Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 ottobre 2019, n. 26459

Appalto, Cooperativa, Obbligazione solidale della
committente, Tutele di carattere retributivo e previdenziale

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Torino ha confermato la
sentenza del Tribunale che aveva dichiarato l’Inps decaduto dal diritto di far
valere ai sensi dell’art. 29 del
d.lgs. n. 276/2003 la responsabilità della committente F. snc stante
l’inosservanza da parte dell’Istituto del termine di due anni fissato dalla
norma citata entro cui il committente rimaneva esposto alla pretesa
contributiva in solido con l’appaltatore Cooperativa 2000.

La Corte ha osservato che, contrariamente a quanto
affermato dall’Inps secondo cui il termine era previsto solo per i lavoratori,
la norma non operava distinzioni tra retribuzioni e contribuzioni e definiva
l’estensione temporale dell’obbligazione solidale della committente; che
tenendo conto del carattere eccezionale della norma non poteva essere adottata
un’interpretazione estensiva.

Ha osservato, inoltre, che l’Inps aveva eccepito il
parallelismo tra la disciplina dell’art. 29 e
quella degli art. 3 e 4 L. n. 1369/1960 ed aveva rilevato che il termine annuale
fissato dall’art. 4 era
stato ritenuto non applicabile all’Inps e che, tuttavia, proprio, le differenze
esistenti tra le due norme consentivano di pervenire a risultati opposti
rispetto a quelli auspicati dall’Inps. In particolare la Corte territoriale ha
sottolineato che l’art. 3 della
L. n. 1369/1960 prospettava in due commi separati le tutele di carattere
retributivo e previdenziale e riferiva il termine annuale solo ai diritti dei
lavoratori.

Quanto alla ratio della norma ha osservato che
effettivamente aveva ampliato le garanzie di adempimento retributivo e
previdenziale; che tuttavia l’interesse pubblico al recupero contributivo si
accompagnava anche l’interesse alla certezza dei rapporti giuridici e che il
termine biennale era, comunque, tale da consentire all’Inps di assumere
iniziative giudiziali contro i committenti.

Infine ha ritenuto infondata l’eccezione dell’Inps
secondo cui il termine decadenziale era stato interrotto a seguito della
notifica del verbale ispettivo del 17/6/2009 atteso che la decadenza poteva
essere impedita solo dal compimento dell’atto previsto dalla legge o dal
contratto.

2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps. Resiste la
soc F.. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 cpc.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso, l’INPS denuncia
la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, come modificato
prima dall’art. 6, commi 1 e 2,
d.lgs. n. 251/2004 e poi dall’art.
1, comma 911, L. n. 296/2006, laddove si è ritenuto che il termine di decadenza
si applichi anche all’INPS e non ai soli lavoratori, senza considerare che
l’INPS nell’esercizio dei poteri d’ufficio non può decadere, come precisato
dalla giurisprudenza di legittimità formatasi a proposito dell’ art. 4 della legge n. 1369 del
1960 (Cass. n. 996 del 2007).

2. Con il secondo motivo, subordinato rispetto al
primo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 2, come modificato
prima dall’art. 6, commi 1 e 2,
d.lgs. n. 251 del 2004 e poi dall’art. 1, comma 911, L. n. 296 del
2006 e degli artt. 2964, 2966 cod.civ. e 2967
cod.civ. laddove la sentenza impugnata ha ritenuto che la decadenza, ove
ritenuta sussistente, si possa evitare solo con l’introduzione di un giudizio.

3.Il primo motivo è fondato dovendo richiamarsi
quanto già affermato da questa Corte nella recente sentenza
n. 18004/2019.

4. L’ articolo
29, secondo comma, d.lgs. n. 276 del 2003, oggetto nel tempo di varie
modifiche, è stato sin dalla sua entrata in vigore incentrato sulla previsione
di un vincolo di solidarietà tra committente ed appaltatore, secondo un modulo
legislativo che intende rafforzare l’adempimento delle obbligazioni retributive
e previdenziali, ponendo a carico dell’imprenditore che impiega lavoratori
dipendenti da altro imprenditore il rischio di dover rispondere in prima
persona delle eventuali omissioni di tale imprenditore.

5. Questa Corte di cassazione, nell’interpretare i
concreti contenuti della fattispecie in ipotesi di domande proposte dai
lavoratori, quanto all’oggetto dell’obbligazione ed al meccanismo di
operatività, ha avuto modo di precisare che : – il regime della responsabilità
solidale del committente ha riguardo agli emolumenti, al cui pagamento il
datore di lavoro risulti tenuto in favore dei propri dipendenti, di natura
strettamente retributiva e concernenti il periodo del rapporto lavorativo
coinvolto dall’appalto (restando esclusa l’applicabilità del predetto regime
alle somme liquidate ad esempio a titolo di risarcimento del danno da
licenziamento illegittimo, Cass. n. 27678 del 30/10/2018); inoltre, l’art. 29, comma 2, del d.lgs n. 276
del 2003, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal d.l. n. 5 del 2012, conv. con modif. in L. n. 35 del 2012, e dalla n. 92 del 2012, rilevante ratione temporis
nell’odierna fattispecie, non prevedeva un regime di sussidiarietà bensì
un’obbligazione solidale del committente con l’appaltatore per il pagamento dei
trattamenti retributivi ed i contributi previdenziali dovuti al dipendente,
come si evince dal tenore letterale della norma nonché dalla sua
“ratio”, intesa ad incentivare un utilizzo più virtuoso dei contratti
di appalto, inducendo il committente selezionare imprenditori più affidabili
per evitare che i meccanismi di decentramento e di dissociazione tra titolarità
del contratto di lavoro e utilizzazione della prestazione vadano a danno del
lavoratore (Cass. n. 31768 del 07/12/2018);
ancora, la logica della solidarietà tra l’appaltatore ed il committente sancita
dall’art. 29, comma 2, del d.lgs.
n. 276 del 2003, che garantisce il lavoratore circa il pagamento dei
trattamenti retributivi dovuti in relazione all’appalto cui ha personalmente
dedicato le proprie energie lavorative, nonché il dato testuale della norma,
che fa riferimento al periodo di esecuzione del relativo contratto, impongono
di ritenere che la solidarietà sussiste solo per i crediti maturati con
riguardo al periodo del rapporto stesso, con esclusione di quelli sorti in
altri periodi, ed il termine biennale dalla cessazione dell’appalto previsto
dalla suddetta disposizione ha natura di termine di decadenza per la
proposizione dell’azione giudiziale per i crediti per i quali vi sia tale
possibilità (Cass. n. 17725 del 2017).

6. Il rafforzamento della garanzia dei lavoratori è
perseguito dalla legge anche attraverso la specificazione che il committente
deve corrispondere non solo i trattamenti retributivi ma anche i contributi
previdenziali ai medesimi correlati.

7. Occorre, dunque, approfondire l’interpretazione
del secondo comma dell’art. 29,
con riferimento alla obbligazione contributiva dell’appaltante chiamato in via
di solidarietà. Il secondo comma dell’art. 29 appena citato, nella
stesura in vigore rilevante nella presente fattispecie e precedente alle
modifiche apportate dal D.L. 9 febbraio 2012, n. 5,
prevede(va) <[..] 2. In caso di appalto di opere o di servizi il committente
imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché
con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due
anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi e i contributi

8. La questione controversa può riassumersi
nell’alternativa tra due opzioni interpretative. Una prima, secondo la quale si
tratterebbe di una peculiare obbligazione contributiva che, pur legittimando il
solo Ente previdenziale alla pretesa – posto che il lavoratore non può certo
ricevere i contributi – sia del tutto conformata alla speciale azione
riconosciuta al lavoratore e, quindi, soggetta al termine di decadenza di due
anni. La seconda, ispirata a ragioni di ordine sistematico, che proprio
dall’assenza, nell’art. 29 d.lgs.
n. 276 del 2003, di espresse regole relative alla pretesa contributiva ed
in considerazione della diversa natura delle due obbligazioni induce a ritenere
applicabile alla fattispecie la disciplina generale dell’obbligazione
contributiva che non prevede alcun termine di decadenza per l’esercizio dell’azione
di accertamento dell’obbligo contributivo, soggetto solo al termine
prescrizionale.

9. Questa seconda opzione è preferibile per varie
considerazioni. In primo luogo, va considerato che l’obbligazione contributiva
non si confonde con l’obbligazione retributiva che giurisprudenza di questa
Corte di legittimità ha da tempo consolidato il principio secondo il quale il
rapporto di lavoro e quello previdenziale, per quanto tra loro connessi,
rimangono del tutto diversi (vd., ex multis, Cass. 16 marzo 2004, n. 5353;
Cass. 24 ottobre 2003 n. 15979; Cass. 29 aprile 2003, n. 6673). L’obbligazione
contributiva, derivante dalla legge e che fa capo all’Inps, è distinta rispetto
a quella retributiva (Cass. n. 8662 del 2019), essa (Cass. n. 13650 del 2019) ha natura indisponibile
e va commisurata alla retribuzione che al lavoratore spetterebbe sulla base
della contrattazione collettiva vigente (cd. “minimale
contributivo”). Dunque, può affermarsi che la finalità di finanziamento della
gestione assicurativa previdenziale pone una relazione immanente e necessaria
tra la retribuzione dovuta secondo i parametri della legge previdenziale ed i
parametri dell’ente preposto alla realizzazione della tutela previdenziale.

10. Proprio dalla peculiarità dell’oggetto
dell’obbligazione contributiva, che coincide con il concetto di ” minimale
contributivo” strutturato dalla legge in modo imperativo, discende la
considerazione di rilevo sistematico che fa ritenere non coerente con tale assetto
l’interpretazione che comporterebbe la possibilità, addirittura prevista
implicitamente dalla legge come effetto fisiologico, che alla corresponsione di
una retribuzione – a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal
lavoratore- non possa seguire il soddisfacimento anche dall’obbligo
contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria
pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto.

11. Si spezzerebbe, in altri termini e senza alcuna
plausibile ragione logica e giuridica apprezzabile, il nesso stretto tra
retribuzione dovuta (in ipotesi addirittura effettivamente erogata) ed
adempimento dell’obbligo contributivo, con ciò procurandosi un vulnus nella
protezione assicurativa del lavoratore che, invece, l’art. 29 cit. ha voluto
potenziare.

12. Si deve, dunque, affermare il principio che
<il termine di due anni previsto dall’art. 29, comma 2, D.Lgs. n. 276/2003
non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla
sola prescrizione>.

Tanto in analogia all’orientamento formatosi sotto
il vigore della L. n. 1369/1960. Nel precedente
contesto normativo, infatti, questa Corte di cassazione ha avuto modo di
affermare che l’art. 4 della
legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (sul divieto di intermediazione ed
interposizione nelle prestazioni di lavoro), che poneva il termine di decadenza
di un anno dalla cessazione dell’appalto per l’esercizio dei diritti dei
prestatori di lavoro, dipendenti da imprese appaltatrici di opere e servizi nei
confronti degli imprenditori appaltanti – pur facendo riferimento, oltre che ai
diritti al trattamento economico e normativo, anche al diritto di pretendere
l’adempimento degli obblighi derivanti dalle leggi previdenziali – limitava
l’ambito di efficacia del suddetto termine ai diritti suscettibili di essere
tatti valere direttamente dal lavoratore, non potendosi estendere invece
l’efficacia dell’anzidetta disposizione legislativa ad un soggetto terzo, quale
l’ente previdenziale i cui diritti scaturenti dal rapporto di lavoro
disciplinato dalla legge si sottraggono, pertanto, al predetto termine annuale decadenziale
(ex multis Cass. Sentenza n. 18809 del 2018; n. 6532 del 20/03/2014; Cass. n. 996 del 2007).

13. Il secondo motivo, alla luce delle superiori considerazioni,
resta assorbito.

14. In definitiva, accolto il primo motivo e
dichiarato assorbito il secondo la sentenza impugnata deve essere cassata e il
giudizio rinviato alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione al
fine di procedere all’accertamento della pretesa contributiva fatta valere
dall’Inps alla luce del principio sopra indicato, nonché per la regolazione
delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara
assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata, quanto al motivo accolto, e
rinvia alla Corte d’appello di Torino in diversa composizione anche per spese
del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 ottobre 2019, n. 26459
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