Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 ottobre 2019, n. 41600
Sicurezza sul lavoro, Accesso ispettivo, Omessa informazione
sui rischi e sulle procedure di primo soccorso, Responsabilità penale del
datore, Prova
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 2 ottobre 2018, il Tribunale di
Livorno condannava L.C. alla pena di euro 2.000 di ammenda, in quanto ritenuto
colpevole del reato di cui all’art.
36 comma 1 del d.lgs. n. 81 del 2008, a lui contestato perché, in qualità
di titolare dell’omonima ditta, non provvedeva affinchè la lavoratrice V.P.
ricevesse, al momento della sua effettiva ammissione al lavoro in nero,
avvenuta il 19 luglio 2013 quale aiuto cameriera, un’adeguata informazione su
una pluralità di aspetti, ovvero: sui rischi per la salute e la sicurezza sul
lavoro, connessi all’attività d’impresa in generale; sulle procedure che
riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio e l’evacuazione dei luoghi
di lavoro; sui nominativi dei lavoratori incaricati di applicare le misure di
cui agli art. 45 e 46 del d.lgs.
n. 81 del 2008; e infine sui nominativi del responsabile e degli addetti
del servizio di prevenzione e protezione, nonché del medico competente; fatto
accertato in Livorno il 19 luglio 2013.
2. Avverso la sentenza del Tribunale toscano, C.,
tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre
motivi.
Con il primo, la difesa censura l’omessa assunzione
di una prova decisiva richiesta nel corso dell’istruttoria dibattimentale,
ovvero la testimonianza di V.P., la cui escussione avrebbe potuto colmare le
lacune probatorie, essendo la lavoratrice presente nel locale al momento
dell’accesso ispettivo.
Il Tribunale, infatti, aveva fondato il proprio
convincimento circa la penale responsabilità di C. esclusivamente sulla base
delle dichiarazioni dell’ispettrice F.L., la quale, tuttavia, non era stata in
grado di chiarire se, il giorno del sopralluogo, la P. fosse stata realmente
già avviata al lavoro presso il ristorante di C. e avesse ricevuto, anche
oralmente, le informazioni prescritte dall’art. 36 comma 1 del d. Igs. n. 81
del 2008.
Con il secondo motivo, viene lamentata la violazione
degli art. 191, 195
comma 4 e 526 cod. proc. pen.,
evidenziandosi che il Tribunale, erroneamente, aveva ritenuto utilizzabili le
dichiarazioni rilasciate, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, dal
funzionario ispettivo dr.ssa L., la quale aveva riferito in merito alle
dichiarazioni rese dalla P. nel corso dell’accertamento ispettivo, senza che
tali dichiarazioni fossero state debitamente verbalizzate.
Con il terzo motivo, speculare al precedente, la
difesa insiste nell’eccepire la violazione dell’art.
195 comma 4 cod. proc. pen., ribadendo l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni de relato della dott.ssa L., la quale aveva illegittimamente
deposto su quanto appreso dalla P., che peraltro avrebbe genericamente riferito
di svolgere l’attività di cameriera nel ristorante, senza essere in grado di
rispondere alle domande dell’ispettrice circa i rischi per la salute e la
sicurezza, le procedure di primo soccorso e i nominativi delle varie figure di
riferimento.
Il ricorso è infondato.
1. Premesso che i tre motivi di ricorso sono
suscettibili di trattazione unitaria, in quanto tra loro sostanzialmente
sovrapponibili, deve escludersi che il giudizio di colpevolezza del ricorrente
operato con la sentenza impugnata presenti i vizi di legittimità denuncianti
dalla difesa.
Ed invero il Tribunale, nel procedere sia pur
sinteticamente alla ricostruzione dei fatti di causa, ha richiamato la
deposizione dell’ispettore del lavoro L., da cui è emerso che, al momento del
sopralluogo del 19 luglio 2013 presso il ristorante gestito da L.C., era
presenta la lavoratrice V.P., la quale, pur essendo stata avviata al lavoro,
peraltro senza il rispetto delle prescritte formalità, non aveva ricevuto le
informazioni relative ai rischi per la salute e alla sicurezza sul lavoro, alle
procedure di primo soccorso, alla lotta antincendio e all’evacuazione dei
luoghi di lavoro, oltre che sui nominativi del responsabile e degli addetti del
servizio di prevenzione e protezione e del medico competente. Tale accertamento
è scaturito dall’attività di controllo dell’ispettrice L., la quale non si è
limitata a una verifica formale, ma ha operato una sorta di
“intervista” alla lavoratrice sulle conoscenze in suo possesso,
ricevendo da ciò conferma del fatto che la stessa, non solo sul piano formale,
non era stata edotta delle informazioni previste dall’art. 36 comma 1 del d. Igs. n. 81
del 2008. Dunque, oltre a non esservi traccia documentale delle notizie
prima indicate, la lavoratrice ha in ogni caso mostrato di non averne
un’adeguata conoscenza, palesando incertezze su alcune domande esplorative,
tipo quella sulla ubicazione degli estintori del locale ricettivo dove ella
lavorava come cameriera.
Alla luce di tale controllo, deve quindi affermarsi
che il giudizio di responsabilità dell’imputato è stato fondato non sulle
dichiarazioni de relato dell’ispettrice L., ma solo su contenuti narrativi
derivanti da una percezione diretta del teste, ciò in sintonia con il condiviso
orientamento di questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 38149 del 18/06/2015, Rv.
264973), secondo cui il divieto di testimonianza indiretta degli ufficiali o
agenti di polizia giudiziaria non riguarda i dati di fatto direttamente
percepiti dall’agente, tra i quali sono stati ricompresi anche gli stati
emotivi delle persone osservate, per cui l’utilizzabilità della testimonianza
dell’ufficiale di polizia giudiziaria deve ritenersi a maggior ragione riferita
anche alle reazioni della lavoratrice rispetto alle sollecitazioni finalizzate
a verificare, in assenza di riscontri documentali, la conoscenza da parte della
stessa delle informazioni sulla sicurezza che avrebbe dovuto ricevere dal
datore di lavoro. Ribadita la legittimità della deposizione della teste L.,
dovendosi escludere un obbligo di verbalizzazione degli esiti scaturiti dai
quesiti esplorativi rivolti dall’ispettrice del lavoro, deve ritenersi altresì
immune da censure la decisione del giudice di disattendere la sollecitazione
difensiva di escutere, ai sensi dell’art. 507 cod.
proc. pen., la dipendente V.P., risultando la vicenda già adeguatamente
delineata a seguito degli accertamenti compiuti dalla teste L. e da costei
riportati nel corso della sua deposizione dibattimentali.
2. In conclusione, l’affermazione della penale
responsabilità dell’imputato, in quanto basata su un quadro probatorio
esauriente e ritualmente acquisito e comunque sorretta da un apparato
argomentativo privo di elementi di illogicità o di incoerenza, non presta il
fianco alle censure difensive, per cui il ricorso deve essere rigettato, con
conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.