Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 novembre 2019, n. 29090
Diverbio, Colluttazione, Difesa dall’aggressione subita,
Licenziamento, Sproporzione della sanzione irrogata- Indennità risarcitoria
Fatti di causa
1. La Corte di appello di L’Aquila decidendo sui
reclami proposti dal C. s.p.a. e da C. A. li ha rigettati entrambi confermando
la sentenza del Tribunale di Avezzano del 19.9.2017 che a sua volta aveva
rigettato le opposizioni avverso l’ordinanza della fase sommaria che aveva
ritenuto illegittimo, perché sproporzionato, il licenziamento intimato dalla C.
s.p.a. al C. e, risolto il rapporto, aveva condannato la società al pagamento
di una indennità risarcitoria quantificata in 24 mensilità dell’ultima
retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che il fatto
addebitato al C. era sussistente, che il diverbio con il S. era effettivamente
degenerato in una colluttazione nel corso della quale entrambe le parti avevano
riportato lesioni. Ha escluso che il C. si fosse limitato a difendersi per
contenere l’aggressione del collega, il quale, anzi, era stato sovrastato dalla
sua forza fisica e ne aveva riportato gravissime lesioni. Ha evidenziato che il
C. aveva utilizzato modi non consoni con il suo livello di inquadramento nella
qualifica di quadro. Ha escluso che la vicenda configurasse una vera e propria
rissa ed ha ritenuto che fosse configurabile, piuttosto, un diverbio litigioso
sfociato in vie di fatto, avuto riguardo alla breve durata, all’agevole
sedazione da parte di una sola persona ed all’assenza di colpi violenti. In
definitiva il giudice di appello, pur tenendo ferma la valutazione della
condotta cui era addivenuto il Tribunale, ha valutato sia il superiore
inquadramento del C., coordinatore amministrativo, sia, per altro verso, la
circostanza che questi si era difeso dall’aggressione subita, seppure scaturita
da una sua provocazione e conclusivamente ha ritenuto sproporzionata la
sanzione irrogata.
3. Per la cassazione della sentenza ricorrono sia il
C. sia il C.. Il primo articola quattro
motivi mentre il C. ne formula due. Oppone difese al ricorso del C. il C.
s.p.a. che propone anche ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno
depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod.
proc. civ.
Ragioni della decisione
4. Con il primo motivo di ricorso il C. ha
denunciato, in relazione all’art. 360 primo comma
n. 5 cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
oggetto di discussione tra le parti.
4.1. Sostiene C. che la sentenza della Corte di
appello, nel ritenere sproporzionata la sanzione in relazione alla condotta
accertata ha trascurato di considerare che al contrario il comportamento
tenuto, quale risultato provate nel corso dell’istruttoria svolta, era grave e
giustificava, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, un
recesso dal rapporto per giusta causa o, quanto meno, per giustificato motivo
soggettivo ai sensi dell’art. 21 del c.c.n.I. Federgas – Acqua, allegato in
giudizio sin dal primo grado , il quale contempla il licenziamento con
preavviso nei riguardi di chi provochi e/o partecipi a rissa sul luogo di
lavoro ovvero in luoghi di pertinenza aziendale.
5. Con il secondo motivo di ricorso, poi, censura la
sentenza per avere, ancora una volta, con omesso esame di un fatto decisivo per
il giudizio, trascurato di valutare la gravità della condotta e la sua
incidenza sul rapporto fiduciario in considerazione dell’ampio risalto che
l’accaduto aveva avuto in azienda e sulla stampa locale. Osserva che la gravità
della condotta andava parametrata alla qualifica di quadro rivestita dal
lavoratore. Contesta poi che il C. si fosse difeso da una aggressione e
sottolinea che con la sua reazione aveva provocato gravi lesioni all’altro
lavoratore. Evidenzia che, anche in relazione ai futili motivi da cui era
scaturita la lite, si doveva ritenere che si trattava di una condotta grave,
contraria al vivere civile, che l’art. 21 n. 6 del c.c.n.I. di categoria
punisce con il licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
6. Con il terzo motivo di ricorso, poi, denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 21 sub 6 del c.c.n.I. del settore
Gas-Acqua e deduce che la Corte territoriale sarebbe incorsa nella denunciata
violazione nell’escludere che i fatti accertati fossero sussumibili nella
nozione di rissa contemplata dalla disposizione collettiva e non avrebbe tenuto
conto del fatto che entrambi i dipendenti hanno subito un lungo periodo di
assenza e che si è verificato un grave turbamento della tranquillità
nell’ambiente di lavoro con alterazione della regolarità del pacifico ed
ordinato svolgersi della vita collettiva all’interno di esso.
7. Le censure, che possono essere trattate
congiuntamente, sono in parte inammissibili e comunque infondate.
7.1. Occorre premettere, con riguardo a tutte e tre
le doglianze formulate, che, in disparte la circostanza che il contratto non è
allegato al ricorso per cassazione e che non è dato sapere se in primo grado era
stato depositato un estratto o quello integrale, il che già di per sé configura
una violazione dell’art. 369 secondo comma n. 4
cod. proc. civ., in ogni caso dal ricorso non si evince se la violazione
del contratto collettivo era stata richiamata nella contestazione di addebito,
sicché, per tale aspetto, la censura non è sufficientemente specifica. Dalla
sentenza si evince solo che il C. aveva dedotto che si sarebbe trattato di
diverbio seguito da vie di fatto che è punito dal c.c.n.I. con una sanzione
conservativa. Non è dato comprendere se in realtà la contestazione di addebito
aveva riguardato, come sembra sostenere il ricorrente C., la fattispecie più
grave punita dal contratto con il licenziamento. In mancanza di specifiche
allegazioni sul punto il Collegio non è in grado di verificare se,
effettivamente, la Corte sia incorsa nelle omesse valutazioni di fatti decisivi
denunciate con il primo e con il secondo motivo di ricorso.
7.2. Con riguardo al secondo motivo va poi aggiunto
che in realtà, diversamente da quanto affermato nella censura, la Corte di
merito ha proprio preso in esame tutte le circostanze riportate nel motivo di
ricorso e, in esito ad una attenta valutazione delle stesse, è pervenuta alla
qualificazione della condotta come diverbio litigioso sfociato in vie di fatto
e perciò ne ha escluso la sanzionabilità con il licenziamento.
7.3. Si tratta di ricostruzione dei fatti che, non
solo non incorre nella omessa valutazione di fatti decisivi denunciata, ma inoltre
è coerente con le acquisizioni istruttorie ed in linea con i principi dettati
da questa Corte in tema di valutazione della proporzionalità della sanzione che
è affidata al giudice di merito (cfr. Cass.
17/10/2018 n. 26010, 13/02/2012 n. 2013). Va rammentato poi che in tema di
licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e
recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la
fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto
pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la
potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le
concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura
correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione
degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza, spetta al
giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla
base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni
aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e
sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto
di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata
dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al
grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di
attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse
sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo. Anche qualora si
riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie
tipizzata contrattualmente – il giudice è tenuto a valutare la legittimità e
congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della
vicenda, con giudizio che, se sorretto da adeguata e logica motivazione, è
incensurabile in sede di legittimità (cfr. Cass. ult. cit.).
7.4. A tali principi si è attenuta la Corte
territoriale che ha individuato i tratti caratteristici della condotta tenuta
dal C. e non solo ha escluso che gli stessi, per come si erano svolti, fossero
riconducibili alla fattispecie astratta del delitto di rissa ma ha del pari
evidenziato che il diverbio, poi trasmodato in vie di fatto, era stato
agevolmente sedato con l’intervento di una sola persona, che il C. era stato
aggredito dall’altro dipendente e si era perciò difeso e, nel valutare tutti
gli elementi a sua disposizione, ha valorizzato la circostanza che il
lavoratore aggredito era dipendente da lungo tempo della società ( dal 1997) e
che non era mai stato soggetto ad alcun procedimento disciplinare. In tale
contesto, perciò, la Corte ha ridimensionato la gravità della condotta ed ha
escluso che la stessa fosse idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo
fiduciario con il datore di lavoro.
8. Vanno quindi esaminate le censure formulate dal
C. con il suo ricorso successivo e quelle contenute nel ricorso incidentale
proposto dal C. s.p.a. contestualmente alle difese opposte al ricorso del C..
Il ricorso incidentale di C. s.p.a. va dichiarato inammissibile.
8.1. Va infatti ribadito che la proposizione del
ricorso principale in cassazione determina la consumazione del diritto di
impugnazione con la conseguenza che il ricorrente, ricevuta la notificazione
del ricorso proposto dall’altra parte non può introdurre nuovi e diversi motivi
di censura, come intende fare il C.A.M. s.p.a. con il suo ricorso incidentale .
Il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile pur restando
valutabile, nei limiti in cui sia rivolto a contrastare l’impugnazione
avversaria, come controricorso ( cfr. Cass. 22/02/2012 n. 2568 e già Cass. n.
24219 del 2006 e 15407 del 2000 ed anche Cass. 16/05/2016 n. 9993).
8.2. Le censure formulate con il ricorso proposto da
A. C., che denunciano in relazione all’art. 360
primo comma n. 4 e n. 3 cod. proc. civ. la violazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ.
(primo motivo) e sempre in relazione all’art. 360
primo comma nn. 3, 4 e 5 cod. proc.civ. la violazione dell’art. 18 comma 4 della legge n. 300 del 20 maggio 1970
e ss. mm. (secondo motivo) sono anch’esse in parte inammissibili e comunque
infondate.
8.3. Va rammentato che l’art. 18, comma 4, dello
Statuto dei lavoratori, nel testo riformulato dall’art. 1, comma 42 della legge n. 92
del 28 giugno 2012 e ratione temporis applicabile alla presente
fattispecie, prescrive che il giudice disponga la reintegrazione nel posto di
lavoro “nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del
giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di
lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra
tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle
previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari
applicabili”. E’ stato perciò ritenuto da questa Corte che la tutela
reintegratoria attenuata sia applicabile in presenza di una valutazione di non
proporzionalità attraverso il parametro della riconducibilità della condotta
accertata ad una ipotesi punita con sanzione conservativa dalla contrattazione
collettiva (cfr. Cass. 28/01/2019 n. 2288 e 14/12/2018 n. 32500).
8.4. Nel caso in esame la Corte di merito, con
accertamento di fatto in questa sede incensurabile ha qualificato la condotta
ricostruendola in termini di diverbio litigioso seguito da vie di fatto e, come
si è rilevato in replica alle censure formulate dalla C.A.M. s.p.a., ha calato
la condotta nel contesto complessivo in cui si è realizzata ed ha verificato
che tenendo conto del profilo soggettivo del lavoratore, non si era verificata
una lesione del vincolo fiduciario che potesse giustificare l’irrogazione della
massima sanzione espulsiva.
8.5. Dalla valutazione del giudice di appello esula
del tutto una parametrazione della condotta a comportamenti sanzionati dalla
contrattazione collettiva con una sanzione conservativa. Il giudizio è espresso
con riferimento alla sussumibilità del comportamento nella previsione astratta
dell’art. 2119 cod.civ. e dell’art. 3 della legge n. 604 del 15
luglio 1966.
8.6. Ne consegue che le censure si risolvono nella
richiesta di una diversa valutazione dei fatti che non è consentita a questa
Corte la quale vede il sindacato sulla motivazione della sentenza limitato alle
ipotesi dettate dal nuovo testo dell’art. 360 primo
comma n. 5 cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli
atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne
consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il
ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato
oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte Cass.
Sez. U. 07/04/2014 n. 8053).
9. L’ultimo motivo (4°) del ricorso proposto da C.
s.p.a. – con il quale è denunciata, in relazione all’art.
360 primo comma n. 3 cod. proc.civ. la violazione e falsa applicazione
dell’art. 18 comma 5 dello Statuto avendo la Corte trascurato di motivare in
relazione alla misura dell’indennità – è anch’esso infondato. Come questa Corte
ha avuto modo di osservare, in materia di sindacato di legittimità sulla misura
dell’indennità risarcitoria la determinazione, operata dal giudice di merito,
tra il minimo ed il massimo è censurabile solo in caso di motivazione assente,
illogica o contraddittoria (cfr. Cass. 08/06/2006
n. 13380, 22/01/2014 n. 1320). Non risulta
viziata quindi la sentenza di merito che, in carenza di deduzioni difensive
specifiche che ne giustificassero una liquidazione superiore o inferiore, che
nella specie non emergono dalla lettura della censura riprodotta nel ricorso,
abbia confermato sul punto la statuizione di primo grado.
10. In conclusione, per le ragioni sopra esposte, va
dichiarato inammissibile il ricorso incidentale proposto da C. s.p.a. e devono
essere rigettati i ricorsi principale di C. s.p.a. e quello successivo del C..
L’esito del giudizio giustifica la compensazione tra le parti delle spese
mentre entrambi i ricorrenti sono tenuti, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi a norma dell’art.13
comma 1 bis del citato d.P.R.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale di C.s.p.a. ed il
ricorso proposto da A. C. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto
da C. s.p.a.. Compensa tra le parti le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi a norma
dell’art.13 comma 1 bis del
citato d.P.R.