Il mancato versamento datoriale dei contributi al sindacato, se non giustificato, è “antisindacale”.
Nota a Cass. (ord.) 4 ottobre 2019, n. 24877
Fabrizio Girolami
Il rifiuto ingiustificato del datore di lavoro di eseguire, per conto del lavoratore, i versamenti dei contributi sindacali a favore del sindacato di appartenenza configura un inadempimento che, oltre a rilevare sotto il profilo civilistico, costituisce anche condotta antisindacale, in quanto pregiudica sia il diritto individuale del lavoratore di scegliere liberamente il sindacato al quale aderire, sia il diritto del sindacato di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari per lo svolgimento della propria attività.
Tale principio di diritto è stato affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza 4 ottobre 2019, n. 24877 in relazione a una fattispecie nella quale la società datrice di lavoro Fiat Powertrain Technologies S.p.A. (di seguito, “F.P.T.”) si era rifiutata di operare la trattenuta della quota sindacale sulla retribuzione di un dipendente iscritto all’organizzazione Unione Sindacale di Base – Lavoro Privato.
Nel contenzioso giudiziale conseguentemente instauratosi, il giudice del merito, sia in primo che in secondo grado, aveva qualificato come “condotta antisindacale” ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 della L. 20 maggio 1970, n. 300 (cd. “Statuto dei lavoratori”) la condotta omissiva posta in essere dal datore di lavoro.
Nel giudizio di legittimità instaurato dalla F.P.T., la Cassazione, con la sentenza in commento – uniformandosi al consolidato orientamento della giurisprudenza (cfr. Cass. S.U. 21 dicembre 2015, n. 28269; in senso conforme, fra le varie, Cass, n.13250/2006; Cass. n.16186/2006; Cass. n.16383/2006; Cass. n.19275/2008; Cass. n. 21368/2008) – ha affermato che il referendum del 1995 abrogativo dell’art. 26, co. 2, della L. n. 300/1970 (e il susseguente D.P.R. 28 luglio 1995, n. 313) non ha introdotto nel nostro ordinamento un divieto di riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro, essendo soltanto venuto meno il relativo obbligo legale: ne consegue l’antisindacalità della condotta di rifiuto operata dalla “F.P.T.”, in quanto “ingiustificata”.
Pertanto, i lavoratori, nell’esercizio della autonomia privata, mediante l’istituto della “cessione del credito” in favore del sindacato (art. 1260 c.c.) possono chiedere al datore di lavoro di effettuare la trattenuta sulla retribuzione dei contributi da accreditare al sindacato cui aderiscono (cessione, che, come noto, non richiede, ai fini del suo perfezionamento, il consenso del datore di lavoro – debitore ceduto); ed il datore di lavoro, qualora affermi che la cessione operata dal lavoratore comporta in concreto, a suo carico, un onere aggiuntivo insostenibile in rapporto all’organizzazione aziendale ha l’onere di provarne l’esistenza.
L’eccessiva gravosità della prestazione, in ogni caso, non incide sulla validità ed efficacia del contratto di cessione del credito, ma può giustificare l’inadempimento del debitore ceduto, finché il creditore non collabori a modificare le modalità della prestazione in modo da realizzare un equo contemperamento degli interessi.
Né, ai fini della riferita gravosità della prestazione (tale da giustificare l’inadempimento del datore di lavoro) può essere addotto l’elevato numero di dipendenti dell’azienda, dovendosi invece operare una valutazione di proporzionalità tra la gravosità dell’onere e l’entità dell’organizzazione aziendale, tenuto conto che un’impresa con un elevato numero di dipendenti ha, di norma, una struttura amministrativa corrispondente alla sua dimensione.