Francesco Belmonte
In merito alla liquidazione del Trattamento di fine servizio (TFS), l’art. 3, co. 2, del D.L. n. 79/1997 fissa i termini per la liquidazione (dei «trattamenti di fine servizio, comunque denominati») per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, di cui all’art. 1, co. 2, D.LGS. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ed al personale in regime di diritto pubblico di cui all’art. 3, co. 1 e 2, D.LGS. n. 165/2001 cit., stabilendo che: l’ente erogatore provvede alla liquidazione “decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell’amministrazione, decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro”.
All’effettiva corresponsione si deve dar corso “entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi”.
Al differimento della liquidazione dei trattamenti di fine servizio si affiancano le disposizioni in tema di pagamento rateale, introdotte dall’art. 12, co. 7, D.L. n. 78/2010 con l’obiettivo di concorrere “al consolidamento dei conti pubblici attraverso il contenimento della dinamica della spesa corrente nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica previsti dall’Aggiornamento del programma di stabilità e crescita”.
La scansione originaria dei pagamenti – modulata in una rata annuale per le indennità di fine servizio fino a 90.000,00 euro, in due rate annuali per le indennità oltre i 90.000,00 e fino ai 150.000,00 e in tre rate annuali per le indennità pari o superiori a 150.000,00 euro, sempre al lordo delle trattenute fiscali, è stata modificata dall’art. 1, co. 484, lett. a), L. 27 dicembre 2013, n. 147 (L. di stabilità 2014), recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”).
Nello specifico, per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche (come individuate dall’ISTAT ai sensi del co. 3, art. 1, L. 31 dicembre 2009, n. 196), l’indennità di buonuscita, l’indennità premio di servizio, il trattamento di fine rapporto e “ogni altra indennità equipollente corrisposta una-tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a vario titolo dall’impiego” sono riconosciuti “in un unico importo annuale se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente pari o inferiore a 50.000 euro» (lett. a), “in due importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente superiore a 50.000 euro ma inferiore a 100.000 euro” (lett. b) e “in tre importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente uguale o superiore a 100.000 euro” (lett. c).
L’art. 23 D.L. 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni), conv., con mod., nella legge L. 28 marzo 2019, n. 269), prevede poi la facoltà di richiedere il finanziamento di una somma, pari all’importo massimo di 45.000,00 euro, dell’indennità di fine servizio maturata (la facoltà è accordata, tra l’altro, al ricorrere dei presupposti definiti dalla legge, ai «lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165»).