Per qualificare, a fini fiscali, come redditi di capitale o redditi diversi i proventi derivanti da strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati di cui all’art. 60 del D.L. n. 50/2017, il requisito dell’investimento minimino dell’1% deve essere commisurato all’intero patrimonio netto corrente della società partecipata; con riferimento al requisito della postergazione dei proventi, è, invece, necessario che la loro distribuzione sia subordinata al rimborso effettivo agli altri investitori del capitale investito unitamente ad un rendimento minimo.
Nota a AdE principio di diritto 12 febbraio 2019, n. 5
Francesco Palladino
L’Agenzia delle entrate, con il principio di diritto n. 5/2019, ha fornito due importanti chiarimenti in relazione ad alcuni dei requisiti (sui quali si tornerà subito appresso) richiesti dall’art. 60 del D.L. n. 24 aprile 2017, n. 50, per attribuire la qualifica fiscale di reddito finanziario (e, quindi, sottoporli ad una tassazione più mite) ai proventi derivanti dalle azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati di cui all’art. 60 citato (c.d. carried interest), percepiti da coloro che intrattengono un rapporto di lavoro dipendente o assimilato con società, enti o società di gestione dei fondi d’investimento.
Tali strumenti finanziari, già approfonditi dall’Amministrazione finanziaria nell’ambito della Circ. n. 25/E/2017, sono quelli che comportano una partecipazione agli utili proporzionalmente maggiore rispetto a quelli degli altri investitori che però può essere erogata a condizione che la generalità dei soci abbia ottenuto il rimborso del capitale investito oltre ad un rendimento adeguato. Il maggior rendimento connesso agli strumenti finanziari in esame è denominato “carried interest” e rappresenta una forma di incentivo dovuto al realizzarsi di determinati risultati. Si tratta di uno strumento di incentivazione tipicamente riconosciuto ai manager al fine di allineare i loro interessi a quelli degli investitori.
L’art. 60 del D.L. n. 50/2017 prevede che detti proventi siano “in ogni caso” ricondotti nel novero dei redditi di natura finanziaria e siano, dunque, qualificati come di capitale (si tratta dei proventi derivanti dall’incasso di cedole) o diversi (si tratta dei proventi derivanti dalla loro negoziazione) e non già come redditi di lavoro dipendente (tassati più onerosamente) allorquando ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni:
a) l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato dall’OICR o del patrimonio netto (capitale sociale più riserve) nel caso di società od enti;
b) i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che provengono dai diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i quotisti dell’OICR o i soci della società abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e un rendimento minimo previsto nel regolamento dell’OICR o nello statuto della società, ovvero, in caso di cambio di controllo (o di gestione), alla condizione che gli altri quotisti o soci abbiano realizzato, con la cessione, un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito ed al suddetto rendimento minimo;
c) le azioni, quote o strumenti finanziari con diritti patrimoniali rafforzati, sono detenute dai dipendenti e dagli amministratori (o dai loro eredi) per un periodo non inferiore a 5 anni o, qualora precedente, al cambio del controllo della società o del gestore per l’OICR.
L’Agenzia delle entrate, con il principio di diritto in commento, ha fornito alcune opportune precisazioni rispetto alle condizioni della consistenza dell’investimento sub a) ed al differimento nella distribuzione del carried interest sub b).
In particolare, in merito al primo requisito, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto doversi fare riferimento all’intero patrimonio netto corrente della medesima società, senza possibilità di circoscrivere la base di commisurazione dell’investimento minimo dei manager al solo capitale investito dalla società partecipata in altre società operanti in un particolare settore (ad es., settore tecnologico e digitale). Ai fini dell’art. 60 cit., rileva, dunque, l’intero patrimonio netto della società partecipata senza alcuna distinzione di sorta in relazione agli investimenti da essa effettuati e senza la possibilità di tenere conto solo di taluni investimenti.
Quanto al requisito concernente la postergazione del carried interest, l’Agenzia delle entrate ha invece chiarito che “la distribuzione dell’extrarendimento è subordinata dalla lettera della norma all’effettivo rimborso agli altri investitori del capitale investito unitamente ad un rendimento minimo (c.d. hurdle rate)” (così testualmente il principio di diritto n. 5/2019). Dunque, ai fini dell’integrazione di tale requisito, non è pertanto sufficiente la sola maturazione dell’hurdle rate, bensì è necessaria l’effettiva erogazione agli altri investitori sia del capitale investito sia di tale rendimento minimo.
Il principio di diritto dovrebbe (in parte) risolvere le criticità applicative della norma in commento, criticità che, tuttavia, nonostante i chiarimenti, non sembrano essere scomparse del tutto.