Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 ottobre 2019, n. 26460
Licenziamento per giusta causa, Impossibilità della
ricollocazione nel precedente luogo di lavoro, Accertamento, Idoneo riscontro
probatorio all’ottemperanza sull’obbligo di repechage
Fatti di causa
1. In data 30 aprile 2014 la D.S. srl intimava il
licenziamento per giusta causa ad E.L., dipendente con contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato dall’1.11.2012 con mansioni di pulitrice ed
inquadramento nel 2° livello del CCNL per le imprese di pulimento, servizi
integrati e multiservizi e con orario part-time, ed assegnata all’appalto delle
pulizie del locali dell’Ente Committente 31° Stormo dell’Aeronautica Militare,
per fatti accaduti il 10.4.2014, quando erano caduti dalla tromba delle scale
del Reparto “Alloggi Ufficiali”, presso cui prestava servizio, un
ventilatore, un telefono ed un appendiabiti.
2. Il licenziamento veniva dichiarato illegittimo
con sentenza definitiva della Corte di appello di Roma n. 9260 del 2015.
3. In data 8 luglio 2015 la società comunicava alla
E. l’intenzione di procedere ad un nuovo licenziamento per giustificato motivo
oggettivo costituito dalla impossibilità di una sua ricollocazione nel
precedente luogo di lavoro, avendo l’Ente committente disposto il “divieto
assoluto di accesso in base” della lavoratrice in quanto “persona non
gradita”, con conseguente intervenuta soppressione della posizione
lavorativa presso il suddetto luogo di lavoro con assorbimento delle mansioni e
dell’orario osservati da quest’ultima del personale rimasto in servizio;
l’insussistenza di ulteriori posizioni di lavoro sia equivalenti, sia di
livello inferiori presso le quali ricollocare la lavoratrice medesima.
4. Il licenziamento veniva comminato il successivo
28 luglio 2015.
5. Con ordinanza n. 54101/2016 il giudice del lavoro
di Roma accertava e dichiarava l’illegittimità di tale ultimo licenziamento,
ordinando la reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società al
risarcimento del danno commisurato a tutte le mensilità della retribuzione
globale di fatto dalla data del recesso, oltre alla regolarizzazione
contributiva previdenziale ed assistenziale.
6. Il Tribunale di Roma, adito in sede di
opposizione, dichiarava invece risolto il rapporto dalla data di licenziamento
e condannava la società al pagamento di 18 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, oltre accessori; rigettava, altresì, l’opposizione
incidentale con la quale era stata chiesta la conferma dell’ordinanza con
sostituzione/integrazione della motivazione nella parte in cui era stata omessa
la declaratoria della natura discriminatoria o ritorsiva del licenziamento, con
ordine di reintegrazione ex art.
18 legge n. 300 del 1970.
7. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n.
503 del 2018, rigettava i reclami hic et inde proposti nei confronti della
pronuncia di primo grado.
8. I giudici di seconde cure, a fondamento della
decisione, precisavano che: 1) era corretta l’impostazione del Tribunale che
aveva accertato l’esistenza delle circostanze dedotte come motivi di
licenziamento, ma non aveva ritenuto le stesse tali da giustificare il
licenziamento; 2) a fronte, infatti, della dimostrata soppressione dello
specifico posto di lavoro, la società non aveva fornito sufficiente prova della
possibilità di impiegare la lavoratrice in un posto di lavoro con mansioni
equivalenti; 3) la società non aveva fornito, quindi, idoneo riscontro
probatorio di avere ottemperato all’obbligo di repechage su di essa gravante,
peraltro ancora più pregnante trattandosi di mansioni non altamente
qualificate; 4) dagli atti era emerso che la società, nel corso dell’anno 2015,
aveva incrementato le assunzioni ed aveva concluso ulteriori quattro contratti
di appalto tra marzo e maggio 2015, con conseguente assunzione di nuovo
personale nella misura di 25 unità fino a tutto il 30.9.2015; 5) il
licenziamento non poteva considerarsi discriminatorio.
9. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione E.L. affidato a quattro motivi.
10. Ha resistito con controricorso la D.S. srl
formulando ricorso incidentale sulla base di due motivi, cui ha resistito, a
sua volta, con controricorso E.L., illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo E.L. denunzia, ex art. 360 co. 1 n. 4 cpc, la violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 cpc ovvero l’omessa
pronuncia, per non essersi la Corte territoriale pronunciata sulle questioni,
oggetto del motivo di gravame, in ordine alla manifesta insussistenza del fatto
circa l’assoluta impossibilità di collocare la lavoratrice presso la società.
3. Con il secondo motivo, in via subordinata, la
ricorrente principale si duole, ex art. 360 co. 1
n. 4 cpc, della violazione degli artt. 132 cpc
e 118 disp. att. cpc perché, sulla suddetta
questione, quand’anche si fosse voluto ritenere che la Corte di merito si era
pronunciata allorquando aveva precisato che la società non aveva fornito idoneo
riscontro probatorio all’ottemperanza sull’obbligo di repechage su di essa
gravante, tuttavia la relativa motivazione era solo apparente e non in grado di
consentire la ratio decidendi seguita dal giudice.
4. Con il terzo motivo, in via ulteriormente
subordinata, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si
censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 18 comma 7 legge n. 300 del
1970 perché, nell’ipotesi in cui non si fossero rilevati i vizi sopra
denunziati, la Corte di appello comunque aveva errato nell’applicazione della
norma di cui all’art. 18 co. 7
legge n. 300 del 1970 in quanto non aveva considerato che l’impossibilità
di ricollocazione del lavoratore nel posto ritenuto soppresso rappresentava una
imprescindibile condizione di fatto che legittimava il licenziamento con la
conseguenza che la tutela applicabile era quella reintegratoria, sia pure
attenuata.
5. Con il quarto motivo la E. lamenta, ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti,
costituito dalla inesistenza della causale addotta del licenziamento in
contestazione, ingiustificato per carenza di veridicità e per pretestuosità
della causale stessa, essendo state dimostrate la stipulazione di nuovi
contratti di appalto e l’assunzione di nuovi dipendenti.
6. La E. conclude chiedendo una pronuncia ex art. 384 cpc, non essendo necessari ulteriori
accertamenti in fatto.
7. Con il primo motivo del ricorso incidentale la
società denunzia l’omesso esame di un punto decisivo della controversia e
conseguente vizio di omessa motivazione, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per non avere la Corte
territoriale, nella risoluzione della questione afferente la dedotta
impossibilità del “repechage”, esaminato il fatto storico
dell’acquisizione di appalti ad opera della società D.S. srl esclusivamente
attraverso il meccanismo di salvaguardia dell’occupazione disciplinato dall’art. 4 del CCNL Multiservizi,
tale da determinare “l’inesistenza di posti vacanti ove reimpiegare le
risorse provenienti da altre commesse”: fatto la cui esistenza risultava
dal testo del reclamo proposto da essa società e che la E. non aveva inteso
specificamente contestare determinandone, avuto riguardo alla disposizione di
cui all’art. 115 cpc, la pacificità in causa.
8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale si
sostiene la violazione e falsa applicazione degli artt.
2697 cc e 24 Cost. e conseguente erroneità
della sentenza in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3
cpc, per non avere la Corte territoriale, nella risoluzione della questione
afferente la dedotta impossibilità del repechage, considerato che la pretesa
del lavoratore di ricollocazione lo oneri di introdurre nel processo fatti che ne
costituiscono il fondamento, giacché, diversamente, l’esito del ragionamento
sarebbe la violazione, oltre che dell’articolo 2697
cc, del diritto di difesa sancito dall’art. 24
Cost., posto che, sulla parte datoriale graverebbe l’onere di dedurre più
di quanto dedotto dalla controparte al precipuo scopo di provare
l’insussistenza di alternative occupazionali compatibili con la professionalità
del dipendente licenziato.
9. I primi due motivi del ricorso principale, da
trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono infondati.
10. La violazione del principio di corrispondenza
tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art.
112 cpc, sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei
contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno
virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e
situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un
titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda
(cfr. Cass. 17.1.2008 n. 906; Cass. 3.2.1999 n. 919).
11. Inoltre è sanzionabile con la nullità ex art. 132 n. 4 cpc e 118
disp. att cpc, a seguito della nuova formulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, solo la sentenza la cui
motivazione non consenta la ricostruzione ed il controllo del procedimento logico-giuridico
seguito dal giudice per giungere alla decisione, sicché solo la mancanza della
motivazione stessa o la presenza di una puramente apparente o di una sua
manifesta ed irriducibile contraddittorietà ovvero allorquando sia perplessa o
incomprensibile (Cass. 12.10.2017 n. 23940; Cass. 25.9.2018 n. 22598) può dare
luogo alla violazione delle suddette disposizioni.
12. Nella fattispecie i vizi denunciati non
sussistono perché la Corte territoriale, con argomentazioni da cui è possibile
evincere le ragioni della decisione, in ordine alla dedotta manifesta
insussistenza del fatto sulla asserita impossibilità di collocare la
lavoratrice presso la società, ha specificato che non era stata fornita
sufficiente prova della possibilità di impiegare la E. in un altro posto di
lavoro con mansioni equivalenti, chiarendone successivamente le cause.
13. Sotto il profilo procedurale, pertanto, l’iter
logico seguito dai giudici di seconde cure è stato logicamente e
sufficientemente esplicitato e ciò rende, pertanto, insussistenti entrambe le
denunziate violazioni.
14. Il terzo motivo è, parimenti, infondato.
15. La sentenza della Corte territoriale è conforme
agli orientamenti di legittimità cui si intende, in questa sede, dare seguito.
16. Infatti, è stato affermato (Cass. 2.5.2018 n. 10435) che, in tema di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la verifica del requisito
della “manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento” previsto dall’art. 18 comma 7 St. Lav.,
come novellato dalla legge n. 92 del 2012,
concerne entrambi i presupposti di legittimità del recesso e, quindi, sia le
ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al
regolare funzionamento di essa sia l’impossibilità di ricollocare altrove il
lavoratore (cd. “repechage”), fermo l’onere della prova che grava sul
datore di lavoro ai sensi dell’art.
5 della legge n. 604 del 1966, la “manifesta insussistenza” va
riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio,
assenza dei suddetti presupposti, che consenta di apprezzare la chiara
pretestuosità del recesso.
17. Inoltre, è stato specificato (Cass. 8.1.2019 n. 181) che l’insufficienza
probatoria in ordine all’adempimento dell’obbligo di “repechage” non
è sussumibile nell’alveo della manifesta insussistenza del fatto, contemplata
dall’art. 18 comma 7 St. lav.,
nella formulazione, modificata dalla legge n. 92
del 2012, “ratione temporis” applicabile, che va riferita solo ad
una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei
presupposti di legittimità del recesso, con la conseguenza che va applicata la
tutela risarcitoria in assenza di una prova sufficiente dell’impossibilità di
reperire una posizione lavorativa compatibile con la professionalità del
lavoratore licenziato.
18. La Corte di appello, pertanto, rilevando che la
società non aveva fornito prova sufficiente della possibilità di impiegare la
lavoratrice in un posto di lavoro con mansioni equivalenti e confermando la
tutela risarcitoria già disposta in prime cure, si è in sostanza adeguata ai
suddetti principi affermati da questa Suprema Corte.
19. Infine, anche il quarto motivo è infondato.
20. L’art. 360 co. 1 n.
5 cpc, riformulato dall’art.
54 D.l. n. 83/2012 conv. in legge n. 134/2012,
ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione,
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale
a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia (Cass. 29.10.2018 n. 27415; Cass. n.
8053/2014).
21. Nel caso in esame, la Corte di merito ha
valutato il profilo della “pretestuosità” del licenziamento ritenendo
che la ricostruzione in punto di fatto della vicenda consentiva, da un lato, di
affermare che il secondo licenziamento non era legittimo e, dall’altro, di
negare la natura discriminatoria del licenziamento che necessitava, in
sostanza, di una prova specifica (non fornita) sul punto della esclusività
dell’intento ritorsivo quale ragione del provvedimento espulsivo.
22. Ciò è sufficiente per escludere il dedotto vizio
ex art. 360 co. 1 n. 5 come sopra delineato,
essendo la questione in punto di fatto stata esaminata.
23. Venendo all’esame del ricorso incidentale,
proposto dalla società, osserva il Collegio che il primo motivo è
inammissibile.
24. Invero, la ricorrente non ha specificato il
“come” ed il “quando” la questione delle assunzioni
effettuate da essa società, quali conseguenza dell’aggiudicazione di nuovi
appalti attraverso il meccanismo di salvaguardia dell’occupazione disciplinato
dall’art. 4 CCNL Multiservizi,
sia stata prospettata in primo grado e sia entrata nel contesto delle
allegazioni oggetto del thema decidendum.
25. La censura si limita a richiamare unicamente un
riferimento, peraltro generico, all’atto di reclamo “(pagg. 15, 16 e
17)” ove era stato lamentato il fatto asseritamente non esaminato, ma non
specifica, invece, in quale atto del primo grado la circostanza fosse stata
specificamente indicata ed allegata.
26. Il secondo motivo del ricorso incidentale è,
invece, infondato.
27. La Corte di appello correttamente ha affermato
che spettava al datore di lavoro provare l’impossibilità di
“repechage” con riferimento alla situazione esistente al momento del
licenziamento (Cass. 13.6.2016 n. 12101; Cass. 5.1.2017 n. 160), incombendo, infatti, su
di esso l’onere di allegare e dimostrare l’inesistenza di altri posti di lavoro
cui utilmente ricollocare il lavoratore (Cass.
19.4.2017 n. 9869; Cass. 20.10.2017 n. 24882).
28. La mancanza di allegazioni del lavoratore circa
l’inesistenza di una posizione disponibile può corroborare il quadro probatorio
circa l’impossibilità di essere adibito altrove qualora tale impossibilità sia
accertata attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti (Cass. 23.5.2018 n. 12794), ma non sposta di certo
il profilo dell’onere della prova del rispetto del relativo obbligo che grava
pur sempre sul datore di lavoro in virtù del disposto dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966.
29. In relazione a tale aspetto la gravata pronuncia
è, quindi, condivisibile e priva di errori giuridici.
30. Alla stregua di quanto esposto, in conclusione,
sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.
31. La soccombenza reciproca induce a compensare tra
le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
32. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, sempre
come da dispositivo, limitatamente alla società ricorrente incidentale.
33. Quanto ad E.L., ammessa al patrocinio a spese
dello Stato, va dato atto, allo stato, della non sussistenza dei presupposti
per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello dovuto per il ricorso principale, stante la prenotazione a debito delle
spese in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22.3.2017 n.
7368; Cass. 2.9.2014 n. 18523).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.