Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2019, n. 29104

Licenziamento per sopravvenuta mancanza del porto d’armi e
dell’abilitazione a svolgere l’attività di guardia, Mancato possesso dei
titoli necessari per svolgere la mansione, Imprescindibile applicazione del
preventivo procedimento di conciliazione ex art. 7 della L. n. 604/1966,
Fattispecie estintiva del rapporto di lavoro dipendente dalla volontà del
datore di lavoro,  Non escluso, in via
astratta, l’impiego del dipendente in mansioni diverse, Atto di espressione di
volontà da parte del datore di lavoro che configura un licenziamento e non una
sopravvenuta impossibilità della prestazione

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 259 del 30.6.2017 la Corte
d’appello di Trieste, in sede di reclamo ex art. 1, comma 58 della legge n. 92
del 2012 e confermando la sentenza del Tribunale della medesima sede, ha
dichiarato inefficace il licenziamento intimato il 2.9.2014 a M.B. per
sopravvenuta mancanza del porto d’armi nonché dell’abilitazione a svolgere
l’attività di guardia particolare giurata presso la società I.G. s.p.a. in
considerazione del mancato espletamento della procedura conciliativa prevista
dall’art. 7 della legge n. 604
del 1966 (come novellato dalla legge n. 92 del
2012), con conseguente applicazione della tutela risarcitoria di cui all’art. 18, comma 6, della legge n.
300 del 1970 come novellato dalla legge n. 92
del 2012 e, nella specie, declaratoria di risoluzione del rapporto di
lavoro e condanna al pagamento di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale
di fatto.

2. La Corte territoriale, accertato il (pacifico)
mancato possesso dei titoli necessari per svolgere la mansione di guardia
giurata da parte del B., ha ricondotto detta impossibilità sopravvenuta
nell’alveo dell’archetipo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo
(a fronte di consolidata giurisprudenza di legittimità nonché della specialità
del diritto del lavoro), con conseguente imprescindibile applicazione del
preventivo procedimento di conciliazione dettato dall’art. 7 della legge n. 604 del 1966;
ha respinto il reclamo proposto in via subordinata dal reclamato lavoratore,
rilevando la natura di termine minimo di garanzia dei 180 giorni previsti
dall’art. 120 del CCNL dipendenti di Istituti e Imprese di vigilanza privata
2013 per il licenziamento del dipendente privo dei titoli abilitanti la
mansione di guardia giurata, rilevando altresì la carenza di interesse ad agire
del lavoratore; infine, con riguardo al reclamo incidentale proposto sempre dal
reclamato lavoratore, ha respinto la prospettazione di profili di illegittimità
del licenziamento, essendo stato provatela la carenza dei titoli abilitativi
sia l’impossibilità di impiegare il B. in mansioni diverse.

3. La società I.G. s.p.a. ha proposto, avverso tale
sentenza, ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il lavoratore ha
depositato controricorso nonché proposto due motivi di ricorso incidentale.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo del ricorso principale la
società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 120 del
CCNL dipendenti di Istituti e Imprese di vigilanza, 1362
e 1367 nonché 1256
e 1463 cod.civ., 3 e 7 della legge n. 604 del 1966
(ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.)
avendo, la Corte distrettuale, erroneamente ritenuto che la perdita dei titoli
abilitanti la mansione di guardia giurata costituisca giustificato motivo
oggettivo anziché causa di impossibilità sopravvenuta della prestazione (come
affermato da alcune statuizioni della Corte di Cassazione in ordine all’art.
120 del CCNL applicato in azienda) con conseguente preventiva sottoposizione
del potere datoriale di recesso al procedimento di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604 del 1966.
Invero, l’art. 120 del CCNL settore Imprese di vigilanza (interamente
riprodotto) va interpretato nel senso che introduce una fattispecie
riconducibile all’impossibilità assoluta della prestazione ex art. 1463 cod.civ., con conseguente risoluzione
automatica del rapporto di lavoro una volta decorso il termine di 180 giorni,
con esclusione dunque della possibilità di configurare una fattispecie di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo (e conseguente esclusione
dell’applicazione dell’art. 7
della legge n .604 del 1966 come novellato dalla legge n. 92 del 2012).

2. Con il secondo motivo del ricorso principale la
società ricorrente denuncia violazione degli artt.
111 Cost. e 1, comma 60, della
legge n.92 del 2012, nonché omessa pronuncia (ex art.
360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte omesso di
pronunciarsi sulla domanda, svolta in via subordinata in sede di reclamo, di
limitazione del numero di indennità riconosciute al lavoratore, in
considerazione della collaborazione datoriale prestata ai fini di evitare il
licenziamento.

3. Con il primo motivo di ricorso incidentale si
denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 120 del CCNL dipendenti di
Istituti e Imprese di vigilanza (ex art. 360, primo
comma, n. 3, cod. proc. civ.) avendo, la Corte distrettuale, erroneamente
trascurato il ricorso di una manifesta insussistenza del giustificato motivo
oggettivo di licenziamento, resa evidente dalla mancata sospensione dal
servizio del dipendente (che lasciava, dunque, presumere una possibilità di
reimpiego) una volta sprovvisto di titoli abilitanti nonché dalla prolungata
inerzia del datore di lavoro, che ha proceduto al licenziamento in data
ampiamente superiore al termine di 180 giorni previsto dalla clausola
contrattuale.

4. Con un secondo motivo di ricorso incidentale (non
numerato nonché sprovvisto di rubrica) si deduce l’erroneità della statuizione
sulle spese legali, avendo, la Corte territoriale, confermato la pronuncia del
Tribunale di compensazione parziale delle spese di lite in considerazione
dell’accoglimento della terza domanda proposta in ricorso e del rigetto delle
domande principali svolte dal lavoratore, violando il principio di soccombenza,
dovendo, peraltro, riconoscersi che l’introduzione del giudizio è stato
determinato dalla illegittimità del licenziamento.

5. Il primo motivo del ricorso principale non è
fondato.

Il CCNL di categoria all’art. 120 prevede: “Nel
caso di sospensione o di mancato rinnovo del decreto di nomina a guardia
particolare giurata e/o della licenza di porto d’armi il datore di lavoro potrà
sospendere dal servizio e dalla retribuzione il lavoratore. Trascorso il
periodo di 180 giorni di calendario senza che il lavoratore sia ritornato in
possesso dei documenti di cui sopra, il datore di lavoro potrà risolvere il
rapporto di lavoro per tale motivo senza preavviso o indennità
sostitutiva”.

L’utilizzo del verbo ausiliare “potrà” con
riguardo alla decisione datoriale di sospendere dal servizio e dalla
retribuzione il dipendente che abbia perso i titoli abilitanti la mansione di
guardia particolare giurata (primo periodo dell’art. 120 del CCNL di settore)
rende chiaro il carattere discrezionale della scelta: durante il decorso del
termine di 180 giorni che deve precedere l’atto di recesso il datore di lavoro
potrà o meno utilizzare il dipendente in mansioni alternative (e ciò dipenderà,
essenzialmente, dal tipo di struttura e di organizzazione imprenditoriale
adottata). Il suddetto termine è stato individuato dalle parti sociali come
periodo di tempo congruo per la valutazione dell’interesse della datrice di
lavoro alla futura prestazione lavorativa e per consentire al lavoratore di
tornare in possesso del titolo abilitativo: spirato tale termine, le parti
sociali hanno chiaramente ricondotto al datore di lavoro la facoltà
(“potrà”) di risolvere il rapporto di lavoro valutando l’interesse
alla residua prestazione che il dipendente può fornire (ed hanno previsto
l’esonero, dovuto in tutti i casi di recesso non immediato, dal periodo di
preavviso e dalla relativa indennità).

Il senso letterale delle parole e la ratio
perseguita dalle parti sociali consentono, dunque, di ricostruire la comune
intenzione delle parti nel senso di ricondurre la sopravvenuta inidoneità allo
svolgimento delle mansioni di guardia particolare giurata al modello del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, proprio perché l’uso del verbo
“potere” rende chiaro che la fattispecie estintiva del rapporto di
lavoro dipende dalla volontà del datore di lavoro perché non si può escludere,
in via astratta, l’impiego del dipendente in mansioni diverse (ancorché debba
negarsi nel caso concreto, e in ciò sta la giustificazione del recesso, in
quanto il datore di lavoro ha dimostrato che la continuazione del rapporto non
corrispondeva, in considerazione della struttura organizzativa adottata, ad un
apprezzabile interesse). Invero, potendo astrattamente residuare un utilizzo
alternativo delle mansioni residue del lavoratore privo dei titoli abilitanti
la mansione di guardia giurata, la determinazione di risolvere il rapporto di
lavoro per impossibilità sopravvenuta parziale viene ricondotta, dall’art. 120
CCNL, al datore di lavoro che – decorso il termine minimo di 180 giorni – può
decidere di licenziare il dipendente per giustificato motivo oggettivo (non
essendo compatibile, la mansione residua, con l’organizzazione aziendale)
ovvero di esercitare lo ius variandi (adibendo il lavoratore ad altra
mansione).

Il contratto collettivo in esame (non avendo, il
ricorrente, dedotto alcunché in ordine a limitazioni poste dal CCNL al potere
datoriale di modifica delle mansioni per le guardie giurate; vedi, ad es, in
tal senso, altri contratti, quale quello concernente i piloti e la sopravvenuta
inidoneità al volo, cfr. in tema Cass. n. 7531 del
2010) consente al datore di lavoro l’esercizio di uno ius variandi, non
precludendo – in astratto – l’impiego del dipendente assunto quale guardia
giurata in altre mansioni; ciò impedisce di delineare una ipotesi di
risoluzione automatica del contratto per impossibilità sopravvenuta assoluta
alla prestazione, ex art. 1463 cod.civ.; in
caso di perdita dei titoli abilitanti, si delinea, pertanto, la distinta
ipotesi di impossibilità parziale, prevista dall’art.
1464 cod.civ., che richiede la valutazione datoriale dell’interesse
residuale e, dunque, la riconduzione della risoluzione del rapporto ad una
determinazione dell’imprenditore.

Il ricorrente, pur invocando la violazione dell’art. 1362 cod.civ., non indica, d’altra parte, il
punto ed il modo in cui l’interpretazione si discosta dai canoni di ermeneutica
e la Corte territoriale, con interpretazione ermeneutica corretta e con
argomentazione logica, ha spiegato che – sia il testo dell’art. 120 del CCNL
sia l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità – consentono
di inquadrare l’impossibilità sopravvenuta (per carenza dei titoli abilitanti)
nell’ambito del giustificato motivo oggettivo, considerata la specialità del
diritto del lavoro e il necessario coordinamento tra l’art. 1464 cod.civ. e l’art. 3 della legge n. 604 del 1966.

In ordine ai profili di inquadramento della
fattispecie, la giurisprudenza di questa Corte ha, in prevalenza, ricondotto il
licenziamento per sopravvenuta inidoneità allo svolgimento delle mansioni di
guardia giurata all’ipotesi del giustificato motivo oggettivo proprio perché
non si può escludere l’impiego del dipendente in mansioni diverse (cfr. da
ultimo, Cass. nn. 24016, 13192, 4316 del 2017; Cass.
13986 del 2000), talvolta evocando sia l’ipotesi della risoluzione del
contratto per impossibilità sopravvenuta sia il recesso per giustificato motivo
oggettivo (cfr. Cass. n. 12072 del 2015; Cass.
n. 16924 del 2006). Peraltro, questa Corte ha sempre richiamato l’ipotesi della
impossibilità relativa di cui all’art. 1464
cod.civ., che – a differenza dell’impossibilità assoluta, ex art. 1463 cod.civ. – richiede che la parte
interessata manifesti, mediante negozio di recesso, l’assenza di un suo
interesse al mantenimento di un vincolo giuridico, ormai privato di parte del
valore.

In ogni caso, dunque, questa Corte ha affermato che
il rapporto di lavoro a tempo indeterminato della guardia giurata non si
risolve in via automatica per la sopravvenuta impossibilità della prestazione,
essendo necessario un atto di espressione di volontà da parte del datore di
lavoro che configura, dunque, nell’ambito della disciplina speciale del diritto
del lavoro, un licenziamento (ossia una fattispecie estintiva del rapporto di
lavoro dipendente dalla volontà del datore di lavoro) per giustificato motivo
oggettivo, orientamento che si inscrive nella più ampia tesi che ritiene del
tutto residuali le ipotesi di assoluta impossibilità sopravvenuta della
prestazione lavorativa (in quanto da valutare con particolare rigore) ed
inquadrabili nell’ambito del recesso per giusta causa ex art. 2119 cod.civ. (cfr. per una ampia
ricostruzione giurisprudenziale, Cass. n. 7531 del
2010).

Dalla qualificazione come licenziamento per
giustificato motivo oggettivo del recesso per perdita dei titoli abilitanti da
parte della guardia particolare giurata consegue l’applicazione dell’art. 7 della legge n. 604 del 1966
che impone l’esperimento del preventivo tentativo di conciliazione.

Questa Corte afferma, pertanto, il seguente
principio di diritto: la sopravvenuta mancanza dei titoli abilitanti le
mansioni di guardia particolare giurata (decreto di nomina e/o licenza di porto
d’armi) configura, ai sensi dell’art. 120 del CCNL dipendenti di Istituti e
Imprese di vigilanza 2013-2015, una ipotesi di impossibilità relativa della
prestazione che richiede, ex art. 1464 cod.civ.,
la manifestazione da parte del datore di lavoro di interesse alla prosecuzione
del rapporto di lavoro da configurarsi quale licenziamento per giustificato
motivo oggettivo, richiedente il preventivo esperimento del procedimento di
conciliazione ai sensi dell’art.
7 della legge n. 604 del 1966 come novellato dall’art. 1, comma 40, della legge n. 92
del 2012.

6. Il secondo motivo del ricorso principale è
inammissibile.

La censura è prospettata con modalità non conformi
al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui
parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il
contenuto (per estratto) del reclamo, fornendo al contempo alla Corte elementi
sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti
processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere,
rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (Cass. 12 febbraio 2014, n. 3224; Cass. SU 11
aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre 2011, n.
22726).

7. Il primo motivo del ricorso incidentale è
inammissibile e per la parte residua infondato.

Inammissibile in quanto invoca la violazione di una
clausola del CCNL applicato richiamando, invece, la previsione di una norma
legislativa (il concetto di “manifesta insussistenza del fatto” di
cui all’art. 18, comma 7,
della legge n. 300 del 1970 come novellata dalla legge n. 92 del 2012) nonché invocando una nuova
rivalutazione degli elementi istruttori, in questa sede preclusa.

Il motivo è, inoltre, infondato ove invoca – senza
peraltro indicare con quale modalità e in base a quali canoni esegetici –
l’interpretazione del termine di 180 giorni previsto dall’art. 120 del CCNL di
settore in senso rigoroso ossia quale termine decadenziale del potere di
recesso del datore di lavoro, nonostante la clausola negoziale preveda
chiaramente tale termine quale periodo minimo di attesa per la valutazione, da
parte del datore, di un interesse al proseguimento del rapporto.

8. Il secondo motivo del ricorso incidentale non è fondato.

Nel regime normativo posteriore alle modifiche
introdotte all’art. 91 cod.proc.civ. dalla legge n. 69 del 2009, in caso di accoglimento
parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art.
92 cod.proc.civ., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla
parte vittoriosa (cfr., da ultimo, Cass. n. 26918 del 2018; Cass. n. 3438 del
2016).

La Corte territoriale si è attenuta a tali principi
e, essendo stata accolta la terza domanda proposta in via subordinata dal
lavoratore ricorrente e respinte le altre domande, ha parzialmente compensato
tra le parti le spese di lite.

9. In conclusione, il ricorso principale ed il
ricorso incidentale vanno rigettati e le spese del presente giudizio di
legittimità sono integralmente compensate tra le parti in considerazione della
reciproca soccombenza.

10. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato – se dovuto – previsto
dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17 (legge di stabilità 2013).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale ed il ricorso
incidentale e compensa tra le parti le spese di lite.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello – ove
dovuto – per il ricorso, a norma del comma
1 -bis dello stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2019, n. 29104
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