Nell’ipotesi di interposizione illecita di manodopera, nel caso di licenziamento da parte del formale datore di lavoro, il rapporto di lavoro è costituito in capo all’utilizzatore e si applica l’art. 18, co. 4, Stat. Lav.
Nota a Trib. Milano 18 marzo 2019, n. 7200
Rossella Rossi
Il contratto di appalto (di cui all’art. 1655 c.c.) si distingue dalla somministrazione di manodopera “per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa” (art. 29, co.1, D.LGS. n. 276/2003).
Si tratta, cioè, di due fattispecie che realizzano interessi diversi, in quanto, nell’appalto, l’oggetto dell’obbligazione dedotta in contratto è la realizzazione di un facere, vale a dire di un’opera o di un servizio, mentre nella somministrazione l’oggetto è un “dare”, ossia la fornitura di manodopera. Pertanto, se nel c.d. lavoro in affitto l’interesse dell’imprenditore è quello di disporre della manodopera senza assumere la titolarità del rapporto (che è in capo all’Agenzia), nell’appalto l’interesse dell’appaltante è rivolto al conseguimento del bene o servizio dedotto in contratto, senza partecipare al processo di realizzazione dello stesso “se non ai limitati fini della realizzazione del c.d. obbligo di conformazione”.
La distinzione è ribadita dal Tribunale di Milano (sentenza 18 marzo 2019, n. 7200) con riguardo all’illegittima interposizione di manodopera, avvenuta sotto forma di appalto attribuito da una impresa televisiva ad una cooperativa, ma di fatto consistente nella messa a disposizione del lavoratore, utilizzato secondo le mutevoli esigenze del committente.
Nello specifico, i giudici precisano che i c.d. appalti endoaziendali che abbiano ad oggetto attività “inerenti al complessivo ciclo produttivo del committente” non sono genuini laddove l’appaltatore metta a disposizione manodopera, ma si occupi soltanto della gestione amministrativa del rapporto (ad es., ferie e retribuzione) senza realmente organizzare le prestazioni “finalizzate alla realizzazione di un risultato autonomo; deve infatti ritenersi necessaria la gestione autonoma della forza lavoro da parte dell’appaltatore, che deve poter dirigere il personale scegliendo modalità e tempi della prestazione lavorativa” (v. Cass. n. 7820/2013). Il che si verifica, ad es., quando (come nel caso di specie), nel luogo di lavoro, non vi sia un referente dell’appaltatore (la cooperativa) con funzioni di coordinatore o di caposquadra ed il lavoratore operi seguendo le direttive dei dipendenti dell’appaltante e con lo stesso orario di questi ultimi.
In sintesi, dunque il Tribunale, riscontrando che la gestione operativa della prestazione faceva capo all’appaltante, il quale chiedeva, di volta in volta, alla cooperativa l’invio di personale di lavoro subordinato, ha accertato l’illegittima interposizione di manodopera; si è pronunciato per la costituzione del rapporto con l’appaltante; ed ha ritenuto che il recesso intimato dal formale datore di lavoro per mancato rinnovo del contratto di appalto fra le due Società fosse privo di idonea giustificazione, con conseguente applicazione dell’art. 18, co. 4, Stat. Lav. (reintegrazione nel posto di lavoro).