L’iscrizione all’Aire non costituisce più elemento essenziale per maturare il periodo di residenza all’estero e per beneficiare del regime agevolato da parte dei lavoratori impatriati.
Nota a AdE Risposta 25 giugno 2019, n. 204
Stefano Quaranta
L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 204 del 25 giugno 2019 ha fornito ancora una volta chiarimenti in tema di cc.dd. lavoratori impatriati.
Nel caso specifico, l’istante era una cittadina italiana, iscritta all’Aire dal 2017, che aveva però risieduto a Londra dal 2016 dove, dopo la laurea, aveva trovato diversi impieghi di lavoro dipendente a tempo indeterminato e dove aveva stipulato vari contratti di locazione per potersi garantire un alloggio. La stessa istante manifestava l’idea di tornare in Italia e chiedeva all’Agenzia se potesse beneficiare, o meno, del regime agevolato di tassazione di cui all’art. 16, co. 2, D.LGS. 14 settembre 2015, n. 147. Detto regime prevede la concorrenza alla formazione del reddito complessivo nella sola misura del 50% dei redditi di lavoro autonomo e dipendente prodotti in Italia per i cittadini dell’Unione Europea che trasferiscano la propria residenza in Italia per almeno 24 mesi, e, in possesso di un titolo di laurea, abbiano svolto continuativamente un’attività di lavoro, dipendente o autonomo, o un’attività di impresa fuori dal proprio Paese di origine e dall’Italia negli ultimi mesi 24 mesi o abbiano svolto continuativamente un’attività di studio fuori del proprio Paese di origine e dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea o una specializzazione successiva alla laurea.
Orbene, secondo l’Amministrazione interpellata la soluzione dipende da più circostanze sicché sono prospettate diverse ipotesi, a seconda della situazione concreta creatasi. Più specificatamente:
- ove l’istante, iscritta all’Aire dal 2017, si trasferisca in Italia nei mesi precedenti la data di maturazione del biennio di residenza all’estero, non avrebbe, alla data di trasferimento in Italia, ancora maturato il conseguimento del secondo anno di iscrizione all’Anagrafe anzidetta con conseguente impossibilità di beneficiare del regime di favore;
- ove l’istante effettui il trasferimento della propria residenza in Italia decorsi i due anni dall’iscrizione all’Aire, nulla osterebbe al riconoscimento del regime agevolativo di cui all’art. 16, D.Lgs. n. 147/2015.
L’istante precisa in sede di interpello che l’iscrizione all’Aire era intervenuta con ritardo rispetto alla presentazione della domanda di iscrizione medesima. L’Agenza precisa, in proposito, che l’art 16, co. 3, D.L. 25 marzo 2019, n. 22 (in sede di conversione al momento in cui l’interpello è stato reso, in quanto convertito con L. 20 maggio 2019, n. 41) ha inserito il co. 9-bis nell’art. 6 della L. n. 470/1988 (che regola la procedura per l’iscrizione all’Aire). In particolare, in base a tale nuova disposizione gli effetti della dichiarazione relativa al trasferimento della residenza da un comune italiano, rese all’ufficio consolare competente, decorrono dalla loro data di presentazione, qualora non sia stata già resa la dichiarazione di trasferimento di residenza all’estero presso il comune di ultima residenza, a norma della vigente legislazione anagrafica. Inoltre, lo stesso art. 16, co. 3, del D.L. n. 22/2019, abroga l’art. 7 del DPR 6 settembre 1989, n. 323 (concernente l’approvazione del regolamento per l’esecuzione della L. n. 470/1988), che fissava la decorrenza della data di ricezione della stessa da parte dell’ufficiale dell’anagrafe. La medesima disposizione, infine, prevede che le dichiarazioni presentate anteriormente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 22/2019 (26 marzo 2019) e non ancora ricevute dall’ufficiale dell’anagrafe, abbiano la stessa decorrenza della data di presentazione. L’Agenzia, in ogni caso, non si dilunga sulla nuova normativa in quanto non applicabile alla fattispecie rappresentata in istanza poiché l’interpellante era già iscritta all’AIRE.
Viene infine rilevato dall’Amministrazione interpellata, anche se in termini generali, come rispetto alla normativa in questione sia intervenuto anche il Legislatore con il c.d. Decreto Crescita (D.L. n. 34/2019) (in corso di conversione alla data in cui è stata resa la risposta, ma successivamente convertito nella L. 28 giugno 2019, n. 58). L’art. 5 del D.L. citato, modificando l’art. 16 del D.LGS. n. 147/2015, ha previsto che “i cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi…”.
Tale disposizione risolve, per ora solo a vantaggio dei lavoratori impatriati, una questione controversa in giurisprudenza, ovverosia la possibilità di dare prevalenza alla situazione sostanziale rispetto alla situazione formale. È il caso di soggetti residenti all’estero che non hanno provveduto all’iscrizione all’AIRE, sicché risultano fiscalmente residenti in Italia. Secondo la previgente prassi e la giurisprudenza della Corte di Cassazione in tale situazione dovrebbe prevalere la residenza italiana con l’impossibilità di accedere, nel caso di specie, al regime agevolato in parola. Il legislatore ha inteso, invece, più correttamente, precisare doversi dare prevalenza alla situazione sostanziale e alla residenza estera se essa è attribuita sulla base di una convenzione contro le doppie imposizioni (che, come noto, dà prevalenza alla situazione sostanziale).
La norma non viene però in concreto applicata, al caso in esame. L’Agenzia delle Entrate, per motivi procedurali che le impediscono di esprimersi nel caso concreto, si limita, infatti, ad affermare che “qualora l’interpellante, a causa della mancata iscrizione all’AIRE per due periodi d’imposta precedenti il trasferimento nel territorio dello Stato (requisito di cui “al comma 1, lettera a)”), sia in grado di provare la sua residenza estera dal 2016 ai sensi di quanto previsto dall’articolo 4 della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni, ratificata in Italia con la legge 5 novembre 1990, n. 329, e sempreché risultino soddisfatti gli altri requisiti richiesti dalla norma nulla osta alla fruizione del beneficio fiscale in esame”.