Il recesso intimato ad un lavoratore, nel corso di una procedura di licenziamento collettivo, senza l’indicazione dei criteri di selezione del personale da espellere, è illegittimo e giustifica la reintegrazione del prestatore medesimo.
Nota a Cass. 6 settembre 2019, n. 22366
Sonia Gioia
In materia di licenziamenti collettivi, l’omessa individuazione ed applicazione, da parte del datore di lavoro, dei criteri di selezione del personale in esubero, previsti dall’art. 5, L. 23 luglio 1991, n. 223 (fissati dai ccnl, o in mancanza, nel rispetto dei seguenti parametri, in concorso tra loro: carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico- produttive ed organizzative) costituisce una violazione “così grave ed assoluta” da riverberare “i propri riflessi sulla legittimità del provvedimento espulsivo irrogato”, tale da giustificare l’applicazione della c.d. tutela reale, di cui all’art. 18, co. 4, L. 20 maggio 1970 n. 300 (c.d. Statuto dei Lavoratori).
L’affermazione è della Corte di Cassazione (6 settembre 2019, n. 22366), che conferma la pronuncia di merito (App. Napoli n. 7189/2017) la quale aveva dichiarato illegittimo il recesso intimato ad un lavoratore, nel corso di una procedura di licenziamento collettivo, per non avere la società adempiuto all’obbligo di comunicazione dei criteri di scelta del personale da licenziare.
Al riguardo, la Corte ha ribadito che il controllo sul ridimensionamento dell’organico è devoluto ex ante alle organizzazioni sindacali, titolari di incisivi poteri di informazione e consultazione che si traducono in una procedimentalizzazione del potere datoriale di riduzione dei dipendenti. In particolare, “la procedura di informazione e consultazione dei rappresentati dei lavoratori è ‘evento strutturale e fisiologico nella gestione dell’impresa’, che pone a carico della parte datoriale un vincolo procedurale, elevato al rango di diritto fondamentale dell’Unione” ai sensi dell’art. 27, Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (v. CGUE 21 settembre 2017, C-149/16, in questo sito con nota di F. BELMONTE, Modifiche salariali e licenziamenti collettivi; CGUE 30 aprile 2015, C-80/14) “e che si pone quale contrappeso rispetto alla libertà di iniziativa economica”, ex art. 41 Cost.
In tale contesto, il datore di lavoro che intende procedere ai licenziamenti è tenuto, ai sensi dell’art. 4, co. 9, L. n. 223 cit., a comunicare ai sindacati l’elenco dei lavoratori in esubero con una serie di dati individuali e con “la precisazione delle modalità di attuazione del criterio di scelta e la comparazione tra tutte le professionalità del personale in servizio” (Cass. n. 22033/2010). E ciò anche quando l’imprenditore decida di licenziare tutti i dipendenti, ad eccezione di uno specifico gruppo, individuato in base al possesso delle competenze professionali necessarie per il compimento delle operazioni di liquidazione.
La violazione dell’obbligo di comunicazione, che ha la funzione di consentire il controllo sindacale allo scopo di evitare elusioni del dettato normativo (Cass. n. 5700/2004; Cass. n. 5516/2003), si sostanzia in un “evidente vulnus agli obblighi” gravanti sul datore di lavoro, che inficia la legittimità del licenziamento, rinvenendo appropriata tutela mediante lo strumento reintegratorio di cui all’art. 18, co. 4, Stat. Lav. (reintegrazione nel posto di lavoro, pagamento di un’indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, dedotto l’aliunde perceptum, nonché versamento dei contributi previdenziali e assistenziali).
Nel caso di specie, la Corte ha confermato l’illegittimità della comunicazione di avvio della procedura di licenziamento, considerata “l’assoluta omessa enunciazione (…) di alcun criterio di scelta del personale da licenziare in seguito al subentro di altra società” nel contratto di appalto per la gestione del servizio dei rifiuti, e, conseguentemente, disposto la reintegra del prestatore espulso.