Il tempo impiegato per indossare indumenti da lavoro obbligatori rientra nell’orario di lavoro e conseguentemente deve essere coperto da retribuzione.
Nota a App. Torino 14 agosto 2019, n. 556
Gennaro Ilias Vigliotti
Nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo per indossare la divisa aziendale rientra nell’orario di lavoro ove, attraverso la regolazione contrattuale, venga accertato che tale operazione è diretta dal datore con riguardo al tempo ed al luogo della vestizione. L’eterodeterminazione del tempo e del luogo di tale vestizione può derivare dall’esplicita disciplina dell’impresa o risultare implicitamente dalla natura degli indumenti da indossare o dalla specifica funzione che essi devono assolvere nello svolgimento della prestazione. Possono quindi determinare un obbligo di indossare la divisa sul luogo di lavoro ragioni d’igiene imposte dalla prestazione da svolgere ed anche la qualità degli indumenti, quando essi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili nell’abbigliamento secondo un criterio di normalità sociale, sicché non si possa ragionevolmente ipotizzare che siano indossati al di fuori del luogo di lavoro.
I principi appena espressi, tutti radicati nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (si v., su tutte, Cass. n. 1352/2016; Cass. n. 277799/2017; Cass. n. 2064/2018; Cass. n. 7738/2018; Cass. n. 9417/2018; Cass. 116/2019; Cass. 3901/2019), sono stati impiegati dalla Corte d’Appello di Torino nella sentenza 14 agosto 2019, n. 556, incentrata sulla controversia sorta tra un gruppo di lavoratori addetti a mansioni di assistenza ed una società cooperativa impegnata nell’erogazione di servizi sanitari. In particolare, i dipendenti avevano lamentato al giudice di primo grado di non aver mai ricevuto dal proprio datore di lavoro alcuna remunerazione per il periodo di tempo (circa 15 minuti al giorno) impiegato dagli stessi per svolgere attività di vestizione e svestizione delle divise aziendali imposte con apposito regolamento interno. I ricorrenti avevano peraltro chiesto di essere rimborsati delle spese di lavaggio di tali indumenti, in quando dotazioni di sicurezza per proteggersi dai liquidi organici con cui entravano in contatto nell’espletamento delle mansioni contrattuali.
Il Tribunale aveva parzialmente accolto le richieste dei lavoratori. Risultava infatti provato per via documentale che quello di indossare la divisa aziendale fosse un obbligo a tutti gli effetti, previsto formalmente da specifiche disposizioni interne, le quali stabilivano che “la divisa deve essere indossata all’ingresso in residenza e tolta a fine turno” e che “è severamente vietato l’utilizzo diverso salvo nei mesi estivi su disposizione della Direzione”. Il tenore letterale delle regole della cooperativa convenuta è chiaro: il lavoratore non può sottrarsi liberamente alla vestizione, salvo autorizzazione espressa per i soli periodi estivi. Peraltro, proprio la presenza di questa deroga aveva fatto propendere il Tribunale per il rigetto della domanda sul rimborso dei lavaggi, essendo escluso che un abito di protezione del lavoratore possa essere dismesso su autorizzazione del datore di lavoro.
Dinanzi alla Corte d’Appello aveva fatto ricorso la cooperativa soccombente, evidenziando come i tempi di vestizione debbano essere considerati come attività meramente preparatoria autonomamente gestita dalle lavoratrici e, dunque, come periodo di tempo non retribuito. I giudici del Collegio torinese, però, accogliendo la ricostruzione operata dal Tribunale circa la presenza di espresse regole aziendali e corroborando la propria posizione con l’analisi delle testimonianze rese nella fase istruttoria (tutte nel senso di una vestizione obbligatoria all’inizio della prestazione giornaliera da parte dei lavoratori), hanno affermato che “non v’è dubbio che nel caso di specie l’obbligo di indossare la divisa sia regolato dalle disposizioni dettate dalla cooperative […], in modo tale da assicurare che all’inizio del servizio tale vestizione sia già eseguita”; ed hanno riconosciuto il diritto alla retribuzione per il tempo occorrente all’espletamento di tali operazioni, specificamente imposte e regolate, anche nelle tempistiche, dal datore di lavoro, essendo all’evidenza escluso che tali incombenti costituissero meri atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa.