L’applicazione di un ccnl sottoscritto da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative non esime il giudice dal verificare la conformità della retribuzione ivi prevista con i canoni della proporzionalità e sufficienza ai sensi dell’art. 36 Cost.
Nota a Trib. Torino 9 agosto 2019, n. 1128
Sonia Gioia
In materia di lavoro cooperativistico, l’art. 7, co. 4, D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 (convertito, con modificazioni, in L. 28 febbraio 2008, n. 31) impone alle società cooperative di applicare ai propri soci lavoratori, “in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, (…) i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”. Ciò al fine di tutelare i soci rispetto all’applicazione dei c.d. contratti pirata, ossia dei “contratti sottoscritti da organizzazioni datoriali e sindacali di non accertata rappresentatività, che prevedano trattamenti retributivi potenzialmente in contrasto con la nozione di retribuzione sufficiente, di cui all’art. 36 Cost., secondo l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza in collegamento con l’art. 2099 cod. civ.” (Corte Cost. n. 51/2015).
Il rispetto della previsione ex art. 7, co. 4, D.L. cit. costituisce una presunzione di conformità delle disposizioni del ccnl con l’art. 36 Cost., che, tuttavia, non esenta il giudice dal verificare se “il trattamento retributivo determinato dalla contrattazione collettiva, pur dotata di ogni crisma di rappresentatività (…), possa risultare in concreto lesivo del principio di proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro di cui deve costituire il corrispettivo e/o di sufficienza ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
Lo ha affermato il Tribunale di Torino (9 agosto 2019, n. 1128) in relazione al caso di un dipendente, addetto alla reception, che lamentava una sensibile decurtazione della retribuzione, a parità di mansioni e di orario di lavoro, in occasione dell’assunzione da parte della nuova società appaltatrice del servizio di portierato, che, diversamente dalla precedente, applicava il ccnl Vigilanza (1 febbraio 2013 – 31 dicembre 2015).
In particolare, il prestatore sosteneva che il compenso percepito fosse nettamente inferiore rispetto a quello previsto dai ccnl similari e usualmente applicati nel settore dei servizi di portierato, controllo degli accessi e guardiania, e palesemente inferiore al tasso-soglia di povertà assoluta.
Al riguardo, pur essendo stata rispettata la previsione di cui all’art. 7, co. 4, D.L. cit., in quanto la società convenuta aveva applicato un contratto (ccnl Vigilanza, sezione Servizi Fiduciari) sottoscritto da organizzazioni sindacali “certamente qualificabili come ‘comparativamente più rappresentative a livello nazionale’”, il giudice, in applicazione dei predetti principi, ha ritenuto non proporzionata né sufficiente la retribuzione riconosciuta sulla base della previsione collettiva, e, pertanto, superata la presunzione di adeguatezza della stessa.
Ciò, in ragione, per un verso, del consistente scostamento tra il compenso erogato al prestatore e quello che egli avrebbe percepito, a parità di mansioni e orario di lavoro, in forza degli altri contratti collettivi generalmente applicati nelle stesse tipologie di servizi e, per l’altro, della circostanza che il valore netto del salario era palesemente inferiore al tasso-soglia di povertà assoluta stimata dall’Istat.
Infine, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio, il Tribunale ha rilevato che il lavoratore, che ritenga insufficiente o non proporzionato il trattamento economico, è tenuto a dimostrare l’inadeguatezza della retribuzione percepita, vale a dire a fornire la prova contraria alla predetta presunzione di conformità delle previsioni collettive con i principi costituzionali. Diversamente, “costituisce specifico onere del datore di lavoro quello di indicare gli elementi dai quali risulti la inadeguatezza, in eccesso, delle retribuzioni contrattualmente previste in considerazione di specifiche situazioni locali o della qualità della prestazione offerta dal lavoratore” (Cass. n. 27138/2016).