Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2019, n. 26225

Rapporto di lavoro, Sanzione disciplinare di sospensione di
un giorno dal servizio e dalla retribuzione, Eccessiva velocità di conduzione
dell’autobus aziendale

 

Rilevato

 

1. Che la Corte di appello di Trieste ha confermato
la sentenza di primo grado che aveva annullato la sanzione disciplinare di
sospensione di un giorno dal servizio e dalla retribuzione irrogata da T. T.
s.p.a. al dipendente F. G.;

1.1. che, in particolare, il giudice di appello ha
ritenuto inammissibile, in quanto di contenuto valutativo e non vertente su
fatti intesi in senso oggettivo e naturalistico, la prova orale articolata
dalla società datrice in ordine al fatto oggetto di contestazione rappresentato
dalla eccessiva velocità di conduzione dell’autobus aziendale, rispetto alle
caratteristiche del mezzo ed alla visibilità esistente, alla cui guida si
trovava il G.;

2. che per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso Trieste Trasporti s.p.a. sulla base di quattro motivi; la parte
intimata non ha svolto attività difensiva;

3. che parte ricorrente ha depositato memoria ai
sensi dell’art. 380- bis. 1.1. cod. proc. civ.

 

Considerato

 

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 7, legge n. 300 del 1970
e dell’art. 116 cod. proc. civ. censurando la
sentenza impugnata per avere escluso dall’indagine ad essa demandata
l’accertamento dei fatti oggetto di contestazione per preteso carattere dello
stesso solo soggettivo, affidato in fatto ad una valutazione puramente
individuale di due persone;

2. che con il secondo motivo deduce violazione o
falsa applicazione degli artt. 244, 115 e 116 cod. proc.
civ. censurando la sentenza impugnata per mancata ammissione dei capitoli
di prova articolati, destinati a provare la realizzazione della condotta
addebitata;

3. che con il terzo motivo deduce nullità della
sentenza per violazione dell’art. 132, comma 4,
cod. proc. civ. e dell’art. 111 Cost. sul
rilievo che la motivazione utilizzata – riferita al carattere valutativo delle
circostanze capitolate – si poneva in contrasto con il contenuto dei capitoli
di prova;

4. che con il quarto motivo deduce violazione o
falsa applicazione degli artt. 420 e 421 cod. proc. civ. censurando, in sintesi, il
mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio che assume giustificato in
relazione ad una serie di circostanze di fatto relative essenzialmente alla
condizione dei luoghi, ammesse dal G. nel ricorso introduttivo ed anche in sede
stragiudiziale;

5. che il primo motivo di ricorso è inammissibile;

5.1. che la sentenza impugnata non ha propriamente
affermato il difetto di specificità della contestazione nel senso della
inidoneità della stessa a consentire al lavoratore di comprendere con pienezza
gli addebiti ascritti, con lesione, quindi, del suo diritto di difesa, ma ha
rilevato come il fatto ascritto si configurasse quale espressione di
valutazioni meramente soggettive ed individuali ed ha ritenuto che tali
caratteristiche non consentissero di dare ingresso alla prova orale sul punto
(sentenza, pagg. 8 e 9); in altri termini, il riferimento ai profili soggettivi
della contestazione si pone, nella economia della motivazione, come
strettamente funzionale a sorreggere la mancata ammissione della prova orale,
ma non include anche una valutazione di non specificità della contestazione;

5.2. che alla luce di quanto ora osservato non
pertinente alle effettive ragioni che sorreggono la decisione si rivela la
censura incentrata sulla violazione del principio di specificità della
contestazione ex art. 7 legge
n. 300 del 1970;

5.3. che, in ogni caso, la deduzione di violazione
di norme di legge non è articolata in termini conformi alla valida censura
della decisione posto che anziché vertere sul significato e sulla portata
applicativa dell’articolo 7
della legge n. 300 del 1970 risulta incentrata sulla concreta valutazione
del contenuto della contestazione, il cui apprezzamento è riservato al giudice
di merito ed è sindacabile in cassazione solo mediante precisa censura, senza
limitarsi a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione
impugnata (Cass. n. 13667 del 2018, Cass. n.
14619 del 1999, Cass. n. 437 del 1998);

5.4. che in merito, poi, alla dedotta violazione
dell’art. 116 cod. proc. civ. trova
applicazione il condivisibile orientamento di questa Corte secondo il quale in
tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea
valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma,
rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di
fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente
apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena
prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti
invece a valutazione, (Cass. n. 27000 del 2016) questioni neppure astrattamente
prospettate dall’odierna parte ricorrente;

6. che il secondo motivo di ricorso è infondato ;

6.1. che la sentenza impugnata, sul rilievo che la
prova orale deve vertere su fatti intesi in senso oggettivo e naturalistico e
non su meri giudizi o apprezzamenti, ha ritenuto inammissibili le circostanze
oggetto dei capitoli di prova in quanto affidate a valutazioni puramente
individuali ed alle <<sensazioni>> dei presenti all’episodio;

6.2. che l’affermazione è coerente con la
giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la prova testimoniale deve
avere ad oggetto fatti obiettivi e non apprezzamenti o valutazioni richiedenti
conoscenze tecniche o nozioni di esperienza non rientranti nel notorio (Cass. n. 5548 del 2010, Cass. n. 2435 del 1990);

6.3. che l’esame dei capitoli sulla quale era stata
chiesta la prova orale giustifica la valutazione di inammissibilità della
stessa atteso che la verifica del fatto oggetto di contestazione –
rappresentato dalla eccessiva velocità nella guida del mezzo affidato al G. –
non è ancorata ad alcun elemento obiettivo di riscontro ma dichiaratamente
affidata alla percezione soggettiva dei funzionari della società che hanno
proceduto alla segnalazione, come reso palese dal riferimento alla <<
sensazione comune dei medesimi>>;

7. che il terzo motivo di ricorso è infondato;

7.1. che, come noto, la motivazione meramente
apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche,
alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non
mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga
una effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso
che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso
logico -giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato
che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da
“error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non
renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante
argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito
dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare
all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture
(Cass. Sez. Un. n. 22232 del 2016), oppure allorquando il giudice di merito
ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento
ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica,
rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla
logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017) oppure, ancora,
nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente
contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come
giustificazione del decisum ( Cass. n. 20112 del 2009 ). Tali carenze, che
l’odierna parte ricorrente assume sulla base di considerazioni del tutto
generiche ed assertive, non sono riscontrabili nella sentenza in esame della
quale sono agevolmente ricostruibili i percorsi argomentativi che hanno
condotto alla conferma della sentenza di primo grado, essenzialmente
riconducibili al mancato assolvimento da parte della società, per inadeguatezza
della prova articolata, dell’onere sulla stessa gravante di dimostrare i fatti
oggetto di contestazione;

8. che il quarto motivo è inammissibile;

8.1. che la giurisprudenza di questa Corte ha
chiarito che il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti,
nel rito del lavoro, dall’art. 421 cod. proc. civ.),
anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non è sindacabile in sede
di legittimità se non si traduce in un vizio di illogicità della sentenza; la
deducibilità della omessa attivazione dei poteri istruttori come vizio
motivazionale e non come error in procedendo, impedendo al giudice di
legittimità l’esame diretto degli atti, impone al ricorrente che muova alla
sentenza impugnata siffatta censura di riportare testualmente, in omaggio al
principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tutti quegli elementi
(emergenti dagli atti ed erroneamente non presi in considerazione dal giudice
di merito) dai quali era desumibile la sussistenza delle condizioni necessarie
per l’esercizio degli invocati poteri. In particolare, il ricorrente deve
riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emergeva l’esistenza di una
“pista probatoria”, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova
idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività (rispetto ai
quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione
istruttoria demandata al giudice di merito), e deve altresì allegare di avere
nel giudizio di merito espressamente e specificamente richiesto l’intervento
officioso, posto che, onde non sovrapporre la volontà del giudicante a quella
delle parti in conflitto di interessi e non valicare il limite obbligato della
terzietà, è necessario che l’esplicazione dei poteri istruttori del giudice
venga specificamente sollecitata dalla parte con riguardo alla richiesta di una
integrazione probatoria qualificata, (v. tra le altre, Cass. n. 12717 del 2010
, n. 6023 del 2009, n. 7119 del 2002);

8.2. che parte ricorrente non ha osservato gli oneri
prescritti al fine della valida censura della decisione; in particolare non ha
allegato di avere in secondo grado formulato specifica istanza di attivazione
dei poteri ex art. 437 cod. proc. civ.;
inoltre, le circostanze asseritamente configuranti una <<pista
probatoria>> non sono evocate nel rispetto del principio di cui all’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ.; invero in
relazione alle pretese ammissioni formulate dal G. non appare sufficiente la
trascrizione di alcuni passi del ricorso di primo grado (v. ricorso, pag. 21,
primo cpv.) che per la sua parzialità non consente alcuna verifica della
idoneità delle stesse a configurare una pista probatoria; analogamente deve
osservarsi in relazione alle circostanze di cui alla dichiarazione
stragiudiziale sottoscritta dal lavoratore e dal suo difensore (v. ricorso pag.
21 secondo cpv.,) la cui modalità di evocazione, connotata dalla riproduzione
solo di alcune parti della stessa, peraltro non riportate in forma integrale
come evincibile dal ricorso ai punti sospensivi, non consente di apprezzarne il
contenuto in funzione della decisività del ricorso ai poteri istruttori di
ufficio;

8.3. che in base alle considerazioni che precedono
il ricorso deve essere respinto;

9. che non si fa luogo al regolamento delle spese di
lite non avendo la parte intimata svolto attività difensiva;

10. che sussistono i presupposti per l’applicabilità
dell’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre
2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese di lite.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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