Solo i comportamenti extra-lavorativi del dipendente che si riflettono sulla funzionalità del rapporto di lavoro possono legittimare il recesso datoriale.
Nota a Cass. ord. 26 marzo 2019, n. 8390
Francesco Belmonte
Le condotte extra-lavorative del dipendente, qualora non incidano sulla funzionalità del rapporto e non compromettano le aspettative di un futuro e puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, non sono incompatibili con il permanere del vincolo fiduciario su cui si fonda il rapporto di lavoro, né integrano un contegno gravemente lesivo delle norme dell’etica e del vivere civile tale da costituire giusta causa di licenziamento.
Il principio è affermato dalla Corte di Cassazione (26 marzo 2019, n. 8390) la quale, in linea con le statuizioni della Corte d’Appello di Messina (n. 370/2017), ha annullato il licenziamento per giusta causa intimato dall’Unicredit S.P.A. ad un suo dipendente, responsabile per il reato di minaccia grave in danno ad un terzo e condannato in sede penale.
Nella specie, a parere del Collegio, i giudici di merito hanno correttamente valutato l’ininfluenza della condotta posta in essere dal dipendente sulla valutazione, da parte datoriale, della sua capacità di assolvere alla prestazione lavorativa.
Infatti, la minaccia pronunciata fuori dall’ambiente lavorativo e nei confronti di soggetti estranei all’azienda “ha una valenza diversa, nell’accertamento della lesione irreparabile del vincolo fiduciario, rispetto a quella proferita nei confronti del datore di lavoro o in ambito lavorativo, perché non incide intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione, fedeltà e subordinazione cui è tenuto il dipendente nei confronti di un suo superiore”.
Pertanto, il comportamento del dipendente non può ritenersi idoneo a ledere gli interessi morali e materiali del datore, né può “compromettere il rapporto di lavoro secondo gli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale”.