L’elemento formale rappresentato dall’iscrizione all’AIRE non costituisce condicio sine qua non al fine di beneficiare di un’esenzione parziale dalla tassazione dei redditi prodotti in Italia dopo il rientro dall’estero. Può, infatti, avere rilievo la situazione sostanziale, così come previsto della Convenzioni contro le doppie imposizioni, alla luce del c.d. Decreto Crescita.
Nota a AdE Risposta n. 207/2019
Stefano Quaranta
Tra le Risposte dell’Agenzia delle Entrate di maggior interesse emerge la n. 207 del 2019.
Essa si occupa di un tema controverso vale a dire quello del regime fiscale applicabile ai docenti e ricercatori universitari che, dopo aver vissuto e lavorato per diversi anni all’estero, decidono di trasferirsi nuovamente in Italia (peraltro già oggetto di altra richiesta di interpello vertente su questioni similari con la Risposta AdE n. 204 del 25 giugno scorso, in questo sito con nota di S. QUARANTA, Trasferimento della residenza in Italia dei lavoratori rimpatriati tra iscrizione all’Aire e Convenzioni contro le doppie imposizioni).
Orbene, nel caso oggetto della Risposta in esame, l’istante, ricercatore universitario vissuto all’estero per oltre 5 anni, richiedeva all’Università italiana in cui si era trasferito nel 2018 di poter essere ammesso al regime agevolativo di cui all’art. 44 del D.L. n. 78/2010, rubricato “Incentivi per il rientro in Italia di ricercatori residenti all’estero”, così come modificato dal D.L. n. 34/2019 (c.d. Decreto Crescita) convertito con L. n. 58/2019.
Tale norma, in dettaglio, prevede che, ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, sia escluso dalla formazione del reddito di lavoro dipendente o autonomo, il 90% degli emolumenti percepiti dai docenti e dai ricercatori che presentano una serie di requisiti di cui in seguito si dirà. Questa agevolazione si applica a decorrere dal periodo d’imposta in cui il ricercatore diviene fiscalmente residente in Italia e nei tre periodi d’imposta successivi, sempre che permanga la residenza fiscale in Italia.
L’applicazione di tale regime gli veniva però negata dall’Università di appartenenza sulla base della considerazione per cui lo stesso non era stato iscritto all’AIRE durante la sua permanenza all’estero. Sarebbe difettato, dunque, un requisito per l’applicazione del regime agevolativo.
Il soggetto interpellante faceva, invece, leva sull’irrilevanza del dato formale costituito dall’iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente, dando al contrario rilievo alla possibilità di dimostrare, de facto, di aver risieduto e lavorato all’estero per diversi anni, e a ciò aggiungendo che, per ragioni personali e professionali, oltre che a seguito di esame della normativa di riferimento, aveva ritenuto di non dover iscriversi all’AIRE.
L’Agenzia, concordando con l’analisi fatta dall’interpellante, concorda sull’applicabilità del regime de quo, sulla base di una serie di “passaggi” qui riassumibili.
In primo luogo, l’Agenzia chiarisce come l’art. 44 D.L. n. 78/2010, secondo l’interpretazione prevalente (cfr. Circolare n. 17/E del 23 maggio 2017) richieda anzitutto il ricorrere di una serie di condizioni riguardanti il contribuente, ovverosia che lo stesso:
- sia in possesso di un titolo di studio universitario o ad esso equiparato;
- sia stato non occasionalmente residente all’estero (ovverosia sia stato stabilmente residente all’estero);
- abbia svolto documentata attività di ricerca o docenza all’estero presso centri di ricerca pubblici o privati o università per almeno due anni continuativi;
- acquisisca e mantenga la residenza fiscale in Italia per tutto il periodo in cui usufruisce dell’agevolazione.
In secondo luogo, viene chiarito come il rientro nel territorio dello Stato per lo svolgimento dell’attività di docenza e ricerca debba necessariamente essere seguito dall’acquisizione della residenza fiscale in Italia, in quanto requisito espressamente previsto dal citato art. 44. Come noto, l’art. 2, co. 2, del TUIR, considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato la residenza o il domicilio ai sensi dell’art. 43 c.c., il quale definisce la residenza come il luogo di dimora abituale e il domicilio come la sede principale dei propri affari e interessi. Tali presupposti sono tra loro alternativi, per cui la sussistenza anche di uno solo di essi è sufficiente a qualificare, ai fini fiscali, un soggetto residente in Italia. Tuttavia, a norma del co. 3-quater del citato art. 44 è ora testualmente previsto che: “I docenti o ricercatori italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 possono accedere ai benefici fiscali di cui al presente articolo purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147”. Inoltre, “… ai docenti e ricercatori italiani non iscritti all’AIRE rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 spettano i benefici fiscali di cui al presente articolo nel testo vigente al 31 dicembre 2018, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi per il periodo di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147”.
Ad avviso dell’Agenzia, la novella legislativa che impone di dare rilevanza alla situazione sostanziale rispetto al dato formale dell’iscrizione all’AIRE trova applicazione anche nel caso di specie: il contribuente potrà così dimostrare la sua stabile presenza all’estero.
È, poi, priva di rilievo, ad avviso dell’Agenzia, l’osservazione secondo cui la disposizione contenuta nell’art. 5, co. 5, del c.d. Decreto Crescita, introduce un termine dilatorio fissato al 2020 per l’applicabilità delle disposizioni da ultimo citate. La ratio della norma è ritenuta consentire di rendere il regime in questione applicabile a far data già dal 2019.
In conclusione, l’Amministrazione finanziaria afferma che l’istante, nonostante la mancata iscrizione all’AIRE durante gli anni trascorsi all’estero, può beneficiare dell’agevolazione fiscale già a far data dal 2019, anno in cui afferma di essere rientrato fiscalmente in Italia, a condizione che dimostri la residenza all’estero per i due anni di imposta precedenti, ai sensi della Convezione contro le doppie imposizioni siglata tra l’Italia e il Paese estero in cui ha lavorato e vissuto.