Il vincolo di subordinazione di un rapporto di lavoro giornalistico si desume dalla permanente disponibilità del lavoratore a soddisfare, con carattere di continuità, le esigenze informative riguardanti uno specifico settore.
Nota a Cass. 12 aprile 2019, n. 10330
Sonia Gioia
In materia di lavoro giornalistico, il carattere subordinato della prestazione presuppone “la messa a disposizione delle energie lavorative (…) per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, di cui assume la responsabilità, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche,con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la copertura di detta area informativa, contando per il perseguimento degli obiettivi editoriali sulla disponibilità del lavoratore anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, ciò che rende la sua prestazione organizzabile in modo strutturale dalla direzione aziendale”.
L’affermazione è della Corte di Cassazione (12 aprile 2019, n. 10330), chiamata a pronunciarsi, su ricorso dell’INPGI, circa la sussistenza o meno di più rapporti di lavoro giornalistico subordinato, ai fini del corretto versamento dei contributi all’Istituto previdenziale competente.
Fermo restando l’onere dell’INGPI di provare la natura subordinata del rapporto di impiego, in qualità di attore che richiede il pagamento degli oneri contributivi (Cass. n. 15028/2018), la Cassazione, in conformità con l’orientamento giurisprudenziale consolidato (Cass. n. 8144/2017, Cass. n. 11065/2014, Cass. n. 4797/2004, Cass. n. 833/2001), ha ribadito che costituiscono indici di subordinazione (ricavabili dal ccnl di lavoro giornalistico, 1 aprile 2013- 31 marzo 2016):
- la continuità della prestazione del giornalista, ossia l’impegno a redigere normalmente e con carattere di continuità articoli su argomenti specifici;
- iI vincolo di dipendenza che si ha quando la messa a disposizione delle energie lavorative non viene meno tra una prestazione e l’altra, diversamente da quanto accade nel lavoro autonomo, in cui è configurabile una fornitura scaglionata nel tempo di più opere e servizi in base ad un unico contratto;
- l’inserzione sistematica del prestatore nell’organizzazione aziendale, tale che il datore di lavoro possa fare affidamento sulla permanenza della disponibilità del prestatore ad offrire la propria opera;
- l’assunzione della responsabilità di un servizio che si configura quando il giornalista, seppur non impegnato quotidianamente, adempie l’incarico ricevuto svolgendo prestazioni non occasionali rivolte ad esigenze informative di un determinato settore di vita sociale e assumendone responsabilità.
La Cassazione, infine, definisce la nozione di lavoro giornalistico, soltanto presupposta dalla L. 3 febbraio 1963, n. 69 (sull’ordinamento della professione di giornalista), come: “la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso”. Tale lavoratore, in particolare, ha “il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo”, assumendo a tal fine rilievo “la continuità o la periodicità del servizio, del programma o della testata nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’inserimento continuativo del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa” (Cass. n. 17723/2011).