Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 novembre 2019, n. 30064

Rapporto di agenzia, Chiusura del rapporto, Indennità
sostitutiva del preavviso, Indennità per il patto di non concorrenza e di
indennità suppletiva di clientela

 

Rilevato che

 

1. Il Tribunale di Palermo, in funzione di Giudice
del lavoro, decidendo in merito a due controversie riunite instaurate da G.A.
nei confronti della s.p.a. (…) (S.), condannava quest’ultima a versare al
ricorrente, a chiusura del rapporto di agenzia intercorso tra le parti dal 6
ottobre 2000 al 17 ottobre 2005, la complessiva somma di euro 14.710,33
comprensiva di accessori calcolati fino al 1° luglio 2012, a titolo di
indennità per il patto di non concorrenza e di indennità suppletiva di
clientela; preso atto della rinuncia espressa in corso di causa all’indennità
di cessazione del rapporto ex articolo 1751 cod.
civ., rigettava le altre domande proposte dall’A., osservando:

a) quanto all’indennità sostitutiva del preavviso,
che essa non spettava, ostandovi la lettera di disdetta del 15 ottobre 2005 con
la quale la società C.S. s.p.a., poi incorporata in S., nel recedere dal
rapporto di agenzia, aveva fissato al 17 aprile 2006 la data di cessazione del
rapporto, con ciò osservando il termine di preavviso semestrale dettato dalla
contrattazione di categoria;

b) quanto alle differenze per provvigioni relative
agli anni 2004 e 2005, che le variazioni tariffarie comunicate dalla SER,
ancorché non formalmente concordate, erano state di fatto accettate dall’A. che
nulla aveva opposto, almeno fino al 25 marzo 2005, circa la difformità tra
quanto liquidato e quanto inizialmente pattuito;

c) quanto all’importo riconosciuto quale indennità
per il patto di non concorrenza, che era corretta la determinazione aziendale
di parametrare l’importo all’importo di tre mensilità della media delle
provvigioni dell’ultimo quinquennio, non essendovi prova della anteriorità del
rapporto commerciale rispetto al contratto stipulato il 6 ottobre 2000.

2. Tale sentenza di primo grado veniva impugnata dal
solo A. in ordine ai tre capi per i quali la domanda non aveva trovato
accoglimento.

2.1. La Corte di appello di Palermo respingeva i
motivi di gravame sulla base dei seguenti argomenti:

a) la tesi dell’appellante secondo cui il recesso
comunicato dalla S. doveva essere retrodatato in ragione del fatto che la
decisione di quest’ultima di avocare a sé la gestione degli affari costituiva
inadempimento e così aveva “sterilizzato” l’efficacia del termine
semestrale di preavviso, non teneva conto del fatto che la preponente aveva
dato corso al regolare pagamento delle provvigioni maturate nel periodo di
preavviso senza che l’A. avesse ritenuto di azionare, a fronte del ritenuto
inadempimento di controparte, la legittima facoltà di recesso, con ciò
dimostrando un comportamento ambivalente, non coerente con la dedotta causa
risolutiva per fatto e colpa della preponente; come già ritenuto dal primo
giudice, le modalità del recesso della preponente non dimostravano un comportamento
idoneo ad annullare l’efficacia del concesso termine di preavviso;

b) quanto all’indennità di non concorrenza, la tesi
dell’appellante di voler commisurare la stessa alla durata ultraventennale del
rapporto non aveva trovato adeguato riscontro probatorio, non potendo essere
validamente utilizzata la lettera del 19 aprile 1999, non tempestivamente
versata in causa e per di più riferibile ad un soggetto formalmente diverso
(C.A.S. s.p.a.) da quello convenuto in giudizio;

c) quanto alla riduzione tariffaria, era
condivisibile quanto ritenuto dal primo giudice secondo cui vi era stato un
comportamento concludente dell’agente per la novazione tacita dell’accordo
implicante la riduzione delle percentuali.

3. Per la cassazione di tale sentenza G.A. ha proposto
ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito la s.p.a. SER con controricorso
e ricorso incidentale affidato a due motivi.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380-bis, 1 cod. proc. civ. (inserito dall’art. 1, lett. f, del D.L. 31 agosto
2016, n. 168, conv. in L. n. 25 ottobre 2016,
n. 197).

 

Considerato che

 

1. Il primo motivo denuncia “nullità della
sentenza per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati
oggetto di discussione tra le parti (art. 360,
primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) e per omessa motivazione (art. 340, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) –
violazione e falsa applicazione degli artt. 1743
e 1748 cod. civ. (art.
360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.) per non avere la Corte di appello
riconosciuto il diritto del A. all’indennità sostitutiva del preavviso”.

Si censura la sentenza per avere la Corte di appello
erroneamente ritenuto che durante il semestre compreso tra il 17 ottobre 2005 e
17 aprile 2006 la società preponente avesse pagato le provvigioni al
ricorrente, mentre di tale pagamento non vi era alcuna prova in giudizio.

2. Con il secondo motivo si denuncia “nullità
della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti (art.
360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) e omessa motivazione (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) –
violazione dell’art. 14 degli A.E.C. del 2002 per il settore industria (art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.) per
non avere la Corte di appello correttamente quantificato l’indennità per
violazione del patto di non concorrenza spettante all’A.”

Assume il ricorrente l’erroneità di non avere
considerato, a prescindere dalla nota del 19 aprile 1999, la circostanza che
nel contratto di agenzia stipulato il 7 ottobre 2000 si era dato atto che il
rapporto costituiva prosecuzione del rapporto di agenzia già in essere tra la
C.S. s.p.a. e l’A. medesimo.

3. Con il terzo motivo si denuncia “nullità
della sentenza per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è
stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360
primo comma n. 5 cod. proc. civ.) e omessa motivazione (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.) per
non avere la Corte di appello riconosciuto il diritto del A. alla
corresponsione da parte della S. s.p.a. delle differenze tra le provvigioni effettivamente
corrisposte e quelle maggiori spettanti secondo le aliquote di cui al contratto
di agenzia in essere tra le parti”.

Quanto alle provvigioni erogate negli anni 2004 e
2005, si denuncia il mancato esame del contratto di agenzia che, all’art. 11,
aveva previsto che solo di comune accordo le parti avrebbero potuto apportare
variazioni al rapporto e che dunque la sentenza aveva omesso di considerare la
mancata accettazione espressa delle modifiche contrattuali da parte del
ricorrente.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la S.
s.p.a. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art.
345, primo comma, cod. proc. civ. e dell’art.
437, secondo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.
(nullità della sentenza).

Si deduce che nella comparsa di costituzione e
risposta in appello la società aveva eccepito l’inammissibilità, perché domanda
nuova – tardivamente formulata da controparte nelle note autorizzate in primo
grado, sulla quale non era stato accettato il contraddittorio, dell’assunto
della giusta causa per fatto e colpa imputabile alla preponente in relazione
alla lettera del 16 novembre 2005.

5. Con il secondo motivo si denuncia violazione e
falsa applicazione dell’art. 345, primo e terzo
comma, cod. proc. civ. e dell’art. 437, secondo
comma, cod. proc. civ. in relazione all’art.
360, primo comma, n. 4 c.p.c. (nullità della sentenza).

Si deduce che la Corte territoriale non aveva
pronunciato in ordine all’eccezione di novità, e quindi di inammissibilità, del
motivo di appello svolto dall’A. in merito alla circostanza che egli avrebbe
avuto, all’epoca, un’anzianità ultraventennale in quanto già agente della
C.A.S..

6. Il ricorso principale è inammissibile per diverse
e concorrenti ragioni.

7. In via preliminare, va ribadito il principio per
cui l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza
costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali
diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche
se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame
separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al
giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al
fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere
su di esse (Cass. n. 26790 del 2018; v. pure Cass. n. 7009 del 2017). Tale
orientamento trae origine da S.U. n. 9100 del 2015,
secondo cui, in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo
motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe
potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé,
ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai
fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di
cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se
necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si
sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente
numerati.

7.1. Nel caso di specie, il tenore del ricorso non
offre elementi che consentano di distinguere, all’interno di ciascun motivo,
censure precisamente riferibili ad ognuna delle categorie previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ..

8. Sotto altro profilo, va osservato che, quanto
alle censure che attengono a contestazioni di merito circa l’interpretazione
che la sentenza impugnata ha dato del materiale probatorio, opera la previsione
d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348-ter, comma 5, cod. proc. civ., che
esclude che possa essere impugnata ex art. 360,
primo comma, n. 5 cod. proc. civ. la sentenza di appello “che conferma
la decisione di primo grado”. Tale disposizione si applica, agli effetti dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del
2012, conv. in I. n. 134 del 2012, ai giudizi
di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata
richiesta la notificazione successivamente all’ 11 settembre 2012.

8.1. Nel caso in esame, il ricorso in appello venne
proposto nel 2013, per cui tale disposizione trova applicazione. I tre motivi,
nella parte in cui censurano la sentenza per omesso esame di fatti decisivi per
il giudizio (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.),
investono la soluzione di merito che la Corte di appello ha espresso condividendo
integralmente e ribadendo la valutazione del giudice di primo grado. In parte
qua, i tre motivi di censura sono dunque, anche per tale concorrente ragione,
inammissibili.

9. Quanto alla censura, formulata cumulativamente,
per error in procedendo, nullità della sentenza (art.
360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.), va ribadito in questa sede che la
differenza fra l’omessa pronuncia di cui all’art.
112 cod. proc. civ. e l’omessa motivazione su un punto decisivo della
controversia di cui all’art. 360, primo comma, n.
5, cod. proc. civ., si coglie nel senso che, mentre nella prima l’omesso
esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa (e,
quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della
“domanda” di appello), nella seconda ipotesi l’attività di esame del
giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o
l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato
una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su
un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (Cass.
n. 1539 del 2018, n. 25761 del 2014, n. 25714 del 2014).

9.2. All’evidenza, la sentenza non ha omesso di
esaminare e pronunciare in ordine ai capi di domanda oggetto di riproposizione
in appello.

10. Anche il ricorso incidentale (benché tempestivo)
è inammissibile, poiché in entrambe le sue proposizioni attiene ad eccezioni
preliminari che riferiscono a capi della domanda dell’A. respinti dalla Corte
territoriale e che vedono la S. vittoriosa in appello.

11. Anche a volere considerare il ricorso
incidentale come condizionato, va ribadito che nel giudizio di cassazione, è
inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte
vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste
assorbite, ancorché in virtù del principio cd. della tali questioni, in caso di
accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al
giudice di rinvio (Cass. n. 19503 del 2018).

12. In conclusione, entrambi i ricorsi, principale
ed incidentale, vanno dichiarati inammissibili, con compensazione delle spese,
stante la reciproca soccombenza.

13. Va dato atto della sussistenza dei presupposti
processuali (inammissibilità di entrambi i ricorsi) per il versamento, da parte
sia del ricorrente principale, sia della ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R.
30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale e per
il ricorso incidentale, a norma del comma
1 – bis dello stesso art. 13 (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibili sia il ricorso principale sia
il ricorso incidentale. Compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo é titolo di contributo unificato pari a quello, ove
dovuto, per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 19 novembre 2019, n. 30064
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