L’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale si calcola in proporzione sull’intero anno contributivo.

 Nota a Cass. (ord.) 31 maggio 2019, n. 15007

Kevin Puntillo

L’ammontare dei contributi previdenziali versati per il lavoro part time deve essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione, nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale cd. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro (v. art. 7, D.L. n. 463/1983 e poi le successive ed identiche previsioni di cui all’art. 9, co. 4, D.LGS. n. 61/2000 ed all’art. 11, co. 4, D.LGS. n. 81/2015).

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ord. 31 maggio 2019, n. 15007. Tale orientamento si pone in linea con la normativa eurocomunitaria (Direttiva CE 97/81, che stabilisce che l’anzianità contributiva utile ai fini dell’accesso al trattamento pensionistico deve essere calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se fosse occupato a tempo pieno, in quanto i periodi “non lavorati” non costituiscono interruzione del rapporto, come interpretata da CGUE 10 giugno 2010, cause riunite C-395/08 e C-396/08); con la normativa interna sulla parità di trattamento (v. Cass. 6 luglio 2017, n. 16677); e con l’indirizzo giurisprudenziale in forza del quale, ai fini della determinazione del trattamento di pensione, nel part time di tipo verticale ciclico, i periodi non lavorati non possono essere esclusi dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione (v. Cass. 10 aprile 2018, n. 8772, annotata, in questo sito, da V. SANTILLI, Part time ed efficacia ai fini pensionistici dei periodi non lavorati; Cass. 10 novembre 2016, n. 22936).

Nella fattispecie sottoposta al giudizio del Collegio, tre assistenti di volo avevano richiesto il riconoscimento dell’anzianità contributiva di 52 settimane per tutti gli anni (dal 1995 in avanti, dal 1994 al 1999 e dal 2000 in avanti) durante i quali avevano lavorato in regime di part-time verticale, sulla base di sette/dieci mesi all’anno. La Corte territoriale (convalidata dalla Cassazione), nel confermare l’accoglimento della domanda, aveva richiamato, tra l’altro, la pronuncia della CGUE 10 giugno 2010, cit., da cui emergeva la necessità di tenere conto, nel calcolo dell’anzianità contributiva, anche dei periodi non lavorati.

Come noto, l’art. 11, co. 4, D.LGS. n. 81/2015 (sulla disciplina previdenziale del part time) stabilisce che: “Nel caso di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale e viceversa, ai fini della determinazione dell’ammontare del trattamento di pensione si computa per intero l’anzianità relativa ai periodi di lavoro a tempo pieno e, in proporzione all’orario effettivamente svolto, l’anzianità inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale”.

Inoltre, in base all’art. 7, D.LGS. n. 81/2015: “1. Il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno di pari inquadramento. 2. Il lavoratore a tempo parziale ha i medesimi diritti di un lavoratore a tempo pieno comparabile ed il suo trattamento economico e normativo è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. I contratti collettivi possono modulare la durata del periodo di prova, del periodo di preavviso in caso di licenziamento o dimissioni e quella del periodo di conservazione del posto di lavoro in caso di malattia ed infortunio in relazione all’articolazione dell’orario di lavoro”.

[Sulla questione, v., in questo sito, Cass. 10 novembre 2016, n. 22936, con nota di F. DURVAL, Part time verticale ciclico e anzianità contributiva].

 

 

Part time verticale e anzianità contributiva
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