Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 novembre 2019, n. 29423
Contratto di lavoro intermittente, Mansioni di autista, r.d. n. 2657 del 1923, Potere di veto delle parti
collettive, Potere smentito dalla disciplina di legge
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Bologna, in riforma della
sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di S. V. intesa
all’accertamento dell’illegittimità del contratto di lavoro intermittente
stipulato in data 30.6.2011 con C. Service s.r.l. ed alla conversione del
rapporto di lavoro in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con condanna
della società alla reintegrazione nelle mansioni di autista 3° livello, alle
connesse differenze stipendiali ed al risarcimento del danno patrimoniale.
1.1. La Corte
territoriale, premessa la genuinità del contratto di lavoro intermittente
stipulato con riferimento alle esigenze individuate in via sostitutiva della
contrattazione collettiva dal Ministero del Lavoro con il DM 23.10.2004 n. 459, il quale faceva riferimento
alla tabella allegata al r.d. n. 2657 del 1923
espressamente richiamata nel contratto individuale, ha osservato con il
c.c.n.I. 2011, applicabile alla concreta fattispecie, non conteneva più la
previsione impeditiva del ricorso alla tipologia del lavoro a chiamata adottata
dalle parti collettive con il contratto vigente nel periodo 2004/2007,
giustificata in quella sede dalla << novità degli strumenti>> e
dalla situazione congiunturale di settore e, quindi, legata ad un presupposto
transitorio, con un’efficacia limitata nel tempo. Il giudice di appello ha,
inoltre, rimarcato che la interpretazione delle previsioni collettive in senso
ostativo alla possibilità di stipulare il contratto in controversia avrebbe
finito con il vanificare la sostanziale operatività del ricorso al lavoro
intermittente introdotto dall’art.
33 d. Igs n. 276 del 2003 e riconosciuto alle parti collettive un potere
smentito dalla disciplina di legge stante la contestuale previsione
dell’intervento ministeriale in caso di inerzia delle parti sociali nel
regolamentare i casi in cui era consentito il ricorso a detta tipologia
contrattuale.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto
ricorso S. V. sulla base di un unico articolato motivo; la parte intimata ha
resistito con tempestivo controricorso illustrato con memoria depositata ai
sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo parte ricorrente deduce
erronea interpretazione e falsa applicazione di norme di diritto con
riferimento al disposto dell’art.
34, comma 1, d. Igs n. 276 del 2003. Sostiene che nel dettare la disciplina
in tema di contratto intermittente il legislatore aveva attribuito in via
esclusiva alle parti collettive il potere di individuare le esigenze e le
prestazioni per le quali era consentito il ricorso a tale tipologia
contrattuale; l’intervento sussidiario e sostitutivo del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali mediante l’adozione di apposito decreto ministeriale
era contemplato, infatti, nella sola ipotesi di inerzia delle parti collettive
e non anche quando queste si fossero comunque attivate esprimendosi in senso
ostativo alla utilizzabilità di tale tipologia contrattuale nell’ambito del
settore oggetto di regolazione. Nel caso di specie, con il contratto collettivo
2004, immediatamente successivo all’entrata in vigore del d. Igs n. 276 del 2003, che tale tipologia
contrattuale aveva introdotto, le parti sociali avevano convenuto la non
applicabilità dell’istituto e la previsione era stata riprodotta nel c.c.n.I.
2013 mentre solo con il c.c.n.I. 2017 era stato sancito il venir meno del
divieto all’utilizzazione del lavoro intermittente. La interpretazione
propugnata, che riconosceva, in sintesi, alle parti collettive un potere di
veto in merito all’utilizzabilità, nello specifico settore, del contratto
intermittente risultava avallata, del resto, dal parere in data 4.10.2016 del
Ministero del lavoro e delle politiche sociali il quale aveva confermato la
possibilità che le parti sociali, nell’esercizio della loro autonomia contrattuale,
potessero legittimamente escludere l’utilizzabilità, nel settore regolato, di
tale tipologia contrattuale.
2. Il motivo è infondato.
2.1. E’ noto che il d.
Igs n. 276 del 2003 ha introdotto, per la prima volta nel nostro
ordinamento la regolamentazione del contratto di lavoro intermittente (art. 33-40 d. Igs cit.) il quale,
secondo la definizione legislativa di cui all’art. 33 d. Igs cit., è il
contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore
di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui
all’articolo 34.
2.2. Tale regolamentazione ha avuto vicende
contrastanti posto che dopo una prima abrogazione ad opera della legge n. 247 del 2007 l’istituto è stato
ripristinato nella formulazione iniziale dal d.l.
n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133
del 2008 (art. 39, comma 11), e successivamente modificato dalla legge n. 92 del 2012 e, a distanza di un anno,
dal d.l. n. 76 del 2013, convertito dalla legge n. 99 del 2013, con il duplice obiettivo di
limitarne il campo d’applicazione e di introdurre correttivi diretti a
contrastare forme distorsive di ricorso all’istituto.
2.3. Il d. Igs. n. 81
del 2015, sul riordino dei contratti di lavoro, emanato in attuazione della
legge delega n. 183 del 2014 (cd. Jobs act),
ha riformulato ora negli artt. 13-18 la disciplina del contratto in esame,
senza alterarne i tratti caratteristici che restano confermati.
Lo stesso provvedimento dispone contestualmente
l’abrogazione, a decorrere dal 25 giugno 2015, della previgente normativa.
2.4. Avuto riguardo all’epoca della stipula del
contratto in oggetto avvenuta in data 30 giugno 2011, la disciplina applicabile
è quella risultante dal ripristino operato dal d.
I. n. 112 del 2008 convertito dalla legge n.
133 del 2008.
2.5. Ciò posto, pacifico che il contratto in esame
rientra nella ipotesi regolata dall’art. 34, comma 1 (contratto
fondato su causale cd. di carattere oggettivo e non legata alle condizioni
personali del lavoratore come nella ipotesi regolata dal comma 2), la tesi
dell’odierno ricorrente circa il ruolo della contrattazione collettiva ed in
particolare la configurabilità in capo a quest’ultima di un potere di veto in
ordine alla utilizzabilità tout -court del contratto di lavoro intermittente,
non trova conferma nel dato testuale e sistematico della disciplina di
riferimento.
2.6. L’art.
34, comma 1, d. Igs n. 276 del 2003 si limita, infatti, a demandare alla
contrattazione collettiva la individuazione delle <<esigenze>> per
le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue,
senza riconoscere esplicitamente alle parti sociali alcun potere di interdizione
in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale; né un
siffatto potere di veto può ritenersi implicato dal richiamato
<<rinvio>> alla disciplina collettiva che concerne solo un
particolare aspetto di tale nuova figura contrattuale e che nell’ottica del
legislatore trova verosimilmente il proprio fondamento nella considerazione che
le parti sociali, per la prossimità allo specifico settore oggetto di
regolazione, sono quelle maggiormente in grado di individuare le situazioni che
giustificano il ricorso a tale particolare tipologia di lavoro.
2.7. Sotto il profilo sistematico l’assunto della
possibilità per le parti collettive di impedire del tutto la utilizzazione di
tale forma contrattuale risulta smentito dalla contestuale previsione
nell’ambito del primo comma dell’art.
34 di un potere di intervento sostitutivo da parte del Ministero del lavoro
e delle politiche sociali da adottarsi con apposito decreto trascorsi sei mesi
dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, previsione che denota
in termine inequivoci la volontà del legislatore di garantire l’operatività del
nuovo istituto, a prescindere dal comportamento inerte o contrario delle parti
collettive. Ciò in coerenza con il complessivo impianto della legge delega n. 30 del 2003 e con le dichiarate
finalità della stessa di disciplina o razionalizzazione delle tipologie di
lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale,
accessorio e a prestazioni ripartite (art. 4). L’art. 40 d. Igs cit. il quale
nella ipotesi di mancata determinazione da parte del contratto collettivo
nazionale dei casi di ricorso al contratto di lavoro intermittente prevede una
specifica procedura, da espletarsi nel rispetto di contenute cadenze temporali,
finalizzata alla promozione dell’accordo sul punto dei soggetti negoziali e, in
mancanza, dispone che entro i quattro mesi successivi, il Ministro del lavoro e
delle politiche sociali individui in via provvisoria e con proprio decreto,
tenuto conto delle indicazioni contenute nell’eventuale accordo
interconfederale di cui all’articolo 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni
espresse da ciascuna delle due parti interessate, i casi in cui è ammissibile
il ricorso al lavoro intermittente ai sensi della disposizione di cui all’articolo 34, comma 1, e dell’articolo
37, comma 2.
2.8. Ulteriore conferma della lettura qui condivisa
si trae, infine, dalla previsione del comma tre dell’art. 34 d. Igs cit. il quale tra
le ipotesi di divieto del ricorso al lavoro intermittente non contempla anche
quella di inerzia o veto delle parti collettive.
2.9. Quanto sopra osservato assorbe l’esame, a
prescindere da un profilo di inammissibilità della stessa collegato alla
mancata indicazione in ricorso, in violazione dell’art.
366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ., di dati idonei a consentire il
reperimento delle richiamate fonti collettive nell’ambito dei documenti
prodotti nelle fasi di merito, contratti collettivi neppure depositati in
allegato al ricorso per cassazione, come prescritto, a pena di improcedibilità,
dall’art. 369, comma 1 n. 4 cod. proc. civ.,
della ulteriore tesi sviluppata dalla parte ricorrente intesa a denunziare la
errata interpretazione della disciplina collettiva sotto il profilo della
esistenza, all’epoca della stipula del contratto individuale, di una volontà
contraria delle parti sociali venuta meno solo con la stipula del contratto
collettivo 2017.
3. A tanto consegue il rigetto del ricorso.
4. La assoluta novità della questione trattata
giustifica la compensazione delle spese di lite.
5. Sussistono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 bis dello stesso art.13
( Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.