disposizione de qua contempla esclusivamente la “pretesa di proseguire il rapporto presso il cedente”, cfr. A. PRETEROTI, Il principio di continuità dei rapporti di lavoro nella disciplina del trasferimento d’azienda in crisi, RIDL, 2018, 437, spec. 468. In tema, v. altresì, F. M. PUTATURO DONATI, Decadenza e posizione del lavoratore, ESI, 2018, 248; M. A. GARZIA, Tutela del lavoratore escluso dal trasferimento di ramo di azienda, nota a Trib. Roma 24 maggio 2016, LG, 2016, 1002.

Passaggio alle dipendenze di un nuovo appaltatore: impugnazione del trasferimento e decadenza
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