Marialuisa De Vita
Con le risposte ad interpello nn. 216 e 217 del 28 giugno 2019 l’Agenzia delle Entrate ha fornito ulteriori chiarimenti sul regime speciale dei lavoratori c.d. impatriati.
Nel caso oggetto della risposta n. 216, l’istante rappresentava di essersi trasferito nel 2014 nel Regno Unito, dove era stato assunto da una società locale, e di essere stato residente all’estero per i periodi di imposta dal 2014 al 2018. L’effettiva registrazione all’AIRE era stata, però, perfezionata solamente nel mese di ottobre 2015 (a causa di un ritardo nell’invio della richiesta di iscrizione inoltrata per il tramite di un ufficio del consolato non competente).
L’istante, volendo rientrare in Italia nel 2019, interrogava l’Agenzia delle Entrate circa la possibilità di accedere al regime speciale dei lavoratori impatriati di cui all’art. 16, co. 1, D.LGS. n. 147/2015. Questo (nella formulazione vigente fino al 31 dicembre 2019) prevede che i redditi di lavoro dipendente e di lavoro autonomo prodotti in Italia concorrano alla formazione del reddito complessivo nella misura del 50% del loro ammontare. Tale agevolazione si applica per un quinquennio a decorrere dal periodo di imposta in cui il lavoratore trasferisce la residenza fiscale in Italia a condizione che il lavoratore sia in possesso dei seguenti requisiti:
a) non sia stato residente in Italia nei cinque periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento;
b) svolga l’attività lavorativa presso un’impresa residente nel territorio dello Stato in forza di un rapporto di lavoro instaurato con questa o con società che direttamente o indirettamente controllano la medesima;
c) presti l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio dello Stato;
d) rivesta ruoli direttivi ovvero sia in possesso di requisiti di elevata qualificazione o specializzazione.
Perché possa ritenersi integrato il requisito sub a) – ed è questo il requisito che rileva nel caso in esame – è necessario che il soggetto non sia stato fiscalmente residente in Italia ai sensi dell’art. 2 del TUIR. In base a tale disposizione, si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo di imposta, sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Pertanto, sono fiscalmente residenti in Italia e, conseguentemente, non possono accedere al regime di favore quei lavoratori che, pur essendosi di fatto trasferiti all’estero, risultano ancora iscritti nel registro della popolazione residente o risultano iscritti all’AIRE per un periodo inferiore a 5 anni.
Il contribuente chiedeva se la prova del periodo di residenza all’estero nei cinque periodi di imposta precedenti il trasferimento in Italia potesse essere fornita tramite documentazione diversa dalla iscrizione all’AIRE.
L’Agenzia delle Entrate precisa che per la soluzione del quesito occorre tenere conto delle modifiche apportate al regime degli rimpatriati dal D.L. n. 34/2019 (in corso di conversione alla data in cui è stata resa la risposta in esame, convertito nella L. 28 giugno 2019, n. 58). Il decreto citato ha, infatti, esteso il regime in esame anche ai “cittadini italiani non iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) rientrati in Italia a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 […] purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una Convenzione contro le doppie imposizioni sui redditi”. Per effetto di tale norma, il dato formale dell’iscrizione all’AIRE può essere superato dalla prova della residenza effettiva all’estero così come previsto dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.
La nuova disposizione – precisa l’Agenzia delle Entrate – si applica non solo ai soggetti che acquisiscono la residenza fiscale in Italia a partire dal periodo di imposta 2020, ma alla luce della ratio sottesa alla novella legislativa anche ai “contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia già dal 2019, laddove gli stessi possano comprovare la residenza fiscale all’estero per i cinque periodi di imposta precedenti sulla base delle regole dettate a livello convenzionale”.
Ma non è questa la sola novità apportata dal decreto legge. Quest’ultimo, infatti, nell’ottica di semplificare rispetto al passato le condizioni di accesso al regime di favore, ha previsto che, a decorrere dal periodo di imposta 2020, possono accedere al regime in esame i lavoratori che:
- non sono stati residenti in Italia nei due (e non più nei cinque) periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni;
- svolgono la propria attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
In presenza dei suddetti requisiti, i redditi di lavoro autonomo, i redditi di lavoro dipendente e ora anche i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente prodotti in Italia concorrono alla formazione del reddito complessivo limitatamente al 30%, e non più al 50%, del loro ammontare.
Considerato che l’istante non precisava se il trasferimento in Italia sarebbe avvenuto a maggio 2019 o a settembre 2019, l’Amministrazione ha distinto le due ipotesi, chiarendo che:
- ove l’istante decida di trasferirsi in Italia da maggio 2019 e sia in grado di provare la residenza estera già dal periodo di imposta 2014, ai sensi dell’art. 4 della Convenzione tra Italia e Regno Unito per evitare le doppie imposizioni, potrà accedere al regime speciale ex 16, co.1, D.LGS.. n. 147/2015 nella sua formulazione originaria;
- ove l’istante decida di trasferirsi da settembre 2019 (divenendo fiscalmente residente in Italia solo a decorrere dal periodo di imposta 2020), potrà accedere ai benefici fiscali secondo le ancor più favorevoli condizioni stabilite dall’art. 16 del D.LGS. n. 147/2015 così come modificato dal D.L. n. 34/2019.
Passando all’esame della risposta ad interpello n. 217, l’Agenzia delle Entrate ha fornito, questa volta, alcuni chiarimenti circa il periodo minimo di residenza all’estero necessario per accedere al regime speciale.
Nel dettaglio, l’istante rappresentava di essere iscritta all’AIRE dal 9 dicembre 2013 a seguito di trasferimento a Londra, di aver trasferito la residenza in Italia nel periodo compreso tra dicembre 2016 e dicembre 2018 e di essersi nuovamente iscritta all’AIRE da gennaio 2019. Volendo rientrare in Italia da maggio 2019, l’istante chiedeva all’Agenzia delle Entrate se potesse beneficiare o meno del regime speciale di tassazione di cui all’art. 16, co.2, D.LGS. n. 147/2015.
Si ricorda che il regime speciale per gli rimpatriati trova applicazione non solo per i soggetti che integrano i requisiti visti in precedenza, ma anche per quei soggetti che, in alternativa, integrano i requisiti di cui al co.2 dell’art. 16 citato.Si tratta dei cittadini UE e di quelli di Stati extra UE con i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale, che soddisfano alternativamente uno dei seguenti requisiti:
- sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto in modo continuativo un’attività di lavoro dipendente, ovvero di lavoro autonomo oppure d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
- hanno svolto in modo continuativo un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea ovvero una specializzazione post lauream.
Presupposto per accedere al regime agevolativo è che il soggetto non sia stato fiscalmente residente in Italia per un periodo minimo precedente all’impatrio. Mentre per i soggetti di cui al co. 1 dell’art. 16 il periodo minimo di residenza all’estero è indicato espressamente dalla norma e corrisponde, come si è visto, ai cinque periodi di imposta precedenti il trasferimento, per i soggetti di cui al co. 2, quelli ora in esame, non è previsto nulla.
Era già intervenuta a colmare, in via interpretativa, tale lacuna l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 51/E del 6 luglio 2018 (annotata in questo sito da M. DE VITA, Regime speciale dei lavoratori rimpatriati: occorre la residenza fiscale all’estero per almeno due periodi di imposta) che qui viene confermata: “la residenza all’estero per almeno due periodi di imposta costituisc[e] il periodo minimo sufficiente ad integrare il requisito della non residenza nel territorio dello Stato e a consentire, pertanto, l’accesso al regime agevolativo” dal momento che “il citato comma 2 prevede un periodo minimo di lavoro all’estero di due anni”.
Posto che l’istante risultava residente in Italia nel periodo compreso tra dicembre 2016 e dicembre 2018 e risulta nuovamente iscritta all’AIRE solo a partire da gennaio 2019, l’Amministrazione finanziaria ha stabilito che:
- l’istante non potrà accedere al regime di favore ove il rientro in Italia avvenga a maggio 2019;
- l’istante potrà, invece, beneficiare dell’agevolazione ove il rientro in Italia avvenga successivamente al 2 luglio 2020, perfezionandosi solo in questo caso il requisito della residenza all’estero per almeno due periodi di imposta.