Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 ottobre 2019, n. 25355

Licenziamento, Condotta gravemente colposa nell’espletamento
dell’attività di liquidatore di sinistri, Accertamento

 

Fatto

 

Rilevato che:

1. Il Tribunale di Cosenza, con sentenza nr. 2017
del 2016, respingeva l’opposizione, ex art. 1, comma 51, della legge nr. 92
del 2012, proposta sia dal lavoratore che dal datore di lavoro, avverso
l’ordinanza resa all’esito della fase sommaria con cui, in parziale
accoglimento dell’impugnativa di licenziamento, era stato dichiarato risolto il
rapporto di lavoro sin dalla data del licenziamento e la parte datoriale
condannata al pagamento di un’indennità pari a 20 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto con accessori;

2. la Corte di appello di Catanzaro, con sentenza
nr. 108 del 2018, pronunciando sul reclamo principale proposto da U.A. S.p.A. e
su quello incidentale proposto da W.G., in accoglimento del reclamo incidentale
respinto quello principale, annullava il licenziamento intimato al lavoratore
con provvedimento del 4 giugno 2013, ordinando ad U. S.p.A. la reintegrazione
del G. nel precedente posto di lavoro; condannava, altresì, la predetta società
al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, dal giorno del
licenziamento a quello della reintegrazione, con interessi; ordinava, invece,
al lavoratore la restituzione della somma pari ad otto mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto, oltre agli accessori dalla percezione al
soddisfo;

2.1. per quanto qui rileva, la Corte di appello
premetteva che al dipendente era stata contestata una condotta gravemente
colposa nell’espletamento della sua attività di liquidatore di sinistri, in
servizio presso la sede di Catanzaro, negli anni 2006/2010; in particolare, gli
era stato contestato di non aver effettuato, prima di disporre i pagamenti,
quell’attività istruttoria necessaria ad accertare il reale verificarsi o le
reale modalità di accadimento dei sinistri stradali e delle conseguenti lesioni
e ciò a fronte, nella prospettiva datoriale, di evidenti anomali; tanto in
relazione a 18 episodi;

2.2. la Corte di appello ha esaminato singolarmente
i 18 episodi contestati al lavoratore e ritenuto l’insussistenza di ciascuno di
essi; inoltre, fermo il predetto accertamento, ha osservato come il
ragguardevole carico di lavoro attribuito al lavoratore rendesse (comunque)
inesigibile la conoscenza delle anomalie che, invero, erano state
(asseritamente) rilevate, dalla parte datoriale, solo a seguito di una
dispendiosa e mirata attività di indagine;

2.3. riconosciuta la tutela ex art. 18, comma 4, della legge nr.
300 del 1970, la Corte di appello rigettava, invece, l’eccezione di aliunde
perceptum o percipiendum, non avendo la parte datoriale offerto elementi
specifici, idonei a dar conto di un minor danno da risarcire;

3. avverso la decisione, ha proposto ricorso per
cassazione U.A. S.p.A., affidato a quattro motivi, ed illustrato con memoria,
depositata ex art. 380 bis. 1 cod.proc.civ.;

4. ha resistito, con controricorso, il lavoratore;

 

Diritto

 

Considerato che:

1. con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotto omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti; parte ricorrente critica la complessiva valutazione
dei fatti; imputa alla sentenza di non aver ben valutato la contestazione mossa
al lavoratore, riferita a plurimi episodi che, nel complesso, esprimevano una
condotta di mala gestio;

1.1. il motivo è, in radice, inammissibile in quanto
formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, nr. 5,
cod.proc.civ. novellato, senza tenere in alcun conto gli enunciati di Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi
costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. nr. 19881 del 2014, nr.
25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici),
esplicitamente denunciando che la Corte di appello non avrebbe «correttamente
valutato, tutti insieme, gli elementi dedotti dalla scrivente difesa e,
soprattutto, tutte insieme, le contestazioni mosse dalla compagnia», così
proponendo, nella sostanza, una diversa lettura della vicenda storica che ha
originato il contenzioso, estranea al presente giudizio di legittimità;

2. con il secondo motivo – ai sensi dell’articolo 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la
violazione dell’art. 2697 cod.civ.; la critica
investe la statuizione che dà per accertata la sussistenza di «[…] un
notevole carico di lavoro cui il G. doveva far fronte nell’espletamento delle
mansioni di liquidatore […]» nonché l’affermazione secondo cui un tale carico
«[…] (fosse) oggettivamente emerso».

(cfr. pag. 28 della sentenza impugnata); per la
parte ricorrente, la Corte di appello avrebbe dato per provata una circostanza
neppure dedotta dal lavoratore, così violando la regola processuale di
distribuzione del carico probatorio;

2.1. Il motivo è inammissibile;

2.2. è sufficiente osservare come la censura colga
un punto della sentenza privo di decisività. L’accoglimento della domanda del
lavoratore è fondata sul rilievo dell’insussistenza dei fatti contestati; tale
ratio costituisce la base della decisione mentre le ulteriori considerazioni,
in ordine alla inesigibilità della condotta pretesa dal lavoratore, in ragione
del carico di lavoro, appaiono meramente rafforzative e prive, perciò, di
autonoma rilevanza (sulla inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione
che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta «ad abundantiam»,
e pertanto non costituente «ratio decidendi» della medesima, cfr., ex plurimis,
Cass. nr. 23635 del 2010);

3. con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – è dedotta la
violazione dell’art. 2697 cod. civ. nonché – ai
sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. –
l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio e oggetto di discussione tra
le parti; parte ricorrente imputa alla sentenza di non aver preso in
considerazione la copiosa documentazione offerta dalla parte datoriale a
sostegno della propria ricostruzione (di legittimità del licenziamento) e di
aver fatto proprie le difese del lavoratore, carenti di prova documentale e
neppure confermate in sede testimoniale;

3.1. anche il terzo motivo è da respingere;

3.2. quanto alla violazione di legge, non appare
pertinente la censura formulata in relazione all’articolo
2697 cod.civ.; la violazione della regola processuale viene in rilievo nelle
sole fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto
controverso, applichi la regola di giudizio basata sull’onere della prova,
individuando come soccombente la parte onerata della prova; è in tale
eventualità che il soccombente può dolersi della non corretta ripartizione del
carico della prova;

3.3. nell’ipotesi di causa, la Corte territoriale ha
accertato, sulla base della valutazione degli elementi di causa,
l’insussistenza delle condotte contestate, sicché non hanno influito sulla
decisione la distribuzione dell’onere probatorio e le conseguenze del suo
mancato assolvimento;

3.4. quanto al vizio di motivazione, valgono le
considerazioni già espresse in relazione al primo motivo; la censura non indica
il «fatto storico», non

esaminato, che abbia costituito oggetto di
discussione e che abbia carattere decisivo (come sopra, Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014 cit. e
successive);

4. con il quarto motivo – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – è dedotta omessa
e/o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio; la critica afferisce al rigetto dell’eccezione di aliunde perceptum
et percipiendum; la parte ricorrente imputa alla Corte di appello di non aver
effettuato i necessari approfondimenti al riguardo, come era, invece, suo
onere;

4.1. la censura, come sviluppata, è estranea
all’ambito di applicazione dell’art. 360 nr. 5
cod.proc.civ., esulando, peraltro, dal vizio di motivazione «le
argomentazioni o deduzioni difensive» (cfr. Cass.,
sez.un., nr. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. nr. 14802 del 2017;
Cass. nr. 21152 del 2015);

4.2. la Corte di appello ha fatto corretta
applicazione del principio secondo cui «il datore di lavoro che invochi
l’aliunde perceptum da detrarre dal risarcimento dovuto al lavoratore deve
allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini dell’assolvimento del
relativo onere della prova su di lui incombente, è tenuto a fornire indicazioni
puntuali, rivelandosi inammissibili richieste probatorie generiche o con
finalità meramente esplorative» (ex plurimis, Cass.
nr. 2499 del 2017); quindi, con giudizio di fatto, non validamente
censurato in questa sede, per le considerazioni innanzi espresse, i giudici del
merito hanno ritenuto che le istanze istruttorie al riguardo formulate fossero
generiche e meramente esplorative;

5. conclusivamente, il ricorso va respinto con le
spese liquidate come in dispositivo, secondo soccombenza;

6. occorre dare atto della sussistenza dei
presupposti di cui all’art. 13,
comma 1 quater, D.P.R. nr. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, della legge nr. 228
del 2012.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00
per compensi professionali, in euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese
generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. nr.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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