Per qualificare un rapporto di lavoro come subordinato, rileva, accanto al criterio dell’etero-direzione, una serie di indici sussidiari.
Nota a Cass. ord. 13 settembre 2019, n. 22932
Francesco Belmonte
La posizione di subordinazione del lavoratore rispetto al datore di lavoro comporta la etero-direzione della prestazione lavorativa, nel senso che compete al datore di lavoro il coordinamento della prestazione stessa, sia dal punto di vista spazio-temporale che funzionale.
Lo ribadisce, la Corte di Cassazione (ord.13 settembre 2019, n. 22932, conforme ad App. Roma n. 2793/2013), la quale chiarisce che il vincolo di subordinazione consiste, dal lato del lavoratore, in un vincolo di assoggettamento gerarchico (v. Cass. n. 13858/2009 e Cass. n. 2842/2004) e, da quello del datore di lavoro, nel potere imporre direttive non soltanto generali, in conformità delle esigenze organizzative e funzionali, ma concernenti di volta in volta l’intrinseco svolgimento delle mansioni affidate (v. Cass. n. 20002/2004).
La Corte precisa inoltre che “qualora il vincolo della subordinazione non sia agevolmente riscontrabile a causa del concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro, è necessario far riferimento a criteri complementari e sussidiari i quali non assumono valenza determinante se singolarmente considerati, ma apprezzati nel loro complesso possono costituire indizi concludenti per l’esistenza di un rapporto subordinato” (v. Cass. n. 9252/2010 e Cass. n. 6224/2004).
Per tale motivo, i giudici hanno evidenziato l’importanza di una serie di indici che possono caratterizzare la subordinazione, quali: la consegna delle buste paga, il riferimento all’inquadramento contrattuale, la corresponsione di competenze, come l’indennità compensativa del trattamento previdenziale e l’indennità estero, che sono proprie dei rapporti subordinati.
La decisione in esame si pone in linea con l’indirizzo consolidato della giurisprudenza di legittimità, la quale ha anche affermato che:
– il requisito tipico della subordinazione consiste in una prestazione dell’attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore e perciò con l’inserimento nell’organizzazione di questo;
– il “nomen iuris” attribuito dalle parti al rapporto può rilevare solo in concorso con altri validi elementi differenziali;
– in caso di non concludenza degli altri elementi di valutazione occorre accertare altri caratteri dell’attività lavorativa, come “la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell’impresa e le modalità di erogazione della retribuzione”. Tali indici, però, non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato, sia con quelli di lavoro autonomo parasubordinato (v. Cass. n. 8687/2018; Cass. n. 1717/2009; Cass. n. 224/2001).