Il danno patrimoniale da demansionamento va provato dal lavoratore ed il giudice dovrà valutare, fra le altre circostanze concrete, l’esperienza pregressa del prestatore, il tipo di competenza sminuita e la durata della dequalificazione.
Nota a Cass. (ord.) 20 giugno 2019, n. 16595
Fabio Iacobone
La violazione dell’art. 2103 c.c., contenente la disciplina delle mansioni del lavoratore, è suscettibile di pregiudicare quel complesso di capacità e di attitudini definibile con il termine professionalità.
In particolare, l’assegnazione al dipendente di mansioni inferiori può comportare il depauperamento del bagaglio professionale, con un pregiudizio che determina un danno da perdita della professionalità di contenuto patrimoniale, in quanto bene economicamente valutabile, dal momento che esso rappresenta uno dei principali parametri per la determinazione del valore di un dipendente sul mercato del lavoro (v., in motivaz., Cass. n. 12253/2015), che può consistere “sia nell’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e nella mancata acquisizione di un maggior saper fare, sia nel pregiudizio subito per la perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno o di ulteriori potenzialità occupazionali” (in conformità, v. Cass. n. 11045/2004).
Il danno derivante da demansionamento e dequalificazione professionale non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, potendo essere provato dal lavoratore anche mediante il meccanismo presuntivo, ai sensi dell’art. 2729 c.c., mediante l’allegazione di elementi gravi, precisi e concordanti (v. Cass. n. 21/2019). Ed il giudizio (di merito) deve basarsi su una valutazione relativa “alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto” (v., fra tante, Cass. n. 19778/2014 e Cass. n. 4652/2009).