Il licenziamento disciplinare determinato dalla negligenza della dipendente va valutato alla luce del dovere di diligenza e del disvalore ambientale della condotta.
Nota a Cass. 2 ottobre 2019, n. 24619
Andrej Evangelista
Con specifico riferimento al requisito della proporzionalità della sanzione disciplinare, per stabilire se sussiste la giusta causa di licenziamento il giudice di merito è tenuto ad accertare in concreto se, “in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d’opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava”, la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro (Cass. n. 12798/2018).
Lo ribadisce la Corte di Cassazione (2 ottobre 2019, n. 24619, difforme da App. Genova n. 114/2018) relativamente al licenziamento disciplinare per abuso di potere di una lavoratrice (venditrice nel settore abbigliamento) che si era ripetutamente assentata dal negozio senza autorizzazione ed aveva: 1) introdotto nel negozio una sarta di fiducia e si era fatta confezionare un abito identico a un modello in vendita; 2) svolto telefonicamente attività di cartomanzia in orario di lavoro; 3) messo da parte e occultato capi di abbigliamento e altri oggetti destinati alla vendita; 4) indossato capi destinati alla vendita durante l’orario di lavoro; 5) reiteratamente “rimproverato e mortificato le colleghe a lei sottoposte, in qualità di gerente del punto vendita, in particolare non prestando soccorso a una commessa che si era sentita male, rivolgendole offese e ancora costringendo due colleghe, che stavano consumando il pranzo sul tavolo del magazzino, a mangiare su di un cartone appoggiato sul pavimento”.
Secondo la Cassazione, la Corte territoriale aveva omesso la specifica e concreta valutazione dei fatti, senza esaminare puntualmente e ricostruire i singoli fatti oggetto di addebito in sede disciplinare, e si era limitata a concludere la loro disamina con la mera affermazione, per la quale essi non erano comunque “di tale gravità, nel loro complesso, da giustificare il licenziamento”.
Più specificamente, il giudice di merito non aveva considerato:
a) oltre alla molteplicità dei fatti ascritti, il ruolo della lavoratrice, gerente del punto vendita, e le connesse responsabilità tanto sul piano di un più intenso obbligo di diligenza (soggettiva), come del dovere di comportamenti tali da costituire positivi riferimenti per i propri sottoposti;
b) la necessità di valutare la condotta della lavoratrice anche alla luce della diligenza (oggettiva) ossia del “disvalore ambientale” che la stessa assume quando, in virtù della posizione professionale rivestita, può assurgere per gli altri dipendenti dell’impresa a modello diseducativo e disincentivante dal rispetto degli obblighi connessi al rapporto di lavoro (v. Cass. n. 17208/2002).