Con la mobilità volontaria l’Amministrazione non ha l’obbligo di operare una comparazione tra le mansioni originariamente svolte e quelle di destinazione, ma solo quello di garantire al dipendente il medesimo inquadramento nell’area funzionale contrattuale.
Nota a Cass. (ord.) 5 marzo 2019, n. 6337
Gennaro Ilias Vigliotti
Il trasferimento volontario del dipendente pubblico è disciplinato dall’art. 30 del D.LGS. n. 165/2001 (rubricato “Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse”), il quale detta le regole per le ipotesi in cui sia il lavoratore a richiedere di compiere un passaggio di Amministrazione. Tale operazione è consentita a condizione che ci sia, in primis, un’apposita istanza del lavoratore (da qui l’espressione “mobilità volontaria” utilizzata spesso per indicare l’istituto) ed altresì che sussistano il consenso dell’Amministrazione di appartenenza ed il posto vacante nell’organico di quella di destinazione.
Il trasferimento volontario è disposto “con inquadramento nell’area funzionale e in posizione economica corrispondente a quella posseduta presso l’amministrazione di provenienza”; dunque, il dipendente trasferito conserverà sostanzialmente il trattamento economico e normativo connesso a tale inquadramento, nonché gli eventuali assegni ad personam attribuitigli in precedenza, al fine di rispettare il divieto di reformatio in peius del trattamento economico acquisito.
Tale meccanismo di conservazione, però, non si estende anche alle mansioni concretamente assegnate al lavoratore, dato che, come affermato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, con l’espressione “passaggio diretto” l’art. 30, D.LGS. n. 165/2001 qualifica non già un particolare tipo contrattuale civilistico ma un peculiare strumento, in campo pubblicistico, idoneo ad attuare il trasferimento del personale da un’Amministrazione ad un’altra, attribuendovi il significato di una modificazione meramente soggettiva del rapporto, soggetta a precisi vincoli quanto alla conservazione dell’anzianità, della qualifica e del trattamento economico.
In tale contesto, il passaggio volontario del dipendente da un’Amministrazione pubblica a un’altra viene inquadrato nell’ambito dell’istituto della cessione del contratto disciplinato dagli artt. 1406 c.c. e ss., con la conseguenza che il complesso unitario di diritti ed obblighi derivanti dal contratto subisce una modificazione soggettiva, mentre rimangono immutati gli elementi oggettivi che lo connotano (ex multis, Cass. n. 2/2017; Cass. n. 6429/2016; Cass. n. 24724/2014; Cass. n. 5949/2012; Cass. n. 19250/2010).
In conseguenza di tale impostazione, in capo all’Amministrazione di destinazione non sussiste alcun obbligo di operare una comparazione tra le mansioni in concreto svolte e tra i profili professionali assegnati prima e dopo il trasferimento, atteso che la norma non prevede detto tipo di valutazione, ma si limita a disporre che, nel novero delle vacanze in organico, il lavoratore conserva medesima area funzionale e posizione economica, ma non le medesime mansioni, eventualmente non disponibili nell’organizzazione amministrativa di arrivo.
I princìpi in parola sono stati confermati dall’ordinanza n. 6337 del 5 marzo 2019 della Corte di Cassazione, la quale ha esaminato il caso di un dipendente del Ministero della Difesa, con mansioni di “addetto ai terminali evoluti” che, trasferitosi volontariamente al Ministero della Giustizia, lamentava la mancata assegnazione a mansioni equivalenti a quest’ultime (in particolare, richiedeva quelle di “programmatore”), bensì a quelle di “ausiliario”, inquadrate nella medesima area e posizione economica delle prime. L’Amministrazione aveva dedotto che le mansioni di “addetto ai terminali evoluti” non erano disponibili in quanto non previste nell’assetto organizzativo del Ministero di destinazione, con la conseguente impossibilità di garantirne l’assegnazione al dipendente, e che quelle di “programmatore” appartenevano ad un’area superiore, come tale non assegnabile al lavoratore a seguito di mobilità volontaria, ai sensi del menzionato art. 30.
I giudici della Corte Suprema hanno confermato la piena legittimità dell’operato dell’Ente, ribadendo che in capo a quest’ultimo spettava solo l’obbligo di garantire la medesima area funzionale e posizione economica di provenienza, ma non le mansioni medesime o equivalenti alle ultime svolte, escludendo dunque ogni dovere di comparazione tra quest’ultime.