Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 ottobre 2019, n. 27337
Limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio, Sentenza
di annullamento che accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di
norme di diritto e per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della
controversia, Giudice tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato
dalla sentenza di Cassazione e a valutare ex novo fatti già acquisiti o altri
fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite
dalla Suprema Corte
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Napoli, con sentenza
pubblicata il 6 febbraio 2018, in seguito a rinvio disposto da questa Corte con
la pronuncia n. 23620 del 2015 resa tra G. Srl e M.L., ha, in primo luogo,
rigettato l’appello proposta dalla società nei confronti della sentenza del
Tribunale di Benevento n. 847 del 2012, confermando pertanto l’illegittimità
del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato alla lavoratrice
in data 21 gennaio 2009; ha, poi, accolto il reclamo proposto dalla medesima
società avverso la sentenza n. 700 del 2014 del medesimo Tribunale e, in
riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato legittimo il successivo
licenziamento intimato alla stessa lavoratrice, sempre per motivo oggettivo, in
data 11 ottobre 2012.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso la G. Srl con 5 motivi, cui ha resistito la M. con controricorso,
contenente ricorso incidentale affidato ad un motivo; a quest’ultimo ha
resistito la società con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale si
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
350 c.p.c., in relazione al disposto di cui all’art. 1, co. 58 e ss, I. n. 92 del
2012, e dell’art. 151 disp. att. c.p.c..
Si lamenta che la Corte territoriale abbia deciso
con unica sentenza due procedimenti distinti, soggetti a riti diversi, mentre
si assume che secondo la sentenza rescindente i due giudizi avrebbero dovuto
essere decisi separatamente.
Il motivo è privo di fondamento.
Oltre ad essere inammissibilmente formulato, in
quanto denuncia un preteso error in procedendo senza identificare quale ragione
determinerebbe la nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., non tiene conto che
la trattazione congiunta dei due processi è stata disposta in seguito a
riunione effettuata in sede di legittimità con simultanea rimessione al giudice
del rinvio che era unico e non poteva che trattare i due processi
congiuntamente, come correttamente ha fatto, esaminando separatamente
innanzitutto il primo licenziamento e, ravvisata l’illegittimità dello stesso,
successivamente il secondo.
2. Con il secondo motivo il ricorso principale –
rispetto al primo licenziamento dichiarato illegittimo dalla Corte territoriale
– denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
394, co. 2, c.p.c., deducendo che la Corte del rinvio non si sarebbe
uniformata al dettato della sentenza di cassazione: i giudici di merito
avrebbero negato la sussistenza della prova di condizioni congiunturali
aziendali sfavorevoli, laddove la sentenza n. 23620/2015 “aveva,
espressamente, escluso che il motivo oggettivo giustificante il recesso potesse
essere identificato solo con le dette condizioni congiunturali sfavorevoli,
dovendosi, invece, verificare la sussistenza di una volontà aziendale volta ad
una diversa e maggiormente economica organizzazione del lavoro”.
Con il terzo mezzo si denuncia violazione ancora
dell’art. 394 c.p.c. avendo i giudici di merito
“proceduto, con scrutinio ad esito negativo, ad una valutazione relativa
alla tempestività della deduzione di parte G. … della assegnazione delle
mansioni prima espletate dalla M. ad altra dipendente maggiormente qualificata”;
secondo la società “la sentenza remittente della Corte di Cassazione aveva
disposto che i giudici di merito verificassero se fosse stata, da parte
aziendale, fornita la prova di suddetta circostanza, ritenendo, pertanto,
definitivamente acquisita al processo la ritualità della deduzione”.
3. I motivi, da valutarsi congiuntamente per
reciproca connessione, non sono meritevoli di accoglimento.
Come noto “il ricorso per cassazione avverso la
sentenza pronunciata in sede di rinvio, diretto a denunciare la mancata
osservanza del principio di diritto fissato con la pronuncia di annullamento,
od il mancato assolvimento dei compiti con essa affidati, implica il
potere-dovere della suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e
la portata della propria precedente statuizione” (Cass. n. 2020 del 1981;
Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n. 19212 del 2005; Cass.
n. 9395 del 2006).
I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio
sono diversi a seconda che la sentenza di annullamento abbia accolto il ricorso
per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di
motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per l’una e
per l’altra ragione (Cass. n. 12817 del 2014),
come nel caso che ci occupa.
Nella prima ipotesi, il giudice è tenuto soltanto ad
uniformarsi, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1,
al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità
di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo
(Cass. n. 12347 del 1999; Cass. n. 5769 del 1999; Cass. n. 188 del 1994; Cass.
n. 3572 del 1987); nella seconda ipotesi, invece, egli non solo può valutare
liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai
fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in
sostituzione di quella cassata; nella terza ipotesi, infine, la potestas
iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del
principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già
acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia
consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di Cassazione e sempre
nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse (Cass. n. 6707 del 2004).
Orbene nel caso all’attenzione del Collegio la sentenza n. 23620 del 2015 di questa Corte, dopo
aver affermato i principi di diritto che in astratto regolavano la fattispecie
in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, una volta
cassata la sentenza impugnata che aveva ritenuto sufficiente “l’assenza di
prova del calo produttivo”, ha demandato al giudice del rinvio – sia rispetto
al primo che rispetto al secondo licenziamento – di applicare i principi
espressi e, quindi, di verificare in concreto se vi fosse una ragione
organizzativa (quale “l’attribuzione all’altra dipendente, biologa, delle
mansioni prima affidate alla dipendente licenziata o comunque la
redistribuzione delle mansioni tra il personale già presente o
neo-assunto”) idonea a sostenere i licenziamenti intimati.
Ciò evidentemente “nel rispetto delle
preclusioni e decadenze pregresse” (Cass. n. 6707/2004 cit.) e quindi con
preclusione di ogni nuova attività assertiva di fatti non allegati ritualmente
nella precedente fase del giudizio (v. Cass. n. 3555 del 1972).
La Corte di Appello ha quindi rivalutato le ragioni
poste a base del primo licenziamento e ha constatato che a fondamento del
medesimo non era stata indicata alcuna ragione organizzativa rappresentata
dall’ “assorbimento delle mansioni della lavoratrice licenziata da parte
di altro lavoratore, di eguale o diverso profilo”.
Tanto non solo avuto riguardo alla motivazione
contenuta nella stessa lettera di licenziamento, ma anche con riferimento a
tutte le difese articolate dalla società nel giudizio di primo grado, per cui
la questione non poteva essere certo sollevata in grado d’appello.
La società ricorrente, lungi dal censurare tale
aspetto della sentenza impugnata, contrastandola con l’indicazione dei
contenuti testuali degli atti del giudizio di primo grado dai quali risultasse
che la ragione posta alla base del primo licenziamento era l’affidamento ad altri
delle mansioni sottratte alla M., ritiene invece erroneamente che la questione
fosse superata dalle affermazioni in diritto della pronuncia rescindente, che
invece ha affidato al giudice del rinvio il compito di effettuare le dovute
verifiche.
La stessa ricorrente trascura poi di considerare che
nella sentenza n. 23620/15 è richiamato
espressamente il principio che “l’esercizio del potere organizzativo è
tuttavia illegittimo per sviamento (il détournement della giurisprudenza
amministrativa francese) quando il motivo addotto non risulti provato, ciò che
avviene per le situazioni potestative di qualsiasi contenuto, pubblico o
privato” e che la Corte napoletana, richiamato tale principio già
contenuto nella sentenza di cassazione cui doveva uniformarsi, ha correttamente
applicato anche quello sancito da Cass. n. 25201
del 2016 secondo cui, ove il licenziamento per giustificato motivo
oggettivo “sia stato motivato richiamando l’esigenza di fare fronte a
situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere
straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste,
il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla
mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta
dall’imprenditore”.
4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione
all’art. 437 e all’art.
394 c.p.c., assumendo che la M. non aveva mai sollevato alcuna eccezione in
merito alla “tempestività” della specifica allegazione, né nel
giudizio di appello né in quello di riassunzione, per cui non aveva “mai
chiesto ai giudici di merito di ritenere tardive le allegazioni”.
Il motivo è inammissibile perché la violazione del
canone della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato si configura nelle
sole ipotesi di mancato esame di domande o eccezioni di merito (per tutte v.
Cass. n. 22592 del 2015 con la giurisprudenza ivi richiamata; più di recente,
Cass. n. 321 del 2016; conf. Cass. n. 25154 del 2018), mentre nella specie
parte ricorrente non identifica la domanda o l’eccezione di merito rispetto
alla quale si sarebbe consumata la violazione dell’art.
112 c.p.c., non essendo certo tale l’identificazione della ragione posta a
fondamento del licenziamento che spetta certamente al giudice valutare.
5. Con l’ultimo motivo la società denuncia
“violazione e falsa applicazione del disposto dell’art. 3 della I. n. 604/66, art. 30, co. 1, I. n. 183/2010”,
sostenendo che la Corte napoletana avrebbe perseverato nell’errore,
“ritenendo … che il motivo oggettivo giustificante il licenziamento
possa esistere solo in ipotesi di <contrazione delle attività> o
<riduzione della pianta organica>”; si afferma che “la
valutazione <negativa> delle risultanze documentali attuate dai giudici
di merito appare errata per illogicità”.
Il motivo è inammissibile perché maschera sotto
l’involucro solo formale della violazione di legge quella che è una critica
alla ricostruzione fattuale operata dai giudici del merito, come è reso
manifesto dal riferimento alla “errata” valutazione delle
“risultanze documentali”.
6. Con l’unico motivo di ricorso incidentale la M.
lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della I. n. 604 del 1966:
si deduce che “se la Corte del rinvio avesse adeguatamente approfondito le
risultanze istruttorie, come emerse nella fase monocratica dinanzi al Tribunale
di Benevento, avrebbe potuto facilmente verificare che anche con riguardo al
secondo licenziamento non vi era stata alcuna prova idonea a giustificare la
concreta sussistenza della contrazione di attività lamentata dalla G.”.
Anche tale motivo è inammissibile perché, al pari
dell’ultima censura del ricorso principale, occulta all’interno della formale
denuncia dell’errore di diritto la doglianza circa il mancato
“approfondimento” delle risultanze istruttorie, invocando una
rivalutazione del materiale probatorio preclusa a questa Corte di legittimità.
7. Conclusivamente entrambi i ricorsi devono essere
respinti e, stante la reciproca soccombenza, sussistono le condizioni per
compensare le spese del giudizio di legittimità.
Occorre altresì dare atto della sussistenza per
entrambe le parti dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, come modificato dall’art.
1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale e incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.