Qualora le esigenze di riorganizzazione aziendale non coincidano con l’impossibilità di continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa la continuazione del rapporto di lavoro, il licenziamento del dirigente è privo di giustificatezza.
Cass. (ord.) 5 aprile 2019, n. 9665
Gennaro Ilias Vigliotti
La nozione dì giustificatezza della risoluzione del rapporto del dirigente si discosta, sia sul piano soggettivo che oggettivo, da quella di giustificato motivo. Essa trova la sua ragion d’essere, da un lato, nel rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro in virtù delle mansioni affidate, dall’altro, nello “sviluppo delle strategie di impresa che rendano nel tempo non pienamente adeguata la concreta posizione assegnata al dirigente nella articolazione della struttura direttiva dell’azienda”.
Il principio è ribadito dalla Corte di Cassazione (ordinanza 5 aprile 2019, n. 9665; v. anche Cass. n. 27199/2018), la quale ha anche precisato che le ragioni oggettive riguardanti esigenze di riorganizzazione aziendale non devono coincidere necessariamente con l’impossibilità della continuazione del rapporto o con una situazione di crisi tale da rendere particolarmente onerosa la continuazione medesima, posto che il principio di correttezza e buona fede, che costituisce il parametro su cui misurare la legittimità del licenziamento, va coordinato con la libertà di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost. (così, Cass. n. 23894/2018; Cass. n. 12668/2016 e Cass. n. 3628/2012).
Pertanto, il giudice del merito, non potendo sindacare il merito delle decisioni imprenditoriali (tutelate dall’art. 41 Cost.), deve limitarsi al controllo sull’effettività delle scelte alla base del licenziamento.
In questo quadro, “l’esigenza, economicamente apprezzabile in termine di risparmio, della soppressione di una figura dirigenziale in attuazione di un riassetto societario integra, pertanto, la nozione di giustificazione del licenziamento del dirigente richiesta delle norme collettive ove non emerga, alla stregua di dati obiettivi, la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione” (giurisprudenza consolidata: v. Cass. n. 18177/2017, Cass. n. 12823/2016 e Cass. n. 14301/2015).
Nella fattispecie, la Corte di merito (App. Venezia), sulla scorta dei dati tratti dalla relazione peritale che evidenziavano un andamento economico sostanzialmente positivo dell’impresa, ha ritenuto non comprensibili le ragioni del dedotto riassetto organizzativo finalizzato ad una più economica gestione della impresa.
In particolare, i giudici hanno rilevato la non giustificatezza del licenziamento sul presupposto che: a) l’unico riassetto organizzativo realmente emerso implicava la presenza del dirigente e non la sua estromissione dall’impresa; b) non vi era alcuna relazione tra la soppressione della figura del direttore marketing e la situazione emergente dal conto economico; c) la soppressione della figura di responsabile marketing “non appariva giustificata neppure in relazione al dedotto incremento dei costi del personale conseguente alla internalizzazione dei costi dei servizi in quanto tale iniziativa andava letta in un’ottica evidentemente espansiva e non funzionale ad una loro riduzione, come invece emergente dalla lettera di licenziamento”; d) era esclusa sia la effettività della riorganizzazione conseguente all’asserito trend negativo dei bilanci della società, sia la sussistenza delle complessive ragioni di ordine economico collegate alla soppressione del posto, conseguendone la violazione da parte della società datrice di lavoro del criterio di correttezza e buona fede, vale a dire del parametro al quale va ancorata la giustificatezza del recesso datoriale.