Cassazione e Corte di Giustizia UE fissano i principi circa la retribuzione dovuta al lavoratore durante il periodo feriale: vanno mantenuti i compensi che remunerano “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni”, ovvero correlati allo status personale e professionale; mentre vanno esclusi “gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie”.
Nota a Cass. 17 maggio 2019, n. 13425
Flavia Durval
In tema di diritto alle ferie, la Corte di Cassazione (17 maggio 2019, n. 13425) afferma che la normativa interna, laddove riconosce il diritto del prestatore di lavoro a «ferie retribuite» nella misura minima di quattro settimane, senza, tuttavia, recare una specifica definizione di retribuzione, va interpretata in modo conforme al diritto dell’Unione. È poi compito del giudice di merito valutare, in primo luogo, “il rapporto di funzionalità (id est: il nesso intrinseco, v. CGUE 15 settembre 2011, C-155/10, punto 26) che intercorre tra i vari elementi che compongono la retribuzione complessiva del lavoratore e le mansioni ad esso affidate in ossequio al suo contratto di lavoro e, dall’altro, interpretare ed applicare le norme pertinenti del diritto interno conformemente al diritto dell’Unione, verificare se la retribuzione corrisposta al lavoratore, durante il periodo minimo di ferie annuali, sia corrispondente a quella fissata, con carattere imperativo ed incondizionato, dall’art. 7 della Direttiva 2003/88/CE”. Pertanto, la Corte, rinviando al giudice di merito la questione sottoposta al suo esame (relativa all’indennità di navigazione cd. «Stretto di Messina» stabilita dal contratto collettivo aziendale) analizza il quadro normativo europeo e l’indirizzo della Corte di Giustizia in tema di retribuzione dovuta per il periodo feriale.
L’art. 7 della Direttiva n. 88/2003, intitolato «Ferie annuali», stabilisce infatti che: “1. Gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali …”. In particolare, secondo la citata Direttiva, il beneficio (ossia: il diritto) alle ferie annuali e quello all’ottenimento di un pagamento a tale titolo rappresentano due aspetti (id est: le due componenti) dell’unico diritto «a ferie annuali retribuite» (CGUE 20 gennaio 2009, C-350/06 e C 520/06, punto 60; 15 settembre 2011, C-155/10, punto 26; 13 dicembre 2018, C-385/17, punto 24).
Il diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite è espressamente sancito anche dall’art. 31, n. 2 (intitolato «Condizioni di lavoro giuste ed eque») della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (v. CGUE 8 novembre 2012, C-229/11 e C-230/11, punto 22; 29 novembre 2017, C-214/16, punto 33, nonché 4 ottobre 2018, C-12/17, punto 25), la quale prevede che: “Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite”.
Inoltre, secondo giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, il diritto alle ferie retribuite di almeno quattro settimane deve essere considerato come un principio particolarmente importante del diritto sociale dell’Unione (CGUE 20 luglio 2016, C-341/15, punto 25); ad esso non si può derogare e la sua attuazione da parte delle autorità nazionali competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati dalla Direttiva 2003/88 (v. CGUE 12 giugno 2014, C-118/13, punto 15).
Vi è poi una nozione europea di «retribuzione» dovuta al lavoratore durante il periodo di ferie annuali, sulla base dell’art. 7 della Direttiva 88/2003, come interpretata dalla Corte di Giustizia.
Per quanto concerne, in particolare, «l’ottenimento di un pagamento» a titolo di ferie annuali, la Corte di Giustizia (fin dalla sentenza 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04, punto 50) ha precisato che l’espressione «ferie annuali retribuite» di cui all’art. 7, n. 1, della Direttiva 88/2003 intende significare che, per la durata delle ferie annuali, «deve essere mantenuta» la retribuzione; in altre parole, il lavoratore deve percepire la retribuzione ordinaria per tale periodo di riposo (negli stessi sensi, anche la sentenza CGUE 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C- 520/06, punto 58).
“L’obbligo di monetizzare le ferie è volto a mettere il lavoratore, in occasione della fruizione delle stesse, in una situazione che, a livello retributivo, sia paragonabile ai periodi di lavoro” (così, le citate sentenze 16 marzo 2006, cause riunite C-131/04 e C-257/04, punto 58, nonché, 20 gennaio 2009 in C-350/06 e C- 520/06 punto 60).
In questa linea, la sentenza 15 settembre 2011, causa C-155/10, punto 21, afferma che la retribuzione delle ferie annuali va calcolata, in modo da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore e che una diminuzione della retribuzione idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie sarebbe in contrasto con le prescrizioni del diritto dell’Unione.
La struttura della retribuzione ordinaria, cioè, “non può incidere sul diritto del lavoratore … di godere, nel corso del suo periodo di riposo e di distensione, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all’esercizio del suo lavoro” (v. CGUE 15 settembre 2011, causa C-155/10, punto 23); sicché “qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all’esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro e che viene compensato tramite un importo pecuniario incluso nel calcolo della retribuzione complessiva del lavoratore … deve obbligatoriamente essere preso in considerazione ai fini dell’ammontare che spetta al lavoratore durante le sue ferie annuali» (v. CGUE 15 settembre 2011, C-155/10, cit.). E vanno parimenti mantenuti, durante le ferie annuali retribuite, gli elementi della retribuzione “correlati allo status personale e professionale” del lavoratore (v. sentenza 15 settembre 2011, causa C-155/10, punto 28, cit.). La sentenza 22 maggio 2014, C-539/12, punti 29, 30, 31) precisa poi che gli elementi correlati allo status personale e professionale possono essere quelli che si ricollegano alla qualità di superiore gerarchico, all’anzianità, alle qualifiche professionali.
All’opposto, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell’importo da versare durante le ferie annuali “gli elementi della retribuzione complessiva del lavoratore diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell’espletamento delle mansioni che incombono al lavoratore in ossequio al suo contratto di lavoro” (v. sentenza 15 settembre 2011, C-155/10, cit., punto 25).
In base a questa nozione di retribuzione per ferie, è stata, ad es., ritenuta contraria al diritto dell’Unione la non inclusione, nella retribuzione da versare ai lavoratori a titolo di ferie annuali, degli “importi supplementari corrisposti ai piloti Airways in ragione delle ore di volo e/o del tempo trascorso fuori dalla Base (v. sentenza 15 settembre 2011, C-155/10, cit.) ovvero del compenso variabile rappresentato da provvigioni sul fatturato realizzato (sentenza 22 maggio 2014, C-539/12, cit.), così come la previsione, per contratto collettivo, di una riduzione dell’ «indennità per ferie retribuite» derivante da una situazione di disoccupazione parziale, nel periodo temporale di riferimento (sentenza 13 dicembre 2018, To.He, C-385/17)”.