Il principio dell’accesso mediante concorso all’impiego presso la Pubblica Amministrazione giustifica la scelta del legislatore di ricollegare, alla violazione delle norme imperative, conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali in luogo della conversione del rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati.

Nota a Cass. 2 aprile 2019, n. 9115

Flavia Durval

La violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato (v. D.LGS. n. 165/2001, art. 36, co. 2).

Tale principio, estraneo all’impiego privato, “si riferisce a tutte le assunzioni avvenute al di fuori di una procedura concorsuale, operando anche nei confronti dei soggetti che siano risultati solamente idonei in una procedura selettiva ed abbiano, successivamente, stipulato con la P.A. un contratto di lavoro a tempo determinato fuori dei casi consentiti dalla contrattazione collettiva, dovendosi ritenere che l’osservanza del principio sancito dall’art. 97 Cost. sia garantito solo dalla circostanza che l’aspirante abbia vinto il concorso”.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (sentenza 2 aprile 2019, n. 9115) la quale, richiamando la pronunzia n. 89/2003 della Corte Costituzionale, precisa che la regola dell’assunzione mediante concorso pubblico costituisce la modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, anche delle Regioni, pur se a statuto speciale. L’eccezionale possibilità di derogare per legge al principio del concorso per il reclutamento del personale (art. 97, co. 3, Cost.) deve rivelarsi funzionale al buon andamento dell’amministrazione e corrispondere a “straordinarie esigenze d’interesse pubblico” (v., tra le altre, Corte Cost. n. 211 e n. 134 del 2014). Tale modalità di accesso:

–  non viola alcuna norma della Costituzione. Stante, infatti, la non omogeneità del rapporto di impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni rispetto al rapporto di lavoro alle dipendenze di datori privati, si giustifica l’opzione legislativa di ricollegare, alla violazione delle norme imperative (in luogo della conversione del rapporto a tempo indeterminato prevista per i lavoratori privati) conseguenze solo risarcitorie e patrimoniali;

– e non contrasta con il canone di ragionevolezza, poiché la stessa Costituzione individua nel concorso pubblico (quale modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni e delle Regioni) lo strumento di selezione del personale “più idoneo a garantire, in linea di principio, l’imparzialità e l’efficienza della pubblica amministrazione” (v. Corte Cost. sentenze n. 211 e n. 134 del 2014, cit.; n. 227/ 2013; n. 62/2012; n. 310 e n. 299 del 2011; n. 267/ 2010; n. 189/2007; nonché, Cass. n. 7982/ 2018 e Cass. n. 11161/2008).

La pronuncia in esame si pone in linea con la clausola 5, punto 2, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla Direttiva 1999/70/CE, come interpretata dalla CGUE nelle sentenze 7 marzo 2018, C-494/16; C-53/04, punto 47 e punto 48; nonché con l’orientamento espresso dalle SU della Corte di Cassazione (n. 5072/2016), le quali hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

a) nell’ipotesi di reiterazione abusiva di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato, per la misura risarcitoria prevista dal  D.LGS. n. 165/2001, art. 36, co. 5, (in conformità con l’ordinanza di Corte di Giustizia UE – 12 dicembre 2013, in C-50/13-  ed escluso il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo) si può fare riferimento alla L. n. 183/ 2010, art. 32, co. 5, “quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come ‘danno comunitario’, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” (in conformità, v. Cass. nn. 8927 e 8885 del 2017 e nn. 16095 e 23691 del 2016).

b) Nell’impiego pubblico privatizzato, il danno risarcibile (di cui al cit. D.LGS. n. 165/2001, art. 36, co. 5) non deriva dalla mancata conversione del rapporto, (la quale è legittimamente esclusa sia in base ai parametri costituzionali che per quelli Europei), bensì dalla “prestazione in violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della P.A., ed è configurabile come perdita di ‘chance’ di un’occupazione alternativa migliore, con onere della prova a carico del lavoratore, ai sensi dell’art. 1223 c.c.”.

La Cassazione precisa infine che, qualora all’esito di una reiterazione abusiva di contratti a termine, intervenga la stabilizzazione, ad opera di un ente diverso da quello che ha realizzato l’abuso (ancorché si tratti di società controllate o vigilate dallo stesso), trova comunque applicazione il principio di agevolazione probatoria del danno, quantificato tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità, ai sensi della L. n. 183/2100, cit., salva la prova del maggior pregiudizio sofferto.

Successione di contratti a termine nella PA
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