Il dirigente medico che sostituisca un dirigente di struttura complessa non ha diritto al trattamento accessorio del sostituito.
Nota a Cass. 18 ottobre 2019, n. 26618
Maria Novella Bettini
La sostituzione nell’incarico di dirigente medico del servizio sanitario nazionale (in base art. 18 del c.c.n.l. dirigenza medica e veterinaria 8 giugno 2000) “non si configura come svolgimento di mansioni superiori poiché avviene nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria, sicché non trova applicazione l’art. 2103 cod. civ. e al sostituto non spetta il trattamento accessorio del sostituito ma solo la prevista indennità cd. sostitutiva, senza che rilevi, in senso contrario, la prosecuzione dell’incarico oltre il termine di sei mesi (o di dodici se prorogato) per l’espletamento della procedura per la copertura del posto vacante, dovendosi considerare adeguatamente remunerativa l’indennità sostitutiva specificamente prevista dalla disciplina collettiva e, quindi, inapplicabile l’art. 36 Cost.”.
Questo, il principio ribadito dalla Corte di Cassazione 18 ottobre 2019, n. 26618 (difforme da App. Palermo 18 novembre 2013, n. 2178 ed in linea con Cass. nn. 3483/2019; 30912/2018 e 28243/2018).
I giudici di merito avevano accolto la domanda proposta da un dirigente medico nei confronti dell’Azienda sanitaria provinciale di Trapani ed avevano riconosciuto in suo favore il trattamento economico, previsto dalla contrattazione collettiva per il dirigente di struttura complessa, in relazione allo svolgimento delle mansioni di responsabile del “Servizio Sanità Pubblica Epidemiologia e Medicina Preventiva” in sostituzione del titolare, collocato a riposo. Ciò, ritenendo che, nell’ipotesi di sostituzione protratta continuativamente per un periodo superiore ai dodici mesi (art. 18, co. 7, c.c.n.l. 8 giugno 2000), spettasse al sostituto (in applicazione dell’art. 36 Cost.), non la titolarità giuridica dell’incarico, bensì l’intero trattamento previsto per il sostituito, nella specie, quello di dirigente di struttura complessa.
Diversamente, la Cassazione, precisato che l’attuale assetto normativo e contrattuale non consente di estendere ai dirigenti in generale ed alla dirigenza medica in particolare, norme e principi che regolano il rapporto di lavoro non dirigenziale, afferma che:
a) a tale dirigenza non è applicabile l’art. 2103 c.c. (v. art. 19, D.LGS. n. 165/2001) in ragione delle “peculiarità proprie della qualifica dirigenziale” che, nel vigente quadro legislativo, “non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato”;
b) per gli stessi motivi, non è applicabile al rapporto dirigenziale l’art. 52, D.LGS. n. 165/2001, riferibile solo al personale che non riveste la qualifica di dirigente (al quale è, invece, riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del capo II);
c) la dirigenza sanitaria, invece, è inserita “in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello” (art. 15, D.LGS. n. 502/1992);
d) l’impossibilità giuridica di applicare la disciplina dettata dall’art. 2103 c.c. è ribadita dall’art. 15 ter, D.LGS. n. 502/1992, nonché dall’art. 28, co. 7, c.c.n.l. 8 giugno 2000, secondo cui “nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse le aziende tengono conto … che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali non si applica l’art. 2103, comma 1, del cod. civ.”;
e) la contrattazione collettiva, che ha il compito di determinare il trattamento retributivo del personale con qualifica dirigenziale, correlandolo, quanto al trattamento accessorio, alle funzioni attribuite, fissa il principio di onnicomprensività, stabilendo che il trattamento medesimo “remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa” (art. 24, D.LGS. n. 165/2001);
f) in particolare, in materia di sostituzioni (ai sensi dell’art. 18, co. 6, c.c.n.l. 8 giugno 2000) si è anzitutto ribadito (in linea con l’art. 15 ter, co. 5, D.LGS. n. 502/1992) che “le sostituzioni…non si configurano come mansioni superiori in quanto avvengono nell’ambito del ruolo e livello unico della dirigenza sanitaria”. Si è così prevista una speciale indennità, da corrispondersi “solo in caso di sostituzioni protrattesi oltre sessanta giorni, rapportata al livello di complessità della struttura diretta”;
g) nello specifico (ex art. 18, co. 4, cit.): 1) sebbene sia vero che, qualora la necessità della sostituzione sorga come conseguenza della cessazione del rapporto di lavoro del dirigente interessato, e, quindi, della vacanza della funzione dirigenziale, la stessa è consentita per il tempo strettamente necessario all’espletamento delle procedure concorsuali e può avere la durata di mesi sei, prorogabili a dodici; 2) tale previsione svolge soltanto una “funzione sollecitatoria” ed il suo mancato rispetto non legittima la rivendicazione dell’intero trattamento economico spettante al dirigente sostituito; rivendicazione che, unitamente al richiamato principio di onnicomprensività, esclude qualsiasi titolo sul quale la pretesa possa essere fondata;
h) l’interpretazione proposta non contrasta con il principio di non discriminazione fissato dalla clausola 4 dell’accordo quadro CES, UNICE e CEEP allegato alla direttiva 1999/70/CE. Tale principio, infatti, “può essere invocato dagli assunti a tempo determinato qualora agli stessi vengano riservate condizioni di impiego meno favorevoli rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili. Il rapporto dirigenziale in questione esula, infatti, “dall’ambito di applicazione della direttiva perché non si può confondere il contratto di conferimento dell’incarico dirigenziale con il rapporto di servizio, che comporta l’accesso alla qualifica dirigenziale e che è a tempo indeterminato: il primo è in effetti a termine, ma necessariamente è tale, in quanto l’attuale sistema è caratterizzato dalla temporaneità degli incarichi, la cui scadenza, però, non fa venir meno il rapporto di lavoro con l’ente, che resta disciplinato dall’originario contratto di servizio a tempo indeterminato anche nell’ipotesi in cui al dirigente venga assegnato, anziché un ufficio dirigenziale, un incarico di consulenza, di studio, di ricerca o, per la dirigenza medica, di natura professionale e di alta specializzazione” (in tal senso, v. Cass. n. 21565/2018).