Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 novembre 2019, n. 29756

Omissione concessione ai lavoratori dipendenti del giorno di
riposo settimanale, Sanzioni amministrative, lnterpretazione e la valutazione
del materiale probatorio

Rilevato che

con sentenza 19 giugno 2014, la Corte d’appello di
Ancona rigettava l’appello proposto da E.D.M. e A. s.a.s. di E.D.M. & C.
avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva rigettato l’opposizione
all’ordinanza della Direzione territoriale del lavoro di Ancona che le aveva
ingiunto il pagamento di sanzioni amministrative per omissione di concessione
ai lavoratori dipendenti, negli anni 2006 e 2007, del giorno di riposo
settimanale prescritto dall’art. 9
d.Ig. 66/2003 e di registrazione di giornate lavorative nei periodi da
agosto 2005 a dicembre 2006 e da gennaio a giugno 2007; avverso tale sentenza
E.D.M. e A. s.a.s. (ora) di P.P. & C. ricorrevano per cassazione con unico
motivo, cui resisteva il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali –
Direzione territoriale del lavoro di Ancona con controricorso;

 

Considerato che

 

1. le ricorrenti deducono violazione e falsa
applicazione degli artt. 113, 116 c.p.c. ed omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per
erronea valutazione giudiziale dei testi assunti in ordine all’effettiva
risultanza della presenza di lavoratori dipendenti di A. s.a.s. all’interno del
cantiere della sua committente F. s.p.a. e per ragioni esclusive di prestazione
lavorativa, con irrilevanza probatoria dei tabulati provenienti dalla suddetta
società committente e inversione di fatto del relativo onere (unico motivo);

2. esso è inammissibile;

2.1. non si configura, infatti, la violazione delle
norme di legge denunciate, in difetto dei requisiti propri (Cass. 31 maggio
2006, n. 12984; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 26 giugno 2013, n.
16038), non ricorrendo la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del
provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di
legge, necessariamente implicante un problema interpretativo della stessa, che
non sia mediato, come invece nel caso di specie, dalla contestata valutazione
delle risultanze di causa, riservata alla tipica valutazione del giudice di
merito (Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 12 ottobre 2017, n. 24054);

2.2. in particolare, non sussiste la violazione
dell’art. 116 c.p.c., che è norma che sancisce,
salva diversa previsione legale, il principio di libera valutazione delle
prove, idonea ad integrare vizio di error in procedendo solo quando il giudice
di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente
prevista, ovvero all’opposto valuti secondo prudente apprezzamento una prova o
risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. 10 giugno 2016, n.
11892); né è conferente la deduzione di violazione dell’art. 113 c.p.c.;

2.3. in ogni caso, sono riservate al giudice del
merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la
scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento,
con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso
probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il
giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato,
diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. 28 gennaio 2004, n. 1554;
Cass. 10 giugno 2014, n. 13054); e così pure l’esame dei documenti esibiti e
delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle
risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e
sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie
emergenze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la
motivazione, in quanto apprezzamenti di fatto riservati al predetto, il quale,
nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con
esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le
ragioni del proprio convincimento (come appunto dalla Corte territoriale per le
ragioni esposte ai p.ti 2 e 3 di pgg. da 3 a 5 della sentenza, senza alcun vizio
logico inficiante il complessivo ragionamento probatorio), non dovendo egli
discutere ogni singolo elemento o confutare tutte le deduzioni difensive,
avendosi per implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che,
sebbene non menzionati specificamente, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata (Cass. 21 luglio 2010, n. 17097; Cass. 2 agosto 2016, n.
16056; Cass. 31 luglio 2017, n. 19011);

2.4. in realtà, il mezzo involge piuttosto una
sostanziale contestazione della valutazione probatoria alla base
dell’accertamento operato dalla Corte territoriale, adeguatamente argomentato,
insindacabile da questa Corte (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre
2011, n. 27197; Cass. 4 novembre 2013, n. 24679), con la sostanziale istanza di
una rivalutazione critica nel merito, indeferibile in sede di legittimità;

2.5. infine, l’esplicita deduzione di un vizio di
motivazione no stregua del novellato art. 360,
primo comma, n. 5 c.p.c., la cui riformulazione deve essere interpretata,
alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art.
12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Sicché, è denunciabile in cassazione
solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti daI testo della sentenza impugnata,
a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si
esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto
irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione
perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza
del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10
febbraio 2015, n. 2498; Cass. 26 9iugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015,
n. 21439);

3. pertanto il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile, con la regolazione delle spese di giudizio secondo il regime di
soccombenza e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella
ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass.
s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna parti
ricorrenti alla rifusione, in favore del Ministero controricorrente, delle
spese del giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali,
oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma
1 bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.

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