Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 ottobre 2019, n. 27917
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, Prova,
Osservanza dell’ordinario orario di lavoro
Fatto
Con sentenza del 13 agosto 2014, la Corte d’appello
di Cagliari, sez dist. di Sassari condannava B.V.D., titolare dell’omonima
ditta individuale, al pagamento in favore di A.S., della somma di € 26.060,14,
a titolo di differenze retributive e T.f.r. per attività lavorativa prestata
alle dipendenze del primo dal 1° agosto 2000 al 12 settembre 2002: così
riformando la sentenza di primo grado, che ne aveva invece rigettato la domanda.
In esito alle scrutinate risultanze istruttorie, la
Corte territoriale accertava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato
tra le parti, con svolgimento da A.S. di mansioni di muratore (non inquadrabili
tuttavia nel richiesto 3° livello del CCNL Edili Artigiani di operaio
specializzato in difetto di prova) ed osservanza dell’ordinario orario di
lavoro.
Essa riteneva applicabile il suddetto CCNL per la
determinazione della retribuzione, in via parametrica ai sensi dell’art. 36
Cost., liquidata nella complessiva somma di € 31.224,70, di cui € 27.510,75 per
retribuzioni e € 3.719,95 per T.f.r., da cui detraeva la somma di € 5.164,56
percepita a titolo di acconti.
Con atto notificato il 13 agosto 2014, B.V.D.
ricorreva per cassazione con tre motivi, cui il lavoratore resisteva con
controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c.e 2697 c.c.,
per liquidazione al lavoratore, a titolo retributivo, di una somma maggiore di
quella spettante al 2° livello CCNL di categoria di cui il predetto aveva
richiesto l’applicazione, senza indicazione del criterio adottato né prova del
suo ammontare.
2. Con il secondo, egli deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. ed omesso esame di un fatto storico
decisivo, in riferimento all’esistenza del cantiere in Sassari via don Minzoni,
ai fini della mancanza di prova della sussistenza di un rapporto di lavoro
subordinato di A.S., nel quale solo era stato visto lavorare da un teste, per
la breve durata dei lavori da luglio a settembre 2001.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione degli artt. 111, sesto comma
Cost., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 416,
115 c.p.c. e vizio motivo, per contrasto
irriducibile tra affermazioni inconciliabili contenute nella sentenza, quali
l’avere ritenuto che la linea difensiva datoriale si fosse limitata a negare la
prestazione di alcuna attività lavorativa di S. nei propri cantieri ma non che
essa fosse stata compiuta in regime di autonomia libero-professionale,
piuttosto che di subordinazione, risultando invece dagli atti la contestazione
di un rapporto di subordinazione.
4. Il primo motivo, relativo a violazione e falsa
applicazione delle norme suindicate per liquidazione al lavoratore di somma
maggiore di quella spettante al 2° livello CCNL di categoria e senza
indicazione dei criteri, è inammissibile.
4.1. Esso difetta di specificità, in violazione
della prescrizione dell’art. 366, primo comma, n. 4
e n. 6 c.p.c., per omessa trascrizione dei conteggi allegati al ricorso
introduttivo (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, con affermazione del principio ai
sensi dell’art. 360 bis, primo comma c.p.c.;
Cass. 3 gennaio 2014, n. 48), ostativa all’apprezzamento della ultrapetizione
denunciata, neppure sussistente nel caso di specie, siccome ricorrente quando
il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione del petitum
o della causa petendi, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto
oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso, così
pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai
contraddittori (Cass. 11 gennaio 2011, n. 455; Cass. 24 settembre 2015, n.
18868; Cass. 6 settembre 2018, n. 21720).
Ma un tale vizio ridonda effetti di genericità della
censura anche in relazione alla determinazione dalla Corte territoriale della
retribuzione spettante al lavoratore, in applicazione del CCNL quale parametro
di sua sufficienza e adeguatezza, ai sensi dell’art.
36 Cost. (Cass. 31 gennaio 2012, n. 1415; Cass. 4 dicembre 2013, n. 27138; Cass. 2 agosto 2018, n. 20452) e all’accertamento
in fatto delle mansioni operaie svolte (pure con adeguata argomentazione, al
terzultimo e penultimo capoverso di pg. 5 della sentenza): persino in assenza
di una specifica contestazione. E pertanto in violazione della prescrizione
dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c. che
esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a
sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica
precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come
espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza
(Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22
settembre 2014, n. 19959).
5. Il secondo e il terzo motivo, relativi alle
illustrate violazioni in ordine alla mancanza di prova di un rapporto di lavoro
subordinato tra le parti, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta
connessione, sono infondati.
5.1. Anche qui occorre preliminarmente sottolineare
un difetto di specificità del secondo motivo, in violazione della prescrizione
dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c.,
per omessa trascrizione della memoria difensiva e delle prove orali richiamate
(Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 23 aprile 2010, n. 9748; Cass. 4
ottobre 2017, n. 23194; Cass. 4 aprile 2018, n. 8204).
5.2. Non è poi configurabile la violazione di norme
denunciata, non ricorrendo né quella dell’art. 2697
c.c., né quella dell’art. 115 c.p.c.
La prima disposizione è, infatti, censurabile per
cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.
3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere
della prova ad una parte diversa da quella che ne sia onerata secondo le regole
di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti
costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la
valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass.
17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395).
La violazione della seconda norma ricorre invece in
presenza di un errore di percezione, che cada sulla ricognizione del contenuto
oggettivo della prova, in contrasto con il divieto di fondare la decisione su
prove reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte (Cass. 12 aprile
2017, n. 9356).
5.3. In realtà, la doglianza si risolve in una
contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto della
Corte territoriale sulla base di un autonomo percorso argomentativo, al di là
della richiamata linea difensiva di Demontis (“Ciò posto va comunque
osservato .. dal penultimo capoverso di pg. 4 al secondo di pg. 5 della
sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 19 marzo 2009,
n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679);
tanto meno alla luce del novellato testo dell’art.
360, primo comma, n. 5 c.p.c., dal cui più rigoroso ambito devolutivo è
esclusa la valutazione delle risultanze istruttorie (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 26
giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12 ottobre 2017,
n. 23940).
6. Né infine sussiste alcun contrasto irriducibile
tra affermazioni motive inconciliabili, tali da determinare nullità della
sentenza, non ricorrendo i presupposti di configurabilità del novellato testo
dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. Il
sindacato di legittimità sulla motivazione resta, infatti, circoscritto alla
sola verifica di violazione del “minimo costituzionale” richiesto
dall’art. 111, sesto comma Cost., individuabile
nelle ipotesi (che si convertono in violazione dell’art.
132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza) di
“mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento
giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta
ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od
incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può
essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia
formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una
diversa soluzione della controversia (Cass. s.u. 7
aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940).
Neppure ricorre violazione dell’obbligo in esame,
non risultando la motivazione del tutto inidonea ad assolvere alla funzione
specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un
contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa
ed obiettivamente incomprensibile): anche in tal caso concretandosi una nullità
processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 25
settembre 2018, n. 22598).
7. Dalle superiori argomentazioni discende allora il
rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il
regime di soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna B.V.D. alla rifusione,
in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in €
200,00 per esborsi e € 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per
spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.