Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 ottobre 2019, n. 26957

Iscrizione alla gestione artigiani in quanto titolare di
autonoleggio, Pagamento degli ulteriori contributi calcolati sul maggior
reddito costituito dagli utili percepiti, Presupposti

 

Fatto e diritto

 

1. La Corte d’appello di Trento ha confermato la
sentenza del Tribunale di Rovereto che aveva dichiarato l’insussistenza dei
presupposti per il pagamento alla gestione artigiani da parte di M.P., iscritto
alla gestione artigiani in quanto titolare di autonoleggio, degli ulteriori
contributi richiesti dall’Inps per gli anni 2012-2013 calcolati sul maggior
reddito costituito dagli utili percepiti dal P. quale socio della soc. R.P.
srl, avente ad oggetto sociale la locazione di beni immobili e per la quale il
P. non aveva mai lavorato, ne come socio lavoratore, né come amministratore.

La Corte ha rilevato che l’Inps aveva posto a
fondamento della propria pretesa l’articolo 3-bis del decreto-legge
384/1992, convertito con modificazioni nella legge
14 novembre 1992 n. 438, in base al quale l’ammontare del contributo annuo
è “rapportato alla totalità dei redditi di impresa denunciati ai fini
Irpef per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono”. Secondo la
Corte, invece, tale disposizione quanto meno ambigua, non poteva costituire
fonte della pretesa dell’istituto ed ha osservato che i proventi che derivano
da partecipazione a società di capitali, qualora dipendenti esclusivamente da
investimenti di capitali, non avevano natura diversa dalle rendite ed erano del
tutto eterogenei rispetto ai redditi da lavoro cui si riferiva l’obbligo
contributivo nella gestione artigiani.

2. Avverso la sentenza ricorre l’Inps con un motivo.
Resiste il P. che deposita anche memoria ex art.
378 cpc.

 

Ragioni della decisione

 

3. Con l’unico motivo di ricorso l’INPS deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 3 bis
della I. 14 novembre 1992 n. 438, di conversione con modificazioni del d.l. 19 settembre 1992 n. 384 e in connessione con
questo della I. 2 agosto 1990 n. 233.

Sostiene che l’approdo al quale sono pervenuti i
giudici di merito sarebbe frutto di un’erronea ricostruzione in quanto la
normativa richiamata distinguerebbe tra imposizione fiscale e imposizione
previdenziale, al fine di assicurare un ampio spettro di commisurazione dei
contributi previdenziali, coerentemente con la gestione solidaristica del
sistema, producendo un effetto positivo sulla posizione del soggetto
interessato anche ai fini pensionistici.

4. La questione sottoposta al vaglio di questa Corte
attiene al fatto se il lavoratore autonomo, iscritto alla gestione
previdenziale in quanto svolgente un’attività lavorativa per la quale
sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria,
debba parametrare o meno il proprio obbligo contributivo a tutti i redditi
percepiti nell’anno di riferimento, tenendo conto anche di quelli da
partecipazione a società di capitali nella quale egli non svolge attività
lavorativa.

5. Allo scopo occorre premettere che l’art. 3 bis del d.l. 19
settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla I. 14 novembre 1992 n. 438, ha previsto che «A
decorrere dall’anno 1993, l’ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti
di cui all’art. 1 L. 2/8/1990 n.
233 è rapportato alla totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini
IRPEF per l’anno al quale i contributi stessi si riferiscono».

6. La disciplina previgente era contenuta nell’art. 1 della L. 2/08/1990, n. 233,
che prevedeva al primo comma che «A decorrere dal 1° luglio 1990 l’ammontare
del contributo annuo dovuto per i soggetti iscritti alle gestioni dei
contributi e delle prestazioni previdenziali degli artigiani e degli esercenti
attività commerciali, titolari, coadiuvanti e coadiutori, è pari al 12 per
cento del reddito annuo derivante dalla attività di impresa che dà titolo
all’iscrizione alla gestione, dichiarato ai fini Irpef, relativo all’anno
precedente».

7. Con la nuova disposizione rileva “la
totalità” dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF, non parlandosi
più della sola attività che dà titolo all’iscrizione alla gestione ex art. 1 della I. n. 233 del 1990.
Il legislatore ha dunque scelto di distinguere tra elementi sui quali si
radica, quale fatto giuridico strutturale, il sorgere della tutela
previdenziale in capo al lavoratore autonomo ed elementi ulteriori rispetto ad
essi, in relazione ai quali si individua comunque la misura della contribuzione
previdenziale dovuta.

8. La differente formulazione della norma realizza
chiaramente un ampliamento della base imponibile contributiva, secondo un
mutamento normativo che il legislatore ha inteso perseguire, in connessione con
il processo di armonizzazione della base imponibile contributiva a quella
valevole in ambito tributario.

9. Al fine di individuare quale sia il reddito di
impresa rilevante ai fini contributivi, occorre quindi per coerenza di sistema
fare riferimento alle norme fiscali, e dunque in primo luogo al testo unico
delle imposte sui redditi, D.P.R. 22/12/1986, n.
917.

10.11 suddetto D.P.R. contiene distinte disposizioni
onde qualificare i redditi d’impresa rispetto ai redditi di capitale: i primi,
a mente dell’art. 55 (nel testo
post riforma del 2004) sono quelli che derivano dall’esercizio di attività
imprenditoriale, mentre l’art. 44
lettera e) (nel testo post riforma del 2004) ricomprende tra i redditi di
capitale gli utili da partecipazione alle società soggette ad IRPEG (ora IRES).

11. Poiché la normativa previdenziale individua,
come base imponibile sulla quale calcolare i contributi, la totalità dei
redditi d’impresa così come definita dalla disciplina fiscale e considerato che
secondo il testo unico delle imposte sui redditi gli utili derivanti dalla mera
partecipazione a società di capitali, senza prestazione di attività lavorativa,
sono inclusi tra i redditi di capitale, ne consegue che questi ultimi non
concorrono a costituire la base imponibile ai fini contributivi INPS.

12. La soluzione che qui viene adottata è del tutto
coerente con l’impostazione del sistema come delineata dall’art. 38 II comma della Costituzione, che prevede
che la tutela previdenziale spetti ai lavoratori, non a coloro che si limitino
ad investire i propri capitali a scopo di utile.

13. Diversamente, per i soci di società di persone
opera il principio della trasparenza fiscale, in forza del quale i redditi
delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte
provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi di
impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali
redditi (art. 6 comma 3 del testo post riforma del 2004 del D.P.R. n. 917 del
2016).

14. Ed è proprio il diverso regime dettato per le
società di persone da cui deriva il principio, affermato da questa Corte nella sentenza n. 29779 del 2017, secondo
il quale ai fini della determinazione dei contributi dovuti dagli artigiani ed
esercenti attività commerciali, vanno computati anche i redditi percepiti in
qualità di socio accomandante, seppure diversi dal reddito che trova causa nel
rapporto di lavoro oggetto della posizione previdenziale.

15. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 354
del 7 novembre 2001, ha ben distinto tra la posizione dei soci (non lavoratori)
delle società di capitali e quelli delle società di persone, ove ha ritenuto
non fondata, in riferimento all’art. 3 cost.,
la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 bis d.l. 19 settembre
1992 n. 384, conv., con modif., in I. 14
novembre 1992 n. 438, il quale, sottoponendo a contribuzione INPS i redditi
denunciati ai fini IRPEF dal socio accomandante di società in accomandita
semplice, introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra socio
accomandante di società in accomandita semplice e socio di società di capitali.
Ha infatti rilevato che nell’ambito delle società in accomandita semplice (e in
quelle in nome collettivo) assume preminente rilievo, a differenza delle
società di capitali, l’elemento personale, in virtù di un collegamento inteso
non come semplice apporto di ciascuno al capitale sociale, bensì quale legame
tra più persone, in vista dello svolgimento di un’attività produttiva
riferibile nei risultati a tutti coloro che hanno posto in essere il vincolo
sociale, ivi compreso il socio accomandante; né la scelta del legislatore può
ritenersi affetta da irragionevolezza, in quanto all’onere contributivo si
correla un vantaggio in termini di prestazioni previdenziali ai sensi dell’art. 5 I. 2 agosto 1990 n. 233,
in base al quale la misura dei trattamenti è rapportata al reddito annuo di
impresa.

16. E’ vero che la Consulta nel richiamato arresto
ha rilevato che dall’art. 38, comma 2, Cost.,
non si desume un’intima e indefettibile correlazione tra contribuzione e
reddito di lavoro e che anzi, le più recenti riforme in materia evidenziano sia
il passaggio ad una più ampia accezione di base contributiva imponibile, tale
da ricomprendere non solo il corrispettivo dell’attività di lavoro, ma anche
altre attribuzioni economiche che nella attività stessa rinvengono soltanto
mera occasione, sia la convergenza, pur nella rispettiva autonomia di regimi,
tra disciplina fiscale e disciplina previdenziale quanto alla definizione della
base imponibile.

17. Tale tendenza all’ampliamento della base
contributiva deve però di necessità essere contenuto entro i limiti delineati
dal legislatore, non potendo giungersi ad estendere in via analogica la portata
delle relative previsioni, tra l’altro, come avverrebbe accogliendo la tesi dell’INPS,
disattendendo proprio il voluto parallelismo tra disciplina fiscale e
disciplina previdenziale.

18. Segue coerente il rigetto del ricorso.

Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la
soccombenza.

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1
quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi €
3.500,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso
delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

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