Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2019, n. 26227

Rapporto di lavoro, Prova dell’attività lavorativa espletata
– Differenze retributive dovute

 

Rilevato che

 

– con sentenza in data 25 aprile 2014, la Corte
d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza del giudice di primo grado che,
decidendo su due ricorsi riuniti, aveva respinto l’opposizione proposta da P.G.
avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore di R.D. a titolo di TFR
accogliendo, altresì, la domanda avanzata da quest’ultimo per differenze
retributive relative all’attività lavorativa svolta tra il 7 maggio 2001 ed il
18 giugno 2001, nonché fra il 7 maggio 2002 ed il 9 gennaio 2006;

– in particolare, il giudice di secondo grado ha
ritenuto congruamente motivata la decisione del Tribunale in ordine al
materiale istruttorio raccolto, da cui risultavano adeguatamente dimostrate
l’attività lavorativa espletata e le differenze retributive dovute;

– per la cassazione della sentenza propone ricorso
P.G., affidandolo a due motivi;

– resiste, con controricorso, l’INPS mentre R.D. è
rimasto intimato.

 

Considerato che

 

-con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione
tra le parti, nonché la violazione dell’art. 2697
cod. civ.;

– il motivo è inammissibile;

– premesso che, con riguardo alla violazione dell’art. 2697 cod. civ., la stessa può configurarsi
esclusivamente nel caso in cui l’onere probatorio venga addossato in capo alla
parte che non ne risulti legalmente gravata (cfr., ex plurimis, Cass. n. 17474
del 04/07/2018) con riferimento all’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nell’esame delle
risultanze istruttorie acquisite nel giudizio di secondo grado, da cui non
emergerebbe l’esistenza di un’attività costantemente sottoposta al controllo
datoriale, si tratta di una valutazione di fatto totalmente sottratta al
sindacato di legittimità, in quanto in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ.,
disposto dall’art. 54 co 1, lett.
b), del D.L. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la
conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di
legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del
requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale”
richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed
individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della
Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note
ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del
provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile
contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono
nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4),
c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del
prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

– con il secondo motivo di ricorso si deduce ancora la
violazione dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 2727 cod. civ., nonché dell’art. 1 L. n. 4 del 1953 con
riguardo all’espunzione dall’insieme dei crediti dei soli importi adeguatamente
quietanzati dal lavoratore;

– anche tale doglianza deve reputarsi inammissibile
atteso che – per costante giurisprudenza di legittimità, (cfr, fra le più
recenti, Cass. n. 20335 del 2017, con
particolare riguardo alla duplice prospettazione del difetto di motivazione e
della violazione di legge) il vizio relativo all’incongruità della motivazione
di cui all’art. n. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e
sussiste quando il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito
presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l’individuazione del criterio
logico posto a fondamento della decisione, o comunque, qualora si addebiti alla
ricostruzione di essere stata effettuata in un sistema la cui incongruità
emerge appunto dall’insufficiente, contraddittoria o omessa motivazione della
sentenza;

– invece, attiene alla violazione di legge la
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando
necessariamente una attività interpretativa della stessa;

– nella specie, la stessa piana lettura delle modalità
di formulazione dei motivi considerati induce ad escludere, ictu oculi, la
deduzione di una erronea sussunzione nelle disposizioni normative mentovate
della fattispecie considerata, apparendo, invece, chiarissima l’istanza volta
ad ottenere una inammissibile rivalutazione nel merito della vicenda;

-alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso va dichiarato inammissibile;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo in favore dell’unica parte costituitasi;

– sussistono i presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 – bis dell’ articolo 13 comma 1
quater del d.P.R. n. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento, in favore dell’INPS, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in euro 4000,00 per compensi ed euro 200,00 per
esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1 – bis dello
stesso articolo 13 (ndr comma
1 – bis dello stesso articolo 13).

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