In caso di decesso di un lavoratore per malattia asbesto-correlata, la responsabilità del datore di lavoro non può essere esclusa dalla circostanza che all’epoca dell’esposizione del dipendente all’aspirazione di fibre di amianto non esistevano specifiche norme protettive contro il relativo rischio, quando si accerti che tale rischio era comunque noto.
Nota a Cass. 10 giugno 2019, n. 15561
Sonia Gioia e Kevin Puntillo
Qualora sia accertato un danno alla salute del lavoratore causato dalla nocività dell’attività lavorativa per esposizione all’amianto, “è onere del datore di lavoro provare di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le conoscenze del tempo di insorgenza della malattia, essendo irrilevante la circostanza che il rapporto di lavoro si sia svolto in epoca antecedente all’introduzione di specifiche norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto, quali quelle contenute nel D.LGS. n. 15 agosto 1991, n. 277, successivamente abrogato dal D.LGS. 9 aprile 2008, n. 81”.
In base all’art. 2087 c.c., infatti, si configura una responsabilità dell’imprenditore in materia di sicurezza qualora egli ometta di predisporre tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio (Cass. n. 15156/2011).
E tale responsabilità non è circoscritta alla violazione di regole d’esperienza o di norme tecniche preesistenti collaudate poiché l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro va necessariamente parametrato agli standards di conoscenze tecniche disponibili all’epoca in cui vi era stata esposizione alla sostanza nociva (Cass. n. 27952/2018, Cass. n. 24217/2017, Cass. n. 18503/2016, Cass. n. 10425/2014).
È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (10 giugno 2019, n. 15561) relativamente ad un caso in cui il rischio da esposizione all’amianto era noto all’epoca dei fatti, come dimostrato sia dalla presenza di pubblicazioni scientifiche già all’inizio del secolo scorso che consideravano pericolose le lavorazioni collegate all’amianto sia dall’adozione di normativa Europea (Regolamento n. 1169 e direttiva n. 477 del 1983) che faceva riferimento al rischio di inalazione di polveri di amianto.
Pertanto, “il dovere del datore di lavoro era di escludere comunque l’esposizione alla sostanza pericolosa, anche se ciò avesse imposto l’adozione di interventi drastici fino alla stessa modifica dell’attività dei lavoratori, assumendo in caso contrario a proprio carico il rischio di eventuali tecnopatie”.