Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 14 novembre 2019, n. 29674
Plurimi contratti a termine, Applicazione al rapporto
indeterminato “ricostruito” del regime orario del primo contratto a termine,
Stipula dei successivi contratti non incide sulla già intervenuta
trasformazione del rapporto, Esclusa la prova di una novazione ovvero di una
risoluzione anche tacita del medesimo
Rilevato che
la Corte d’appello di L’Aquila, in parziale riforma
della sentenza del locale Tribunale, ha dichiarato la conversione dei plurimi
contratti a termine in un unico contratto a tempo indeterminato intercorrente
fra G.C. e l’Azienda Farmaceutica Municipalizzata dell’Aquila (AFM s.p.a.),
applicando, al rapporto “ricostruito” il regime orario del primo contratto
a termine stipulato nel 2005 il quale riportava, tra le condizioni
contrattuali, un regime di orario part time di 7,5 ore settimanali, là dove i
successivi contratti a termine prevedevano un orario superiore di 18 ore
settimanali;
la Corte territoriale, in particolare, ha ancorato
la statuizione di conversione alla declaratoria di nullità del termine apposto
al primo dei contratti stipulati, assumendo le condizioni contrattuali
contenute in quest’ultimo quale parametro di riferimento per determinare le
modalità di svolgimento del rapporto (nella specie l’orario di lavoro part time
di 7,5 ore settimanali) e dichiarando che ogni doglianza nei confronti dei
successivi contratti a termine rimaneva assorbita in virtù dell’accertata
unicità del rapporto di lavoro in contestazione;
la cassazione della sentenza è domandata da G.C.
sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria; l’Azienda
Farmaceutica Municipalizzata dell’Aquila (AFM s.p.a.) resiste con tempestivo
controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., la
ricorrente deduce “Omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio”; la sentenza gravata non avrebbe valorizzato il riferimento,
nella sentenza di primo grado all’ultima retribuzione globale di fatto
percepita dalla lavoratrice; qualora avesse provveduto a ciò, avrebbe dovuto
valutare che le parti avevano pattuito un orario contrattuale di almeno 18 ore
settimanali;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ.,
contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art.
2909 cod. civ. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti”; la Corte d’appello ha
pronunciato basandosi su una interpretazione della volontà delle parti, senza
esprimersi sulla portata del giudicato di prime cure, il quale aveva reputato
fondata la domanda della lavoratrice riconoscendo la conversione del contratto
e condannando l’AFM s.p.a. a riammetterla in servizio a decorrere dalla data
della sentenza (9/01/2013) con contratto part time di 18 ore settimanali,
secondo quanto risultante dall’ultimo contratto a termine dichiarato nullo;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 cod. proc. civ., contesta
“Violazione degli artt. 1418 – 1419 cod. civ. e dell’art. 1 D.Lgs. 368/01 –
Violazione art. 2909 cod. civ.”; la Corte
d’appello non avrebbe considerato che il primo giudice, dichiarando la nullità
parziale di tutti i contratti a termine, aveva implicitamente ritenuto valide
le altre clausole relative alle condizioni contrattuali (compresa quella
sull’orario settimanale) e la reintegra avrebbe dovuto perciò avvenire alle
ultime condizioni concordate dalle parti;
i motivi, esaminati congiuntamente per connessione,
non meritano accoglimento; essi si appuntano sul contenuto della sentenza di
prime cure, così come interpretato da parte ricorrente; i motivi mancano di
specificità, non essendo stata prodotta, né trascritta nel ricorso per
cassazione la motivazione resa dal Tribunale dell’Aquila, dal cui contenuto
tutte le doglianze traggono origine;
il terzo motivo è poi in particolare inammissibile
anche per contrarietà al principio di diritto espresso da questa Corte in cui
si afferma che “In presenza di una pluralità di contratti a tempo
determinato, qualora il primo contratto della serie sia dichiarato illegittimo,
con conseguente trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo
indeterminato, la stipulazione dei successivi contratti non incide sulla già
intervenuta trasformazione del rapporto, salva la prova di una novazione ovvero
di una risoluzione anche tacita del medesimo, sicché, una volta accertata con
sentenza passata in giudicato la sussistenza tra le parti di un rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato, ogni successiva stipulazione di
contratti a termine intervenuta “medio tempore”, così come il
contenzioso giudiziale pendente relativo ad essi, non può incidere su detto
accertamento.” (cfr. Cass. n. 5714 del 2018);
nel parametrare il rapporto di lavoro a tempo
indeterminato “ricostruito” alle condizioni contrattuali del primo
dei contratti dichiarati illegittimi, al fine della verifica della corretta
esecuzione dell’ordine di reintegra, la Corte territoriale ha dato attuazione
al principio di diritto espresso da questa Corte, con cui si è inteso
“sterilizzare” gli effetti delle statuizioni contrattuali intervenute
nel corso della reiterata serie di rinnovi derivanti dal contratto originario
dichiarato illegittimo, a meno che non venisse provata la novazione ovvero la
risoluzione dello stesso, il che è stato espressamente escluso, nel caso in
esame, dal giudice dell’appello (p. 3 sent.);
in definitiva, il ricorso va dichiarato
inammissibile; le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono
la soccombenza;
in considerazione dell’esito del giudizio,
sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in
Euro 200 per esborsi, Euro 1500 a titolo di compensi professionali in favore
della controricorrente, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per
cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R.
n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.