Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 ottobre 2019, n. 43656

Violazione della disciplina antinfortunistica, Lavori edili,
Omessa informativa sull’esistenza di rischi e sulle modalità di prevenzione
degli stessi, Responsabilità per omicidio colposo

 

Ritenuto in fatto

 

1. La Corte di appello di Roma il 24 maggio 2018,
per quanto in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Roma del 18 novembre 2015, con la quale, all’esito del
dibattimento, G. T. è stato ritenuto colpevole del delitto di omicidio colposo,
con violazione della disciplina antinfortunistica (capo E), e della
contravvenzione di cui agli artt.
19, comma 1, lett. a), e 56,
comma 1, lett. e), del d. Igs. 9 aprile 2008, n. 81 (capo D), per avere
omesso, in qualità di preposto, di esercitare una vigilanza adeguata al fine di
assicurare l’osservanza delle norme antinfortunistiche, fatti entrambi commessi
il 22 dicembre 2010, e, quindi, condannato alla pena di giustizia, oltre al
risarcimento dei danni in favore della parte civile, con assegnazione di
provvisionale, ed inoltre la s.r.l. “C. progetti e costruzioni”, in
persona del legale rappresentante, è stata riconosciuta responsabile
dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a), e 25-septies del d. Igs. n. 231 del 2001
(capo F), per non avere operato tempestivamente ed efficacemente per prevenire
la commissione del reato di omicidio colposo, ha dichiarato non doversi
procedere in relazione al capo D), perché estinto per intervenuta prescrizione,
rideterminando la pena nei confronti di G. T., riducendo la stessa; con
conferma quanto al resto.

2. I fatti, in estrema sintesi, come ricostruiti dai
giudici di merito.

2.1. Il 22 dicembre 2010, mentre erano in corso
lavori edili di sopraelevazione di un corpo di fabbrica in un edificio
pubblico, lavori dati in appalto ad un’associazione temporanea di imprese
(acronimo: A.T.I.) costituita tra la s.r.l. “Compagnia progetti e
costruzioni” e la s.r.l. R., l’operaio B. M., che stava conducendo una
macchina palificatrice (macchinario atto a perforare il suolo e porre in opera
micropali), a causa dell’improvviso crollo della pavimentazione sotto il peso
del pesante mezzo, rimaneva schiacciato tra la macchina ed il muro perimetrale
dell’edificio e decedeva quasi sul colpo.

L’A.T.I. aveva il 12 marzo 2010 stipulato un
contratto di nolo “a caldo”, in virtù del quale la ditta
“E.” s.r.l. forniva in noleggio la macchina perforatrice, da condursi
da parte di operai specializzati contestualmente messi a disposizione dalla
stessa “E.”, tra i quali B. M. (che era dipendente della
“Soiltecno” distaccato presso la “Eurofondazioni”).

La causa dell’infortunio è stata individuata nel
cedimento del suolo, che non era stato ricoperto da assi di legno e da lamiere
prima del passaggio del pesante mezzo onde impedire il precipitare dello stesso
per l’evenienza che il terreno avesse ceduto (a causa della presenza di vuoti
sotterranei o di tubazioni o della conformazione del suolo o altro).

2.2. La responsabilità dell’accaduto è stata
addebitata in entrambi i gradi di merito al datore di lavoro L. D. P.,
amministratore unico della s.r.l. “C. progetti e costruzioni” e al
capocantiere preposto G. T., odierno ricorrente.

La colpa dei due imputati è stata individuata, in
sintesi, nel non avere fornito ai lavoratori una specifica informativa sull’esistenza
di rischi e sulle modalità di prevenzione degli stessi, oltre che nella mancata
predisposizione di mezzi idonei a prevenire i rischi e nel non avere esercitato
la necessaria vigilanza al fine di assicurare l’osservanza delle norme
antinfortunistiche da parte dei lavoratori.

La società “C. progetti e costruzioni” è
stata riconosciuta responsabile dell’illecito amministrativo di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a), e 25-septies del d. Igs. n. 231 del 2001,
per non avere operato tempestivamente ed efficacemente per prevenire la
commissione del reato di omicidio colposo e, in conseguenza, condannata alla
sanzione amministrativa ritenute di giustizia.

3. Ricorrono per la cassazione della sentenza,
tramite distinti ricorsi affidati a differenti difensori G. T. (avv. P. M. G.)
e la “C. progetti e costruzioni” s.r.l. in liquidazione (avv. F. L.)
lamentando sia violazione di legge che difetto motivazionale.

4. Il ricorso dell’avv. P. M. G. nell’interesse per
G. T. è affidato a due motivi.

4.1. Con il primo si denunzia violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e, nel contempo, vizio di
motivazione.

Premette il ricorrente che l’affermazione di
condanna è fondata principalmente sulle dichiarazioni degli operai che
lavoravano nel cantiere, da cui sarebbe emersa l’assenza di una specifica
informativa sull’esistenza di rischi e sulle modalità di prevenzione degli
stessi, oltre che la mancata predisposizione di mezzi idonei a prevenire i
rischi.

Ciò posto, si rammenta che nell’atto di appello e
nella successiva memoria difensiva si è osservato che la ricostruzione del
giudice di primo grado sarebbe frutto di evidente travisamento delle emergenze
probatorie, in quanto il pericolo di crollo era, in realtà, trattato nel piano
operativo di sicurezza (acronimo: P.O.S.) del 27 luglio 2010, oltre che
affrontato in una riunione di cantiere, in cui si era programmato
l’aggiornamento del P.O.S., ed inoltre risultava dal giornale di cantiere del 6
ottobre 2010, oltre che dalle dichiarazioni dei testi ing. A. e B., del tecnico
della prevenzione, isp. Armellini, che ha affermato di avere trovato, al suo
arrivo nel cantiere per effettuare il sopralluogo, sia assi che lamiere, e di
operai, tra i quali B..

Nel cantiere erano presenti sia travi di legno che
lamiere da utilizzarsi proprio per la movimentazione del macchinario – macchina
palificatrice.

Si è anche evidenziato non essere dirimente la
circostanza dell’allontanamento temporaneo di T. dal cantiere al momento in cui
l’operaio ha movimentato il macchinario, in quanto in quel momento – essendo
l’inizio della pausa pranzo per gli operai – non erano previsti lavori da
svolgere.

Ciononostante, la Corte di appello ha confermato la
sentenza di condanna: richiamata la relativa motivazione, la si sottopone a
censura, in quanto avrebbe ricostruito solo parzialmente le emergenze
istruttorie e ne avrebbe travisato completamente il contenuto.

Analizzate, in particolare, le dichiarazioni dei
lavoratori B. H. e S. B., che si riferiscono nel ricorso nei passaggi ritenuti
essenziali, si assume che le stesse sarebbero state travisate, essendone stato
ribaltato il contenuto, avendo, in realtà i due, ad avviso del ricorrente,
dichiarato di essere stati informati dei pericoli legati all’utilizzo della
macchina, proprio a cura di T., ed anche forniti dei materiali (assi e lamiere)
per evitare tali rischi.

Tale travisamento sarebbe elemento decisivo su ci si
è fondato l’erroneo convincimento della Corte, emergente – si assume – dal
semplice confronto della sentenza impugnata con le trascrizioni delle
testimonianze.

Si richiama giurisprudenza di legittimità stimata
pertinente circa la ricorribilità per cassazione, nonostante la “doppia
conforme”, del vizio di travisamento puntualmente denunziato al giudice di
appello e dallo stesso trascurato.

4.2. Mediante il secondo motivo il ricorrente
censura ulteriore violazione dell’art. 192 cod.
proc. pen. e difetto di motivazione.

La Corte di merito sarebbe incorsa nel vizio di
omissione di pronunzia, avendo confermato la condanna omettendo, però, di
motivare circa le seguenti circostanze di fatto, allegate nell’impugnazione di
merito, limitandosi solo ad affermazioni apodittiche, basate però su dati
conoscitivi incompleti, e cioè:

che il pericolo di crollo della pavimentazione era
stato debitamente segnalato (come risulterebbe dal giornale di cantiere del 6
ottobre 2010, dal P.O.S. del 27 luglio 2010 e dalle deposizioni dei testi ingg.
A. e B. e dell’operaio B.);

che erano stati messi a disposizione degli operai
mezzi idonei a prevenire il rischio (rinvenuti dal tecnico della prevenzione
A.S.L. in sede di sopralluogo);

che non vi era prova che T. si fosse allontanato dal
cantiere nella consapevolezza dell’imminenza della movimentazione della
macchina palificatrice da parte dell’operaio, il quale ha agito nell’intervallo
della pausa pranzo.

5. Mediante il ricorso dell’avv. F. L.
nell’interesse della società si lamenta promiscuamente violazione di legge (artt. 5, 6 e 7 del d. Igs. n. 231
del 2001 e 125 cod. proc. pen.), anche
sotto il profilo della omissione di motivazione, che si addita altresì ad
illogica e contraddittoria.

Richiamata la motivazione circa la posizione della
società (pp. 14-15 della sentenza impugnata), si assume che la Corte di
appello, in realtà, non avrebbe bene inteso i motivi di appello, che si
richiamano, e, in conseguenza, non avrebbe correttamente risposto agli stessi.

L’impugnazione si articola nei tre seguenti
passaggi.

5.1. La società, secondo quanto si legge nel
ricorso, avrebbe in primo grado dimostrato ed inoltre argomentato nell’atto di
appello (pp. 22-26) e nella memoria del 18 ottobre 2017 (ultime due pagine)
circa l’esistenza di un modello di organizzazione, gestione e controllo
(acronimo: M.O.G.C.) ex lege n.
231 del 2001, art. 6, adottato dal consiglio di amministrazione prima dei
fatti, cioè il 12 aprile 2010, e la nomina di un organismo di vigilanza
(acronimo O.V.) che aveva svolto correttamente il proprio compito di verificare
la corretta applicazione del modello richiamato.

Richiamata la ratio della disciplina di cui all’art. 6 della legge n. 231 del 2001,
si osserva che sul punto vi sarebbe totale omissione di pronunzia da parte
della Corte di appello, che avrebbe ignorato il dato, essendosi limitata a
scarne considerazioni sul P.O.S., ritenuto inadeguato, P.O.S. che è, però,
documento diverso dal modello O.G.C., oltre che sulla inadeguatezza
dell’assolvimento di obblighi in maniera puramente formale.

In realtà – si osserva – «nel giudizio di
responsabilità dell’ente la mancanza o inidoneità del modello è il momento
centrale della valutazione del deficit organizzativo, e la verifica circa
l’adozione in concreto delle regole operative costituisce il successivo punto
di passaggio obbligato nel giudizio di accertamento dell’illecito
amministrativo» (così alla p. 6 del ricorso), ma tale valutazione sarebbe stata
del tutto omessa dai decidenti, non essendo ad essa dedicato una sola parola,
avendo la Corte di appello confermato una valutazione di responsabilità di tipo
puramente oggettivo e, addirittura, meramente presuntivo dell’ente.

5.2. Con riferimento, poi, al requisito
dell’interesse o vantaggio per l’ente, si assume che l’interpretazione
preferibile in giurisprudenza di merito dovrebbe essere quella che tali criteri
siano incompatibili con reati meramente colposi,

poiché la finalizzazione al vantaggio o
all’interesse dovrebbe derivare da una specifica tensione di genere
sostanzialmente volontario verso un obiettivo di risparmio di costi aziendali o
di possibili benefici economici per l’ente.

Avendo svolto anche tali considerazioni nell’atto di
appello (pp. 8-12), si rileva il censurabile silenzio anche su tale punto nella
sentenza impugnata.

5.3. Si denunzia, infine, ulteriore mancanza di
motivazione ed inoltre contraddittorietà ed illogicità della stessa, poiché
trascura che la decisione di primo grado (pp. 4-5) spiega che il teste B. ha
dichiarato di avere constatato mediante i suoi sopralluoghi che i lavoratori
utilizzavano regolari tavole per la distribuzione dei carichi sui solai e sul
terreno di fondazione, anche prima del passaggio della macchina palificatrice,
circostanze confermate dai testi A. e Lupoi.

Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza
impugnata.

 

Considerato in diritto

 

1. Quanto al ricorso nell’interesse dell’imputato G.
T., deve premettersi che, «Poiché la mancata osservanza di una norma
processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità,
inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto
dall’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen.,
non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., la cui inosservanza non
è in tal modo sanzionata» (così Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M., Rv.
274191-01; in conformità, tra le altre, Sez. 6, n. 7336 del 08/01/2004, Meta ed
altro, Rv. 229159-01; in termini, Sez. 1, n. 9392 del 21/05/1993, Germanotta,
Rv. 195306-01).

Tanto premesso, deve escludersi il denunziato
travisamento.

I giudici di merito, infatti, alle pp. 5-12 della
sentenza impugnata ed alle pp. 1-9 di quella di primo grado, hanno, con ampia
motivazione, strutturata anche mediante richiamo testuale di plurimi passaggi
istruttori, spiegato quanto segue: che più operai escussi (B. H. e S. M.) hanno
dichiarato di non avere capito che le tavole, pur presenti, avessero la
finalità di salvaguardare la sicurezza personale, essendo convinti che fossero,
invece, finalizzate soltanto a non rovinare il pavimento;

che l’operaio poi deceduto ha manovrato la macchina
con l’aiuto di un altro operaio presente (B. H.), che gli dava indicazioni, e
nella piena consapevolezza degli altri operai presenti, nessuno dei quali ha
trovato azzardato o strano il suo comportamento; anzi, uno di essi, S. M., ha
preventivamente stretto un tubo per evitare perdite di olio;

che quello, dunque, era il modo usuale di agire,
avallato anche da T., presente mentre Savin stringeva il tubo, di agire in quel
cantiere, ma poi allontanatosi cinque minuti prima della pausa pranzo perché
chiamato da due sindacalisti;

che, in ogni caso, le modalità del fatto dimostrano,
secondo i giudici di merito, che è mancato un efficace controllo da parte
dell’imputato capocantierepreposto e della società sul rispetto da parte dei
lavoratori della misure di sicurezza, in violazione, tra l’altro, degli artt. 5, comma 1, lett. a), e 25-septies del d. Igs. n. 231 del 2001
(capo F);

che soltanto dopo l’infortunio (avvenuto il 22
dicembre 2010), precisamente il 7 aprile 2011, il P.O.S. è stato aggiornato con
la indicazione specifica di tutte le operazioni da attuare per tutelare
l’incolumità dei lavoratori, essendo prima sul punto carente, contenendo la
versione originaria solo la previsione della necessità di attuare «tutte le
accortezze possibili», tuttavia non meglio specificate.

Si tratta di motivazione logica e congrua, basata
non solo su testimonianze, ma anche su emergenze documentali, che resiste alle
censure svolte.

2. Si passi ad esaminare il ricorso nell’interesse
della s.r.l. “C. progetti e costruzioni”.

2.1. La motivazione circa la responsabilità della
società si rinviene alle pp. 14-15 della sentenza impugnata ed alle pp. 10-11
di quella di primo grado.

Essa è incentrata sul rilievo – in sintesi – che
corrisponda al vantaggio o all’interesse della società il risparmio di tempo
nel collocare da parte degli operai le assi di legno e le lamiere a terra nel
percorso da effettuare dalla palificatrice solo in alcune limitate circostanze
e non durante tutta l’attività lavorativa della macchina e che vi fosse una
prassi quantomeno tollerante in tal senso.

Si evidenzia, inoltre, da parte dei giudici di
merito che la informazione sui rischi era stata data agli operai in maniera,
per così dire, formalistica e burocratica ma scarsamente comprensibile – e, in
effetti, non compresa – da parte dei destinatari.

2.2. Appare opportuno prendere le mosse dalla
previsione dell’art. 5 del d.
Igs. n. 231 del 2001, che, sotto la rubrica “Responsabilità
dell’ente”, recita:

«1. L’ente è responsabile per i reati commessi nel
suo interesse o a suo vantaggio:

a) da persone che rivestono funzioni di
rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità
organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone
che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla
vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).

2. L’ente non risponde se le persone indicate nel
comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi».

2.2.1. Va al riguardo premesso che «Il sistema
normativo introdotto dal D.Lgs. n. 231 del 2001,
coniugando i tratti dell’ordinamento penale e di quello amministrativo,
configura un “tertium genus” di responsabilità compatibile con i
principi costituzionali di responsabilità per fatto proprio e di colpevolezza
(Nell’affermare tale principio, la Corte ha chiarito, in tema di responsabilità
dell’ente derivante da persone che esercitano funzioni apicali, che grava sulla
pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza dell’illecito dell’ente,
mentre a quest’ultimo incombe l’onere, con effetti liberatori, di dimostrare di
aver adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del reato,
modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie
di quello verificatosi)» (così Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C.,
Espenhahn e altri, Rv. 26112-01; già in precedenza peraltro la S.C. aveva
ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 5 del d. Igs. n. 231
del 2001, sollevata con riferimento all’art. 27
Cost., poiché l’ente non è chiamato a rispondere di un fatto altrui, bensì
proprio, atteso che il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio da
soggetti inseriti nella compagine della persona giuridica deve considerarsi
tale in forza del rapporto di immedesimazione organica che lega i primi alla
seconda: v. infatti Sez. 6, n. 27735 del 18/02/2010, Scarafia e altro, Rv.
247665-01).

2.2.2. Ciò posto, imprescindibile punto di partenza
per la individuazione delle nozioni di “interesse” e di
“vantaggio” per l’ente nell’accezione di cui al richiamato art. 5 del d. Igs. n. 231 del 2001
è la nota pronunzia a Sezioni Unite n. 38343 del 24/04/2014, P.G., R.C.,
Espenhahn e altri, Rv. 261114-01 e 261115-01, secondo cui, rispettivamente, «In
tema di responsabilità da reato degli enti, i criteri di imputazione oggettiva,
rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del D.Lgs. 231 del 2001
all’ “interesse o al vantaggio”, sono alternativi e concorrenti tra
loro, in quanto il criterio dell’interesse esprime una valutazione teleologica
del reato, apprezzabile “ex ante”, cioè al momento della commissione
del fatto e secondo un metro di giudizio marcatamente soggettivo, mentre quello
del vantaggio ha una connotazione essenzialmente oggettiva, come tale valutabile
“ex post”, sulla base degli effetti concretamente derivati dalla
realizzazione dell’illecito» e «In tema di responsabilità da reato degli enti
derivante da reati colposi di evento, i criteri di imputazione oggettiva,
rappresentati dal riferimento contenuto nell’art. 5 del D.Lgs. n. 231 del 2001
all’ “interesse o al vantaggio”, devono essere riferiti alla condotta
e non all’evento».

“Interesse” e “vantaggio”,
dunque, non costituenti un’endiadi, essendo concetti giuridicamente diversi e
potendosi ipotizzare un interesse prefigurato come discendente da un indebito
arricchimento e magari non realizzato e, invece, un vantaggio obiettivamente
conseguito tramite la commissione di un reato (come già prefigurato da Sez. 2,
n. 3615 del 20/12/2005, dep. 2006, D’Azzo, Rv. 222957-01): «astrattamente […]
il reato può essere commesso nell’interesse dell’ente, senza procurargli in
concreto alcun vantaggio (sez. 4, n. 2544 dei 17/12/2015, dep. 21/1/2016 ,
Gastoidi ed altri). Con l’ulteriore precisazione che il concetto di
“interesse” attiene ad una valutazione ex ante rispetto alla
commissione del reato presupposto, mentre il concetto di “vantaggio”
implica l’effettivo conseguimento dello stesso a seguito della consumazione del
reato, e, dunque, si basa su una valutazione ex post» (così Sez. 4, n. 31210
del 19/05/2016, Merlino ed altro, non mass, in motivazione, sub n. 10.1. del
“considerato in diritto”).

Sulla scia della richiamata pronunzia del massimo
Consesso, si è ulteriormente puntualizzato da parte delle Sezioni semplici che
ricorre il requisito dell’interesse qualora l’autore del reato ha
consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire
un’utilità per l’ente, mentre sussiste il requisito del vantaggio qualora la
persona fisica ha violato sistematicamente le norme prevenzionistiche,
consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con
conseguente massimizzazione del profitto (Sez. 4, n. 2544 del 17/12/2015, dep.
2016, Gastoidi e altri, Rv. 268065-01) e, con più approfondita analisi e
secondo progressive puntualizzazioni, che «[…] il requisito dell’
“interesse” dell’ente ricorre quando la persona fisica, pur non
volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente
agito allo scopo di far conseguire un’utilità alla persona giuridica; ciò
accade, per esempio, quando la mancata adozione delle cautele
antinfortunistiche risulti essere l’esito, non di una semplice sottovalutazione
dei rischi o di una cattiva considerazione delle misure di prevenzione
necessarie, ma di una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi
d’impresa: pur non volendo (quale opzione dolosa) il verificarsi
dell’infortunio in danno del lavoratore, l’autore del reato ha consapevolmente
violato la normativa cautelare allo scopo di soddisfare un interesse dell’ente
(ad esempio, far ottenere alla società un risparmio sui costi in materia di
prevenzione). Ricorre, invece, il requisito del “vantaggio” per
l’ente quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, anche in questo
caso, ovviamente, non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni dei
lavoratore, ha violato sistematicamente le norme prevenzionali e, dunque, ha
realizzato una politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza sul
lavoro, consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con
conseguente massimizzazione del profitto» (così, efficacemente, Sez. 4, n.
31210 del 19/05/2016, Merlino ed altro, non mass, cit., Sub n. 10.1. del
“considerato in diritto”).

Ancora: «In tema di responsabilità degli enti
derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa
antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati
dall’interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto
agente e non all’evento, ricorrono, rispettivamente, il primo, quando l’autore
del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di
conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo
effettivo raggiungimento, e, il secondo, qualora l’autore del reato abbia
violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone
oggettivamente un qualche vantaggio per l’ente, sotto forma di risparmio di
spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di
ottenere il vantaggio stesso» e «In tema di responsabilità da reato degli enti,
i criteri di imputazione riferiti all’ interesse e al vantaggio sono
giuridicamente distinti giacché, mentre il primo è criterio soggettivo, da
valutare “ex ante”, e consistente nella proiezione finalistica volta
a far conseguire all’ente un profitto indipendentemente dall’effettiva
realizzazione dello stesso, il secondo è criterio oggettivo, accertabile
“ex post” e consistente nel concreto vantaggio derivato all’ente dal
reato» (Sez. 4, n. 38363 del 23/05/2018, Consorzio Melinda s.c.a., Rv.
274320-01 e Rv. 274320-02).

2.2.3. Con specifico riferimento ai «reati colposi
d’evento [, …quali, ad esempio, le lesioni colpose e gli omicidi colposi, si
è condivisibilmente ritenuto da parte della S.C. che] il finalismo della
condotta prevista dall’art. 5 d.
Igvo n. 231/2001 è compatibile con la non volontarietà dell’evento lesivo,
sempre che si accerti che la condotta che ha cagionato quest’ultimo sia stata
determinata da scelte rispondenti all’interesse dell’ente o sia stata
finalizzata all’ottenimento di un vantaggio per l’ente medesimo. Ricorre il
requisito dell’interesse quando la persona fisica, pur non volendo il
verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha consapevolmente
agito allo scopo di conseguire un’utilità per la persona giuridica; ciò accade,
ad esempio, quando la mancata adozione delle cautele antinfortunistiche risulti
essere l’esito (non di una semplice sottovalutazione dei rischi o di una
cattiva considerazione delle misure di prevenzione necessarie, ma) di una
scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi d’impresa: pur non
volendo il verificarsi dell’infortunio a danno del lavoratore, fautore del
reato ha consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di
soddisfare un interesse dell’ente (ad esempio far ottenere alla società un
risparmio sui costi in materia di prevenzione). Ricorre il requisito del
vantaggio quando la persona fisica, agendo per conto dell’ente, pur non volendo
il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, ha violato
sistematicamente le norme prevenzionistiche e, dunque, ha realizzato una
politica d’impresa disattenta alla materia della sicurezza del lavoro,
consentendo una riduzione dei costi ed un contenimento della spesa con
conseguente massimizzazione del profitto; il criterio del vantaggio, così
inteso, appare indubbiamente quello più idoneo a fungere da collegamento tra
l’ente e l’illecito commesso dai suoi organi apicali ovvero dai dipendenti
sottoposti alla direzione o vigilanza dei primi. Occorre, perciò, accertare in
concreto le modalità del fatto e verificare se la violazione della normativa in
materia di sicurezza o igiene del lavoro, che ha determinato l’infortunio,
rispondesse ex ante ad un interesse della società o abbia consentito alla
stessa di conseguire un vantaggio» (cosi Sez. 4, n. 16713 del 13/09/2017, dep.
2018, Sossio ed altri, non mass., in motivazione, sub n. 5 del
“considerato in diritto”).

2.2.4.Passando a calare nel concreto i richiamati
principi, si è, dunque, ritenuto che «In tema di responsabilità amministrativa
degli enti derivante dal reato di lesioni personali aggravate dalla violazione
della disciplina antinfortunistica, sussiste l’interesse dell’ente nel caso in
cui l’omessa predisposizione dei sistemi di sicurezza determini un risparmio di
spesa, mentre si configura il requisito del vantaggio qualora la mancata
osservanza della normativa cautelare consenta un aumento della produttività.
(In motivazione, la Corte ha affermato che la responsabilità dell’ente, non può
essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa
consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di
cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di lesioni
personali gravi). (Conf. n.31003 del 2015 e n.31210 del 2016 N.M.)» (Sez. 4, n.
24697 del 20/04/2016, Mazzotti e altro, Rv. 268066-01) ed anche che «In tema di
responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione
della normativa antinfortunistica, il “risparmio” in favore
dell’impresa, nel quale si concretizzano i criteri di imputazione oggettiva
rappresentati dall’interesse e dal vantaggio, può consistere anche nella sola
riduzione dei tempi di lavorazione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto
esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità dell’ente
in un caso in cui, sebbene i lavoratori fossero stati correttamente formati e i
presidi collettivi ed individuali fossero presenti e conformi alla normativa di
riferimento, le lavorazioni in concreto si svolgevano senza prevedere
l’applicazione ed il controllo dell’utilizzo degli strumenti in dotazione, al
fine di ottenere una riduzione dei tempi di lavoro)» (Sez. 4, n. 16598 del
24/01/2019, Tecchio, Rv. 275570-01).

Fonti di risparmio di spesa che possono costituire
il presupposto per l’applicazione dell’art. 5 del d. Igs. n. 231 del 2001,
per esemplificare ulteriormente, sono anche il risparmio sui costi di
consulenza, sugli interventi strumentali, sulle attività di formazione e di
informazione del personale (come ritenuto da Sez.
4, n. 18073 del 19/02/2015, Bartoloni ed altri, non mass., in motivazione,
sub punto n. 8 del “considerato in diritto”) ovvero la velocizzazione
degli interventi di manutenzione ed il risparmio sul materiale di scarto (come
ritenuto da Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, Calcinoni ed altri, non mass.,
nella parte motiva, sub n. 9.2. del ” considerato in diritto”).

2.3. In relazione al ricorso nell’interesse della
società “Compagnia Progetti e Costruzioni”, dunque, se privo di
fondamento è il secondo motivo di impugnazione incentrato sulla dedotta
incompatibilità logica tra reato colposo e finalizzazione all’interesse o al
vantaggio dell’ente, alla luce delle considerazioni svolte in precedenza (sub
n. 2.2.3. del “considerato in diritto”), fondati appaiono, invece,
quelli aventi ad oggetto la corretta verifica ad opera dei giudici di merito
sulla ricorrenza nel caso di specie di un interesse o di un vantaggio per
l’ente e, soprattutto, sulla adozione e sulla idoneità del modello
organizzativo.

Sotto il primo dei due profili indicati, infatti, la
sentenza impugnata, al di là di un generico richiamo ad una maggiore velocità
nell’esecuzione dei lavori (p. 14 della sentenza impugnata), non indica
puntualmente quale “interesse” o “vantaggio” sia stato
ravvisato nell’agire dell’ente, non misurandosi con la circostanza che risulta
essere stato stipulato un contratto di “nolo a caldo”, rispetto al
quale si ignorano le pattuizioni retributive intercorse tra le ditte; ma,
soprattutto, risulta del tutto omessa nelle sentenze di merito la valutazione
sul contenuto e sulla idoneità del modello organizzativo, tema che pure la
difesa aveva seriamente posto con l’atto di appello (sub n. 3, pp. 16 e ss.) e
con la memoria successiva (18 ottobre 2017), rinvenendosi soltanto considerazioni
circa il P.O.S. (p. 11 della sentenza di primo grado e pp. 14-15 della Corte di
appello), che è cosa diversa. In altre parole, i giudici di merito hanno svolto
l’equazione “responsabilità penale della persona fisica datore di lavoro /
preposto = responsabilità amministrativa dell’ente”, trascurando
l’articolata disciplina posta dal d. Igs. n. 231
del 2001.

Appare, pertanto, opportuno puntualizzare il
seguente principio di diritto, cui si atterrà il giudice del rinvio: “In
tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in
violazione della normativa antinfortunistica compete al giudice di merito,
investito da specifica deduzione, accertare preliminarmente l’esistenza di un
modello organizzativo e di gestione ex art. 6 del d. Igs. n. 231 del 2001;
poi, nell’evenienza che il modello esista, che lo stesso sia conforme alle
norme; infine, che esso sia stato efficacemente attuato o meno nell’ottica
prevenzionale, prima della commissione del fatto” (in tal senso v. la già
richiamata decisione di Sez. 4, n. 28538 del 28/05/2019, Calcinoni ed altri,
non mass., in motivazione, sub n. 9.2. del ” considerato in
diritto”).

3. Discende, in definitiva, dalle considerazioni
svolte il rigetto del ricorso proposto da G. T., che va, in conseguenza,
condannato al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile B. B. H., spese liquidate come in dispositivo.

Va, invece, annullata la sentenza impugnata
limitatamente alla statuizione sulla responsabilità amministrativa dell’ente,
con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello
di Roma.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso proposto da T. G. che condanna al
pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute
dalla parte civile B. B. H., che liquida in euro 2500,00, oltre accessori come
per legge.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla
statuizione sulla responsabilità amministrativa dell’ente e rinvia per nuovo
giudizio sul punto alla Corte di appello di Roma, altra Sezione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 ottobre 2019, n. 43656
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