Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 ottobre 2019, n. 27501

Licenziamento collettivo per riduzione del personale,
Criterio di scelta dei lavoratori da licenziare, Omesso accordo sindacale

 

Fatti di causa

 

1. La Corte di appello di Genova, pronunziando sul
reclamo di T.P. s.r.l. e sul reclamo di F.D.S., confermata la illegittimità del
licenziamento intimato in data 17.12.2014 al D.S. nell’ambito della procedura
di licenziamento collettivo per riduzione del personale intrapresa dalla
società, in parziale riforma della sentenza reclamata, annullato il recesso
datoriale, ha condannato T. P. s.r.l. a reintegrare il lavoratore nel posto di
lavoro, a corrispondere l’indennità risarcitoria commisurata a dodici mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre accessori ed alla
regolarizzazione dei contributi previdenziali ed assistenziali.

1.1. Per quel che ancora rileva la Corte di merito
ha fondato l’annullamento del licenziamento sulla considerazione che le
modalità di applicazione del criterio delle esigenze tecnico produttive nella
selezione del personale da licenziare erano frutto di scelta in alcun modo
concordata in sede sindacale e neppure successivamente indicate nella
comunicazione finale ex art. 4
comma 9, legge n. 223 del 1991, ma esplicitate solo nel corso del giudizio
di primo grado ed in particolare nella fase di opposizione; ciò aveva
determinato l’assegnazione dei punteggi in violazione del principio della
trasparenza rappresentante l’unica ed effettiva garanzia per il lavoratore
nella procedura di licenziamento collettivo. La violazione dei criteri di
scelta comportava l’applicazione del regime di tutela di cui al comma 4 dell’art.18 della legge n. 300 del
1970 nel testo novellato dalla legge n. 92 del
2012.

2. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso T. P. s.r.l. sulla base di nove motivi; la parte intimata ha resistito
con tempestivo controricorso.

3. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi
dell’art. 378 cod. proc. civ. .

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo parte ricorrente deduce, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.
proc. civ. censurando la sentenza impugnata per avere affrontato la
questione relativa al contenuto della comunicazione di apertura della procedura
di mobilità e dell’accordo sindacale, questioni che assume mai prospettate dal
D.S..

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., omesso
esame di un fatto controverso e decisivo. Censura la sentenza impugnata per
avere il giudice del reclamo omesso di valutare che nel ricorso introduttivo la
questione relativa alle modalità del calcolo dei punteggi assegnati per le
esigenze tecnico produttive non era stata posta dal D.S. il quale aveva
contestato i criteri di scelta sulla base di due profili: a) mancata
considerazione di un «esodo» volontario; b) discriminatorietà del licenziamento
in quanto inteso a colpire lo svolgimento di attività sindacale da parte del
dipendente. Il fatto decisivo della cui omessa valutazione ci si duole è
rappresentato dalla circostanza che in sede di opposizione il lavoratore aveva
introdotto un tema di indagine completamente nuovo, diverso da quello in
precedenza svolto (v. ricorso, pag. 13, secondo cpv. ).

3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn., 3 e 4, violazione e falsa
applicazione dell’art. 1, comma
51, legge n. 92 del 2012 in relazione agli artt.
24 e 111 Cost. nonché agli artt.  416 e
420 cod. proc. civ.. Assume l’errore del
giudice del reclamo nell’escludere, ammessa la giuridica possibilità in sede di
opposizione di introdurre nuovi profili oggettivi e soggettivi non prospettato
nella fase sommaria, la possibilità di replica della T. P..

4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc.civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.
proc. civ., dell’art. 4,
comma 9, legge n. 223 /1991, dell’art. 115
e 116 cod. proc. civ.. Sull’assunto che la
Corte di merito aveva annullato il licenziamento per non essere stati
concordati in sede sindacale le modalità di applicazione del criterio delle
esigenze tecnico produttive determinato con riferimento agli ultimi due anni e
che lo stesso non era stato successivamente comunicato, censura la sentenza
impugnata per ultrapetizione per le ragioni già evidenziate nel primo motivo.
Censura, inoltre, l’interpretazione del disposto dell’art. 4, comma 9, legge n. 223 del
1991 sul rilievo che la comunicazione finale consentiva ai destinatari di
compiere ogni e più opportuna verifica e che il D.S. non aveva mai affermato di
non avere compreso il contenuto della detta comunicazione.

5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.civ., omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio censurando la sentenza impugnata per
avere ritenuto contraria ai principi di correttezza e buona fede sia la
limitazione delle esigenze tecnico produttive al biennio precedente l’apertura
della procedura di mobilità sia il riferimento alle bolle di lavoro. Si duole,
quindi, della omessa motivazione delle ragioni della ritenuta contrarietà a
correttezza e buona fede della condotta datoriale. Assume la conformità a
normative di settore ed ad indicazioni giurisprudenziali del criterio di
limitazione della verifica al biennio precedente la instaurazione della
procedura.

6. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 legge n. 223 del 1991,
censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto implicitamente violati i
criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. Assume che le ragioni di
doglianza risiedono nel fatto che il giudice del reclamo non ha correttamente
interpretato né l’accordo sindacale del 9 dicembre 2014, né il contenuto della
comunicazione finale.

7. Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ., omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio censurando la sentenza impugnata per
avere, in sintesi, travisato il significato delle proprie difese che non
risultavano intese, come ritenuto dal giudice del reclamo, all’introduzione di
altri «criteri>> di valutazione delle esigenze tecnico produttive ma,
semplicemente, destinate a provare, a dimostrazione della propria buona fede,
di avere usato per il calcolo del punteggio dati obiettivi e non modificabili
quali le bolle di lavoro. In questa prospettiva lamenta la omessa valutazione
del documento n. 56 e rimarca che la errata interpretazione delle difese
formulate da esso T. si risolveva nel vizio di omesso esame di un punto
decisivo .

8. Con l’ottavo motivo, svolto in subordine, deduce,
ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc.
civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 9, legge n. 223 del
1991 e dell’art. 18, comma
7, legge n. 300 del 1970 censurando la sentenza impugnata per avere
applicato la tutela reintegratoria pur avendo riscontrato un vizio
procedimentale e, quindi formale.

9. Con la formale deduzione di un nono motivo parte
ricorrente non svolge specifiche censure alla sentenza impugnata ma si limita
reiterare i motivi di reclamo e le difese formulate ritenute assorbite dalla
Corte di merito.

10. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

10.1. Si premette che secondo quanto si evince dalla
relativa illustrazione il primo motivo di ricorso, pur formalmente ricondotto
al mezzo di cui all’art. 360, comma 1. n. 3,
risulta in termini chiari ed univoci inteso alla denunzia dell’error in
procedendo del giudice di merito, di talchè, sotto questo profilo, risulta
infondata la eccezione di inammissibilità formulata dalla parte
controricorrente ancorata alla impropria deduzione del vizio di violazione di
legge in presenza di censure intese a contestare il difetto di attività della
Corte di merito (v. Cass. n. 4289 del 2018, Cass. Sez. Un. n. 17931 del 2013).

10.2. Il motivo in esame risulta, comunque,
inammissibile in quanto privo di specificità. Dallo storico di lite della
sentenza impugnata risulta che il D.S. aveva dedotto la illegittimità del
licenziamento “per violazione dei criteri di scelta di cui all’art. 5 comma 1 I. n. 223/1991”
e nello specifico, per violazione del criterio di scelta prioritario della
volontaria adesione alla mobilità, per violazione dei criteri legali di scelta,
in via subordinata per violazione della procedura di cui all’art. 4 comma 9 in quanto la
comunicazione prevista da tale norma, inviata dalla datrice di lavoro non
conteneva la indicazione delle modalità con le quali erano stati applicati i
criteri di scelta dei lavoratori licenziati (v. sentenza, pag. 6, ultimo cpv.
con continuazione alla pag. 7), che con il quinto motivo di reclamo aveva ribadito
la violazione dei criteri legali di scelta (v. sentenza, pag. 12 , ultimo cpv.)
e dedotto, tra l’altro, il mancato inserimento nella tabella dei punteggi delle
mansioni svolte al reparto generatori e assemblaggio ventilatori dove il
ricorrente principalmente lavorava nonché la delimitazione arbitraria
dell’ambito temporale di considerazione della mansioni (v. sentenza, pag. 12,
ultimo cpv. con continuazione alla pag. 13). La pronunzia resa dal giudice di
appello risulta quindi coerente con i motivi di reclamo articolati dal
lavoratore secondo quanto riferito in sentenza. Tanto premesso, al fine della
valida censura della decisione per vizio di ultrapetizione, si rendeva
necessaria la trascrizione delle allegazioni in fatto e delle deduzioni in
diritto articolate con l’originario ricorso ex art. 1 , comma 47, legge n. 92 del
2012 nonché la puntuale esposizione dello sviluppo del contraddittorio sul
punto nel corso del giudizio di merito, onde consentire la verifica, sulla base
del solo ricorso per cassazione, della corretta individuazione del thema
decidendum da parte del giudice del reclamo anche in relazione a possibili
violazioni del divieto di novum di cui all’art. 437
cod. proc. civ.. Tale onere non è stato assolto dalla odierna ricorrente
risultando a tal fine insufficiente la sola trascrizione delle conclusioni
dell’originario ricorso nonché di quelle spiegate nel giudizio di opposizione e
nel successivo giudizio di reclamo, intrinsecamente inidonee a dare contezza
delle ragioni sulla cui base era invocata la nullità del recesso datoriale.

10.3. Secondo la condivisibile giurisprudenza di
questa Corte, infatti, ove si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del
citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile
alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il
quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”,
detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il
potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti
processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da
parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem”
agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non
essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma
ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367 del 2014 n. 21226
del 2010, n. 6361 del 2007).

11. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in
quanto non conforme alla attuale configurazione del vizio di motivazione di cui
all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.civ.

11.1. Come chiarito da Cass., Sez. Un. n. 8053 del
2014 e per quel che qui rileva, I ‘omesso esame che può essere denunziato ai
sensi del n. 5 dell’art. 360, comma 1 cod. proc.
civ. deve riguardare un fatto (inteso nella sua accezione
storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o
primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto
azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria). Ma il riferimento
al fatto secondario non implica che possa denunciarsi ex art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ. anche
l’omesso esame di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato
esaminato, ancorché – in astratta ipotesi – in modo errato o poco convincente,
senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti. A
sua volta deve trattarsi di un fatto (processualmente) esistente, per esso
intendendosi non un fatto storicamente accertato, ma un fatto che in sede di
merito sia stato allegato dalle parti: tale allegazione può risultare già
soltanto dal testo della sentenza impugnata (e allora si parlerà di rilevanza
del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza del dato
extra-testuale). Sempre le S.U. hanno precisato gli oneri di allegazione e
produzione a carico del ricorrente ai sensi degli artt.
366, co. 1, n. 6 e 369, co. 2, n. 4 cod. proc.
civ.: il ricorso deve indicare chiaramente non solo il fatto storico del
cui mancato esame ci si duole, ma anche il dato testuale (emergente dalla
sentenza) o extra-testuale (emergente dagli atti processuali) da cui risulti la
sua esistenza.

11.2. In dissonanza con tali indicazioni parte
ricorrente prospetta l’omesso esame non rispetto ad un fatto inteso nella sua
accezione storico fenomenica ma come omesso rilievo della circostanza che in
sede di opposizione il lavoratore aveva introdotto un tema di indagine
completamente nuovo diverso da quello in precedenza svolto (v. ricorso, pag.
13, secondo cpv.), vizio che rifluisce nell’error in procedendo già denunziato
con il primo motivo e ritenuto inammissibile.

12. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per
difetto di pertinenza delle censure sviluppate con le ragioni che sorreggono la
decisione. La sentenza impugnata non contiene, infatti, alcuna affermazione in
contrasto con il principio del rispetto del contraddittorio ed in particolare
non nega affatto, una volta riconosciuta la giuridica possibilità in sede di
opposizione di introdurre nuovi profili oggettivi e soggettivi di illegittimità
del licenziamento non prospettati nella fase sommaria, la possibilità di
replica della T.P.

13. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile.

13.1. Per il profilo con il quale viene denunziato
il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata per avere questa, in
sintesi, affermato che il criterio delle esigenze tecnico produttive non era
stata concordate in sede sindacale, investendo il contenuto dell’accordo
sindacale, si rinvia alle considerazioni espresse in sede di esame del primo
motivo in tema di necessità di trascrizione degli atti pertinenti indispensabile
al fine di consentire al giudice di merito l’esame diretto degli atti
processuali, onere non assolto dall’odierno ricorrente .

13.2. Per il profilo con il quale si denunzia
violazione e falsa applicazione dell’art. 4, comma 9, legge n. 223 del
1991 in tema di requisiti della comunicazione prevista da tale norma, la
inammissibilità della denuncia di violazione di legge scaturisce dal fatto che
essa non verte sul significato e sulla portata applicativa della disposizione
richiamata ma sulla concreta valutazione della comunicazione ex art. 4, comma 9, legge n. 223 del
1991. Non si configura, pertanto, la denunziata violazione di norme di
legge, per insussistenza dei requisiti suoi propri di verifica di correttezza
dell’attività ermeneutica diretta a ricostruire la portata precettiva delle
norme, o di sussunzione del fatto accertato dal giudice di merito nell’ipotesi
normativa; parte ricorrente, non specifica le affermazioni in diritto contenute
nella sentenza impugnata assunte in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità
o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013, Cass. n. 3010 del 2012,
Cass. n. 24756 del 2007, Cass. n. 12984 del 2006) ma incentra le proprie
censure sulla valutazione di completezza della comunicazione in oggetto,
valutazione riservata al giudice di merito.

13.3. In ordine, poi, alla dedotta violazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. trova applicazione il condivisibile orientamento di questa Corte
secondo il quale in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione
o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea
valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma,
rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base
della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di
fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente
apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena
prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti
invece a valutazione, (Cass. n. 27000 del 2016) questioni neppure astrattamente
prospettate dall’odierna parte ricorrente.

14. Il quinto motivo è inammissibile per difetto di
pertinenza con le ragioni che sorreggono la decisione le quali non concernono
la correttezza e congruità intrinseca del criterio delle esigenze tecnico
produttive con verifica limitata al biennio antecedente la procedura di licenziamento
collettivo ma hanno riguardo al fatto che la scelta datoriale non era stata
concordata in sede sindacale e neppure esplicitata nella comunicazione finale
pregiudicando il controllo della correttezza procedurale del licenziamento
collettivo.

15. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile per
le medesime considerazioni espresse in relazione al quarto motivo in tema di
non conformità delle critiche alla sentenza impugnata al vizio di cui all’art. 360, comma 1. n. 3 cod. proc. civ.
denunziato. Anche in relazione al motivo in esame, infatti, parte ricorrente
non deduce la erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della
fattispecie normativa astratta, questione implicante necessariamente un
problema interpretativo della stessa, ma si duole della errata ricostruzione
della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, questione che è
esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica
valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di
legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, nei limiti consentiti
dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nel testo
applicabile ratione temporis., vizio non prospettato dalla società ricorrente.

16. Il settimo motivo di ricorso è inammissibile
incorrendo nello stesso errore evidenziato nel respingere il secondo motivo, di
configurare il fatto del quale si denunzia omesso esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., non in un
fatto storico fenomenico come proprio della denunzia di vizio di motivazione
(cfr. Cass. Sez. Un. n. 8053/2014 cit.) ma
nelle difese articolate da essa società delle quali si denunzia la errata
interpretazione mediante attribuzione alle stesse di un significato non
corrispondente a quello reale. In questa prospettiva, la formale denunzia di
omesso esame riferita alle bolle di lavorazioni risulta superata dal tenore
delle critiche articolate (v. in particolare, ricorso, pag. 21, quarto e quinto
cpv.) dovendo ulteriormente evidenziarsi che, comunque, la sentenza impugnata
ha espressamente preso in considerazione la questione delle bolle di
lavorazione e della rappresentatività delle stesse delle mansioni espletate al
fine dei punteggi da assegnare ai singoli lavoratori.

17. E’ infondato l’ottavo motivo di ricorso posto
che, a differenza di quanto assume la odierna ricorrente, l’annullamento del
licenziamento non è stato determinato dal riscontro di una violazione meramente
formale della procedura di licenziamento collettivo ma dall’accertamento
relativo alla violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1 dell’art. 5 legge n. 223 del 1991.

17.1. Il giudice del reclamo ha, infatti, rilevato
che l’azienda aveva deciso di delimitare unilateralmente l’applicazione del
criterio delle esigenze tecnico produttive agli anni 2013 e 2014 e di fondarsi
per l’individuazione delle lavorazioni svolte nel biennio in questione, sulle
indicazioni delle bolle emesse, bolle che per sua stessa ammissione non
registravano i lavori in squadra ovvero proprio quei lavori svolti
principalmente dal D.S.; per ovviare a tale modus procedendi la società aveva
poi attribuito al D.S. punteggi aggiuntivi relativi a tre lavorazioni senza
ulteriori specificazioni. Ha, quindi, evidenziato la mancata trasparenza in
relazione a tali scelte e ciò nonostante le determinanti ricadute connesse alla
arbitraria limitazione della verifica al biennio 2013/2014 e all’individuazione
delle lavorazioni sulla base delle bolle.

17.2. Dalle motivazione della decisione si evince,
quindi, che l’annullamento del licenziamento è stato dalla Corte di merito
collegato alle non corrette e sostanzialmente arbitrarie applicazioni del
criterio legale delle esigenze tecnico produttive ed organizzative e, quindi,
non solo alla  mera incompletezza della
comunicazione ex art. 4, comma
9, Iegge n. 223 del 1991 ma per l’ipotesi, ritenuta integrata, di
violazione sostanziale dei criteri di scelta.

17.3. L’applicazione della tutela reintegratoria di
cui all’art. 18 comma 4, legge
n. 300 del 1970, nel testo novellato dalla legge
n. 92 del 2012, è coerente con tale accertamento secondo quanto già
ritenuto da questa Corte la quale ha chiarito che in tema di licenziamenti
collettivi, quando la comunicazione ex art. 4, comma 9, legge n. 223 del
1991, carente sotto il profilo formale delle indicazioni relative alle
modalità di applicazione dei criteri di scelta, si sia risolta nell’accertata
illegittima applicazione di tali criteri vi è annullamento del licenziamento,
con condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di
un’indennità risarcitoria in misura non superiore alle dodici mensilità ai
sensi dell’art. 18, comma 4,
st.lav. come risultante dall’art.
1, comma 42, della I. n. 92 del 2012. (Cass.
n. 19010 del 2018, Cass. n. 2587 del 2018,
Cass. n. 19320 del 2016, Cass. n. 12095 del 2016).

18. Al rigetto del ricorso consegue il regolamento
delle spese di lite secondo soccombenza.

19. Sussistono i presupposti per l’applicabilità
dell’art. 13, comma 1 quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre
2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla
rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi
professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del
15% e accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 ottobre 2019, n. 27501
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