L’inadempimento degli obblighi relativi alla divisa legittima la richiesta di risarcimento del danno.
Nota a Cass. ord. 21 giugno 2019, n. 16749
Fabrizio Girolami
Il datore di lavoro ha l’obbligo di provvedere alla manutenzione e al lavaggio degli indumenti da lavoro degli operatori ecologici addetti alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani in quanto gli indumenti medesimi, secondo le prescrizioni dell’attuale quadro normativo comunitario e nazionale in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, costituiscono “dispositivi di protezione individuale” (D.P.I.). Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza 21 giugno 2019, n. 16749.
Nel caso di specie, un lavoratore, adibito a mansioni di operatore ecologico, aveva convenuto in giudizio la propria società datrice di lavoro dinanzi al Tribunale di Cagliari, richiedendo l’accertamento della responsabilità contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c., con condanna al risarcimento del danno, per non avere la società medesima adempiuto, durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, agli obblighi di lavaggio e di manutenzione degli indumenti di lavoro, a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
La società, dopo essere stata condannata in primo grado, aveva proposto impugnazione alla Corte d’Appello di Cagliari la quale, in riforma della sentenza del giudice di prime cure, aveva respinto la richiesta di risarcimento del danno proposta dal lavoratore.
La Corte territoriale aveva richiamato la definizione di “dispositivo di protezione individuale” dettata dall’art. 40, D.LGS. 19 settembre 1994, n. 626 (decreto applicabile ratione temporis alla vicenda di specie e oggi espressamente abrogato dall’art. 304 del D.LGS. 9 aprile 2008, n. 81, e s.m.i., cd. “Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”, in cui la disciplina dei D.P.I. è contenuta, con mantenimento della stessa identica definizione, nel Titolo III, Capo II, articoli 74-79) che qualifica come tali “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo”, ed aveva ritenuto inammissibile la richiesta di risarcimento del danno avanzata dal lavoratore, ritenendo che la divisa dell’operatore ecologico non è configurabile come “dispositivo di protezione individuale”, in ragione del fatto che “non rientra tra i dispositivi appositamente creati per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate”.
Avverso la sentenza della Corte di merito, il lavoratore aveva proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione della normativa vigente in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro per avere la sentenza impugnata affermato che gli indumenti forniti per lo svolgimento della prestazione lavorativa non avessero alcuna funzione protettiva e quindi non fossero classificabili come dispositivi di protezione individuale. La Cassazione ha accolto il ricorso del prestatore, con un articolato iter argomentativo.
Secondo la Cassazione, devono qualificarsi come “dispositivi di protezione individuale” (D.P.I.) non soltanto le attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma anche “qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore”, in conformità con la disposizione di cui all’art. 2087 c.c., vera e propria “norma di chiusura” del sistema di prevenzione degli infortuni e malattie professionali, suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale dei diritto alla salute (art. 32 Cost.), sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro (artt. 1175 e 1375 c.c.).
Viceversa, non costituiscono dispositivi di protezione individuale gli indumenti di lavoro non specificatamente correlati alla finalità di protezione da un rischio per la salute e che assolvono esclusivamente alla funzione di uniforme aziendale (con lo scopo, ad es., di veicolare l’immagine dell’azienda) o di preservare gli abiti civili del prestatore di lavoro dalla ordinaria usura connessa all’espletamento della prestazione lavorativa.
Nel settore della raccolta dei rifiuti, i lavoratori addetti sono esposti alla potenziale azione di un rischio infettivo e, più precisamente, di un rischio da contatto con sostanze tossiche, nocive e agenti biologici. Quando gli indumenti assolvono l’anzidetta ultima funzione (evitare il rischio potenziale di contrarre malattie), osserva il giudice di legittimità, il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire i suddetti indumenti a tutti i dipendenti in servizio e a garantirne l’idoneità a prevenire l’insorgenza e il diffondersi di infezioni. In quest’ottica, il datore di lavoro deve provvedere al lavaggio della divisa dell’operatore ecologico che appare adempimento indispensabile per mantenere la divisa medesima in stato di efficienza. Tali operazioni, conclude la Corte, rientrano tra le “misure necessarie” per la tutela della salute e della sicurezza e la salute dei lavoratori che il datore di lavoro è tenuto ad adottare ai sensi e per gli effetti dell’art. 4, co. 5, D.LGS. n. 626/1994 (norma ora abrogata ma applicabile ratione temporis alla vicenda di specie) e degli art. 15 e seguenti del D.LGS. n. 81/2008 (norme attualmente in vigore).
Il principio di diritto enucleato dalla Cassazione è stato affermato anche in relazione ad altri ambiti lavorativi e, pertanto, ad altre tipologie di lavoratori, quali, a titolo esemplificativo, ai dipendenti con mansioni di pulizia delle carrozze dei treni, attività comportante la raccolta di rifiuti, lo svuotamento di cestini e portacenere e l’inevitabile contatto con sostanze nocive o patogene, come la polvere, la sporcizia, residui organici (cfr., ex aliis, Cass. 22 settembre 2015, n. 18674) e, più in generale, risulta applicabile a tutti i lavoratori esposti al contatto con polveri nocive, agenti chimici, biologici o ad ambienti insalubri.