Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 ottobre 2019, n. 26455
Rapporto di lavoro, Svolgimento di mansioni superiori,
Differenze retributive, Attività caratterizzata dal possesso di adeguate
competenze tecniche e gestionali, Prova
Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n.
3891/2014, rigettava l’appello proposto da ATAC s.p.a., quale incorporante di
M. s.p.a., avverso la sentenza del Tribunale del lavoro di Roma che, in
accoglimento della domanda proposta da D.O., aveva condannato la società M., di
cui il ricorrente era dipendente, al pagamento delle differenze retributive
maturate nel periodo ottobre 2002-giugno 2008, pari ad euro 18.627,77 a titolo
di svolgimento di mansioni superiori.
2. Il ricorrente, avente qualifica professionale di
“capo operatore”, parametro retributivo 188, aveva dedotto di avere
svolto mansioni di “capo unità tecnica”, parametro retributivo 205,
in quanto, quale responsabile dell’impianto di Acqua Acetosa, aveva provveduto
alla gestione dei mezzi (manutenzione) e del personale (organizzazione dei
turni di lavoro, permessi, ferie e sostituzioni) nonché all’amministrazione del
settore “rifiuti speciali”.
3. La Corte di appello, nel confermare la sentenza
di primo grado, premetteva che la figura del “capo operatore”
riguarda quei lavoratori che “… in possesso di adeguate conoscenze e
capacità professionali, svolgono attività di significativo contenuto
tecnico-operativo nonché funzioni di coordinamento di un gruppo organizzato di
operai partecipando altresì alle attività lavorative dello stesso”, mentre
la figura del “capo unità tecnica” spetta a quei lavoratori che
“…in possesso di adeguate
competenze tecniche e gestionali, con margini di discrezionalità e di
iniziativa e con relativa responsabilità di risultati, gestiscono unità
operative di tipo tecnico, fornendo anche un contributo operativo
diretto…”.
3.1. Osservava che, sulla base delle risultanze
istruttorie acquisite in primo grado, era emerso che era l’appellato a
programmare e disporre le manutenzioni periodiche effettuate sui mezzi; a
decidere eventuali priorità nell’esecuzione di
determinati lavori rispetto ad altri, valutandone la relativa urgenza e
l’importanza; a provvedere alla rilevazione giornaliera delle presenze del
personale, a organizzare i turni di lavoro e la c.d. “cicIazione” del
personale; ad occuparsi dello studio e della soluzione dei problemi tecnici e
della tenuta dei registri relativi ai rifiuti speciali.
3.2. Riteneva la Corte di appello che, sulla base
degli elementi emersi, fosse provato lo svolgimento, nel periodo dedotto in
giudizio, di mansioni proprie del superiore livello, in quanto l’attività
svolta risultava caratterizzata dal possesso di adeguate competenze tecniche e
gestionali, con margini di discrezionalità e di iniziativa e con relativa
responsabilità dei risultati.
4. Per la cassazione di tale sentenza ATAC s.p.a. ha
proposto ricorso affidato ad un solo, articolato motivo. Ha resistito con
controricorso D.O..
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c. (inserito dall’art. 1, lett. f, del D.L. 31 agosto
2016, n. 168, conv. in L. n. 25 ottobre 2016,
n. 197).
Considerato che
1. Con unico articolato motivo la società ricorrente
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.
2095 e 2099 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
violazione e falsa applicazione dell’accordo per il rinnovo del C.C.N.L.
autoferrotranvieri del 27 novembre 2000 (art. 360
n. 3 c.p.c.).
Sostiene che dal raffronto delle declaratorie delle
due qualifiche di “capo operatore” e di “capo unità
tecnica” risulta che quest’ultima figura professionale è propria del
dipendente che esercita un potere di gestione su un’intera unità operativa di
tipo tecnico, mentre nel caso in esame gli elementi valorizzati dalla Corte
territoriale erano riconducibili ad attività di tipo tecnico-operativo comunque
rientranti nella qualifica di appartenenza. Argomenta che il resistente svolse
soltanto attività di coordinamento limitatamente agli operai dell’officina,
mentre il “capo di unità tecnica” gestisce un’intera unità tecnica
che si compone di personale sia operaio che amministrativo. Deduce che, anche
in ordine all’attività concernente la gestione del registro dei rifiuti
speciali, il resistente era sempre stato assistito da responsabile del Servizio
Sicurezza Qualità e Ambiente della società. Censura la sentenza per violazione
degli artt. 115 e 116
c.p.c. con riguardo alla valutazione e all’apprezzamento del materiale
istruttorio da parte della Corte territoriale.
2. Preliminarmente, va respinta l’eccezione di
inammissibilità del ricorso per tardività, sollevata dalla parte resistente per
superamento del termine semestrale ex art. 327
c.p.c., quale introdotto dall’art.
46, comma 17, legge n. 69 del 2009, in vigore dal 4 luglio 2009.
2.1. Secondo costante giurisprudenza di questa
Corte, l’art. 46, comma 17, della
legge n. 69 del 2009, che ha abbreviato in sei mesi il termine di
proposizione delle impugnazioni ex art. 327 cod.
proc. civ., trova applicazione, ai sensi dell’art. 58, comma primo, della
stessa legge ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e,
quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione
di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio (Cass. n. 6007 del
2012 e 17060 del 2012, 15741 del 2013, 19969
del 2015, 20102 del 2016, 19979 del 2018). Nel
caso in esame il giudizio di primo grado venne introdotto nel maggio 2009,
prima dell’entrata in vigore della riforma, di talché il termine per proporre
ricorso per cassazione resta regolato dal regime previgente (termine lungo
annuale).
2.2. Il ricorso per cassazione risulta notificato il
10 giugno 2015, entro il termine di un anno decorrente dalla pubblicazione
della sentenza di appello, avvenuta il 10 giugno 2014.
3. Il ricorso, seppure ammissibile, è tuttavia
infondato
4. Premesso che nel procedimento logico-giuridico
diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato,
non può prescindersi dall’osservanza di tre fasi successive, e cioè
dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte,
dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo
di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi
della normativa contrattuale individuati nella seconda (Cass. n. 26234 del
2008; conformi, fra le molte: n. 28284 del 2009;
n. 20272 del 2010; n. 8589 del 2015), deve
osservarsi che tale procedimento risulta osservato compiutamente nella sentenza
impugnata, la quale, fatto un richiamo alle risultanze istruttorie sulle
mansioni svolte, non ha trascurato di individuare nella loro complessità i
tratti differenziali e specializzanti del rivendicato parametro (205) rispetto
al parametro di assegnazione (188), sottolineando la riconducibilità delle
mansioni svolte nel parametro superiore.
4.1. In particolare, ha evidenziato che D.O. aveva
ricoperto per molti anni la posizione di responsabile dell’impianto di Acqua
Acetosa della società datrice di lavoro, operando con autonomia e assunzione di
responsabilità: a lui erano riferibili l’attività di programmazione degli
interventi sui mezzi, anche per quanto atteneva alle valutazioni dell’urgenza e
dell’importanza; sempre all’attuale resistente erano riferibili le attività di
programmazione dei turni e di gestione in genere del personale assegnato alla
stazione; al medesimo facevano capo anche le attività concernenti la gestione
dei rifiuti speciali. Tale insieme di mansioni correttamente sono state
ricondotte nell’alveo della declaratoria della qualifica di “capo unità
tecnica”, la quale richiede, come esattamente rilevato dalla Corte
territoriale, oltre al possesso di adeguate competenze tecniche e gestionali,
l’esercizio delle mansioni con margini di discrezionalità e di iniziativa, con
responsabilità dei risultati riferibile alla gestione di unità operative di
tipo tecnico.
5. In tema di ricorso per cassazione, una questione
di violazione o di falsa applicazione degli artt.
115 e 116 c.p.c. non può porsi per una
erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito,
ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a
base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio
al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo
prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come
facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova
soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016, conf. Cass. 1229 del
2019).
6. Anche la denuncia di violazione degli artt. 2095 e 2099 c.c.
è inammissibile.
Essa, pur denunciando un’erronea ricognizione della
fattispecie legale, in realtà allude ad una erronea sussunzione della
fattispecie concreta in quella astratta previa ricostruzione dei fatti secondo
un diverso apprezzamento di merito e non secondo la ricostruzione fattuale
posta a base della sentenza impugnata.
6.1. Il vizio di falsa applicazione di legge
consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi
implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione
(Cass. n.7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n.
26110 del 2015, n. 195 del 2016). E’ dunque inammissibile una doglianza che
fondi il presunto errore di sussunzione – e dunque un errore interpretativo di
diritto – su una ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento
della decisione, alla stregua di una alternativa interpretazione delle
risultanze di causa.
6.2. L’assunto secondo cui, in realtà, il resistente
coordinava soltanto il personale operaio involge una diversa ricostruzione di
fatto della vicenda, inammissibile in questa sede.
7. In conclusione, il ricorso va rigettato, con
condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di
legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo per esborsi e
compensi professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento
del compenso totale per la prestazione, ai sensi dell’art. 2 del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.
8. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato, pari a quello dovuto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002. Il raddoppio del contributo unificato, introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228
del 2012, costituisce una obbligazione di importo predeterminato che sorge
ex lege per effetto del rigetto dell’impugnazione, della dichiarazione di
improcedibilità o di inammissibilità della stessa.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna l’Azienda ricorrente
al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro
4.000,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese
generali e accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.