La retribuzione da assumere come base di computo dei contributi non può essere inferiore al c.d. “minimale contributivo”.
Nota a Cass. (ord.) 9 maggio 2019, n. 12363 e 8 maggio 2019, n. 12166
Francesco Belmonte
La retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali non può essere inferiore al c.d. “minimale contributivo” (art. 1, DL. 9 ottobre 1989, n. 338, conv. dalla L. 7 dicembre 1989, n. 389), cioè “all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo”.
Il principio è ribadito da due recenti ordinanze della Corte di Cassazione (9 maggio 2019, n. 12363 e 8 maggio 2019, n. 12166) in relazione a differenti fattispecie concernenti l’omesso versamento (Cass. n. 12363/2018) e l’errata quantificazione (Cass. n. 12166/2018) dei contributi previdenziali dovuti ai lavoratori.
In particolare, nel primo caso, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, il datore di lavoro (esercente attività di edilizia artigiana) aveva disatteso il criterio del minimale contributivo, in quanto “non aveva maggiorato l’imponibile contributivo degli accantonamenti, anticipazioni ed ulteriori versamenti previsti a favore della Cassa edile” e non aveva versato all’Inps i contributi “sul totale delle retribuzioni non corrisposte”.
Per i giudici di legittimità, tale criterio, con specifico riferimento al settore dell’edilizia, può essere derogato solo nelle ipotesi tassative indicate dall’art. 29, DL. n. 244/95 (“I datori di lavoro esercenti attività edile anche se in economia operanti sul territorio nazionale … sono tenuti ad assolvere la contribuzione previdenziale ed assistenziale su di una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario di lavoro normale stabilito dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale e dai relativi contratti integrativi territoriali di attuazione, con esclusione delle assenze per malattia, infortuni, scioperi, sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, con intervento della cassa integrazione guadagni, di altri eventi indennizzati e degli eventi per i quali il trattamento economico è assolto mediante accantonamento presso le casse edili …”) e nel D.M. 16 dicembre 1996, che rinvia per le eccezioni alle previsioni dei contratti collettivi. “Conseguentemente, stante il carattere tassativo delle eccezioni e il richiamo che il suddetto decreto effettua alla contrattazione collettiva, è onere del datore di lavoro che invoca la ricorrenza di una deroga al minimale indicare la disposizione contrattuale che la prevede” (Cass. n. 16873/2005).
Nella seconda questione, invece, la società datrice aveva erroneamente calcolato i contributi spettanti ad alcuni soci lavoratori (“con rapporto di subordinazione operanti presso l’appalto della società R.A. s.r.l)” poiché aveva utilizzato quale minimale contributivo quello derivante dal ccnl Trasporto CISAL e non dal contratto collettivo provinciale di lavoro (ccpl) Confezionatori della provincia di Cuneo.
Nella specie, come accertato dai giudici di merito, i dipendenti avevano svolto attività di confezionamento inquadrabile nel ccpl, indicato dal regolamento della cooperativa come “contratto collettivo di riferimento”; mentre il ccnl Trasporto CISAL, parimenti menzionato, era estraneo all’attività espletata.
In particolare, la Corte di Appello aveva rilevato che tale regolamento, “avente ad oggetto plurimi e diversi servizi in vista di appalti ai medesimi correlati, indicava tra i contratti collettivi di riferimento sia il ccpl Confezionatori della Provincia di Cuneo che il ccnl Trasporti CISAL e che il primo era coerente con l’attività svolta dai lavoratori interessati nell’espletamento dell’appalto R.A. per cui a questo doveva essere rapportato il minimale contributivo di cui al D.L. n. 338 del 1989, art. 1”.
Per la Corte di Cassazione, “ciò è stato accertato nei gradi di merito sulla base del … contenuto del contratto d’appalto … essendo emerso che il settore coperto dal ccpl Confezionatori indicato era omogeneo rispetto all’attività svolta dai lavoratori interessati dall’appalto R.A., mentre tale omogeneità non è stata riscontrata quanto al contratto del settore Trasporto CISAL, sebbene entrambi fossero indicati nel regolamento della cooperativa”. “Tale decisione, che tiene conto degli accordi sindacali di maggior favore per i lavoratori in virtù dei quali, ai fini del calcolo del minimale contributivo, è legittimo discostarsi dalle previsioni del contratto collettivo nazionale di categoria, è conforme al principio sopra richiamato e, peraltro, investe anche un accertamento di fatto congruamente motivato dai giudici di merito, che, in sostanza, hanno ravvisato nel ccpl Confezionatori, in quanto contratto collettivo che si sarebbe dovuto applicare ai rapporti di lavoro in questione, il legittimo parametro dell’imponibile contributivo, attraverso una piana interpretazione della espressa previsione testuale contenuta nel regolamento messa in relazione all’effettiva esecuzione di un appalto avente ad oggetto il servizio di quel settore.”