Sonia Gioia
In materia di efficacia soggettiva del contratto collettivo aziendale, particolarmente dibattuta è la questione del dissenso dei singoli lavoratori nei confronti di un accordo non meramente acquisitivo.
In particolare, con riguardo ai lavoratori iscritti ad un sindacato diverso rispetto a quello stipulante, o non sindacalizzati, che rifiutino la disciplina dell’accordo aziendale (chiedendo solitamente l’applicazione del contratto nazionale o di altro contratto aziendale vigente), si pongono due diversi indirizzi:
a) il primo, muovendo dall’efficacia erga omnes del contratto collettivo aziendale, si basa sull’indivisibilità dell’interesse collettivo oggetto degli accordi aziendali e sul fatto che le materie regolate ne impedirebbero una applicazione parziale. In altre parole, secondo questa interpretazione, i contratti aziendali hanno un’applicazione generalizzata che coinvolge necessariamente tutti i lavoratori (Corte Cost. 3 aprile 1987, n. 96; Cass. 15 settembre 2014, n. 19396; Cass. 26 giugno 2004, n. 11939; Cass. 25 marzo 2002, n. 4218; Cass. 11 dicembre 2002, n. 17674; Cass. 7 giugno 1999, n. 5584; Cass. 5 febbraio 1993, n. 1438; Trib. Roma 17 novembre 2010, n. 13895).
Inoltre, secondo un orientamento, l’efficacia generale di tali contratti deriva dalla rappresentatività dei soggetti stipulanti, come le RSA o le RSU, che sarebbero investite di una rappresentanza legale o istituzionale da parte dell’ordinamento (Cass. 9 dicembre 1988, n. 6695; Cass. 2 marzo 1988, n. 2228).
Molte di queste sentenze, peraltro, ammettono l’applicazione generalizzata dei contratti collettivi, ma soltanto se a contenuto migliorativo (o non esclusivamente peggiorativo) rispetto ai precedenti, in modo da compensare i limiti alla libertà sindacale dei lavoratori non iscritti alle OO. SS. con un trattamento collettivo più favorevole (Cass. n. 17674/2002, cit.; Cass. n. 4218/2002, cit.; Cass. n. 5584/1999, cit.; Cass. n. 1438/1993, cit.);
b) per una diversa impostazione, che appare ormai prevalente, mancando nel nostro ordinamento una norma che preveda l’efficacia generale del contratto collettivo, resta aperta la possibilità del dissenso individuale. L’indubbia “vocazione alla generalità” del contratto aziendale non può, pertanto, essere considerata un dato necessario, come peraltro dimostrano alcuni casi di contratti rivolti esclusivamente agli iscritti al sindacato stipulante (si pensi, ad esempio, al caso Pometon p.a., in cui il contratto collettivo aziendale era applicabile soltanto ai lavoratori aderenti al sindacato firmatario e a quelli che decidevano di sottoscrivere la clausola di adesione).
La giurisprudenza più recente ammette, pertanto, la possibilità del dissenso individuale da parte dei lavoratori non sindacalizzati o aderenti a sindacati non firmatari dell’accordo aziendale, negandone di fatto l’efficacia erga omnes (Cass. 15 novembre 2017, n. 27115, annotata in questo sito da M.N. BETTINI, Efficacia del contratto collettivo aziendale; Cass. 17 luglio 2014, n. 16089; Cass. 18 aprile 2012, n. 6044, per la quale il contratto aziendale non può applicarsi a “quei lavoratori che, aderendo ad un’organizzazione sindacale diversa, ne condividano l’esplicito dissenso”; Cass. 8 maggio 2009, n. 10632; Cass. 28 maggio 2004, n. 10353; Cass. 30 luglio 2001, n. 10375; Cass. 14 aprile 2001, n. 5596; Cass. 24 aprile 1993, n. 4802). Ciò, sulla base del rilievo prioritario del principio di libertà sindacale e della natura privatistica della rappresentanza sindacale (Cass. n. 27115/2017, cit.).
Il dissenso, tuttavia, deve esercitarsi secondo le norme fissate dal diritto sindacale che mira a circoscrivere la posizione del prestatore stesso.
In primis, il dipendente può sottrarsi all’applicazione del contratto aziendale o evitando di associarsi sindacalmente o recedendo dall’associazione prima della stipula del contratto. A nulla, invece, rileva il dissenso espresso in costanza di iscrizione (Cass. n. 4802/1993, cit.).
Il lavoratore, in secundis, non può rifiutare solo la parte “sgradita” del contratto, dovendosi considerare la disciplina collettiva in maniera unitaria (Cass. n. 4218/2002, cit., Cass. n. 1438/1993, cit.), a meno che non sussista un rinvio espressamente limitato ad alcune materie del contratto collettivo, quali ad es. gli inquadramenti o la retribuzione (App. Milano 26 agosto 2015, n. 664).
In caso di successione di contratti aziendali, “tutti i lavoratori che abbiano fatto adesione all’originario accordo, ancorché non iscritti al sindacato, sono vincolati dall’accordo successivo e non possono invocare l’applicazione soltanto del primo” (Così, Cass. 5 giugno 2007, n. 13092. Nello stesso senso, Cass. 5 luglio 2002, n. 9764; Cass. 11 novembre 1987, n. 8325).
Qualora un contratto collettivo sia stipulato da una linea sindacale differente dalla precedente (cioè da soggetti, in tutto o in parte, diversi ), secondo un orientamento, che appare condivisibile, il nuovo accordo vincola solo gli iscritti ai sindacati stipulanti e ai lavoratori che, in modo espresso o tacito, accettino di sottoporre il loro rapporto di lavoro alla disciplina sopravvenuta.
Diversa è l’ipotesi della contemporanea vigenza di due accordi aziendali separati, che si verifica quando il datore di lavoro stipula un contratto collettivo con una differente linea sindacale prima che sia scaduto il rapporto in vigore. In questo caso, il nuovo accordo vincola solo i lavoratori iscritti alle organizzazioni firmatarie e coloro che abbiano manifestato, espressamente o mediante comportamenti concludenti, la volontà di sottoporsi a tale disciplina. Il contratto preesistente, invece, continuerà a regolare i rapporti dei lavoratori iscritti ai sindacati non stipulanti fino alla scadenza del contratto.
L’eventuale pretesa del datore di lavoro di imporre unilateralmente il nuovo contratto a tali prestatori costituirebbe non solo un illecito sul piano del rapporto individuale di lavoro ma anche una condotta antisindacale in quanto lesiva della credibilità e dell’immagine del sindacato non firmatario.