Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2019, n. 30073
I.N.P.D.A.P., C.C.N.L. di diritto privato per i dipendenti di
proprietari di fabbricati, Mansioni, Mansioni effettivamente svolte,
Differenze retributive, Disciplina dell’impiego pubblico privatizzato
Fatti di causa
1. F.P. fu assunta dall’I.N.P.D.A.P., nel febbraio
1999, con contratto che prevedeva lo svolgimento di mansioni di portiere di
stabili e l’applicazione del C.C.N.L. di diritto privato per i dipendenti di
proprietari di fabbricati.
Essa, adducendo di non essere mai stata addetta al
portierato di stabili di proprietà dell’ente, ma di avere svolto mansioni di
ausiliario di amministrazione presso gli uffici del medesimo, chiedeva il
riconoscimento delle differenze retributive tra quanto corrisposto e quanto
previsto per le mansioni effettivamente svolte e ciò per il periodo
dall’assunzione al 31.12.2003, data in cui vi era stato il suo inquadramento
nei ruoli della convenuta secondo la disciplina dell’impiego pubblico privatizzato.
2. La domanda, accolta in primo grado con
riconoscimento del trattamento proprio del personale inquadrato nella categoria
Al del C.C.N.L. inerente i rapporti di impiego pubblico privatizzato con agli
enti pubblici non economici, veniva invece respinta della Corte d’Appello di
Roma.
La Corte di merito, affermando che l’escussione dei
testi avesse ampiamente provato come la ricorrente, già assegnata a mansioni di
portiere, fosse stata poi adibita a mansioni di ausiliario di amministrazione,
riteneva, sulla base della ricostruzione dell’iter normativo riguardante i
portieri degli immobili dagli enti previdenziali, la legittimità del
trattamento privatistico ricevuto dalla lavoratrice.
3. La P. ha proposto ricorso per cassazione sulla
base di tre motivi, resistiti da controricorso dell’I.N.P.S., subentrato ex
lege all’I.N.P.D.A.P. ed entrambe le parti hanno infine depositato memoria
illustrative.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente ha affermato,
richiamando in rubrica l’art. 360 n. 5 c.p.c.,
la natura apparente della motivazione assunta dal giudice di appello, in quanto
carente di spiegazioni sulla ragione per cui si era ritenuto che essa fosse
stata già adibita a mansioni di portierato e solo successivamente avesse svolto
mansioni di ausiliario di amministrazione, a differenza di quanto ritenuto dal
giudice di prime cure, secondo il quale dopo l’assunzione ed in difformità da
quanto previsto dal contratto la P. era stata fin da subito avviata all’attività
ausiliaria predetta.
Con il secondo motivo la P., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., denuncia la violazione della
L. 388/2000 e della contrattazione collettiva,
sostenendo che nei suoi confronti non poteva applicarsi l’art. 43, co. 19, L. 388/2000, in
quanto relativo ai rapporti di chi fosse stato effettivamente adibito a
mansioni di portierato, mentre essa aveva svolto sempre mansioni di ausiliaria
di amministrazione.
Infine, con il terzo motivo, la ricorrente,
richiamando sempre l’art. 360 n. 3 c.p.c.,
sostiene la violazione della contrattazione collettiva e dell’art. 36 Cost., in quanto, avendo essa svolto
mansioni diverse da quelle per le quali essa era stata pagata, la Corte,
qualora non avesse inteso attribuirle la retribuzione di ausiliaria
amministrativa di cui al C.C.N.L. degli enti pubblici non economici, riconosciuta
dal datore di lavoro solo dal 31.12.2003, avrebbe dovuto accertare la
retribuzione, peraltro ancora maggiore, a lei spettante sulla base di un
corretto inquadramento secondo lo stesso C.C.N.L. di diritto privato applicato
dal datore di lavoro al contratto in questione.
2. Il secondo e terzo motivo, stante la loro
connessione, possono essere esaminati congiuntamente.
3. In proposito, è consolidato l’orientamento di
questa Corte secondo cui, pur dopo la privatizzazione del pubblico impiego, non
è impedita la stipula di contratti di lavoro con la P.A. destinati ad essere
regolati dalla sola disciplina privatistica e non dalla normativa generale, da
ultimo contenuta nel d. Igs. 165/2001.
Ciò è ammesso quando vi sia una norma che lo preveda
(v. Cass., S.U., 15 aprile 2010, n. 8985) ipotesi che anzi, ove sussistente,
anche dopo la contrattualizzazione dell’impiego pubblico non consente una
diversa qualificazione del rapporto stesso, in ipotesi sviluppata valorizzando
la natura del datore di lavoro e lo stabile inserimento nell’organizzazione
amministrativa dell’ente, perché risulta essere prevalente, rispetto a detti
criteri, la definizione normativa (da ultimo Cass. 22 novembre 2018, n. 30271;
in precedenza, Cass., S.U., 8985/2010 cit.; Cass., S.U., 24 novembre 2009, n.
24670).
Al contempo si è altresì precisato che la disciplina
generale sulla privatizzazione del pubblico impiego (qui da riferire al d. Igs. 29/1993 ed al d.Igs.
165/2001) può non essere applicata allorquando i rapporti di lavoro –
ritenuti afferire a casi «marginali e sostanzialmente anomali» – siano
intrattenuti per ragioni non riconducibili alle specifiche finalità
istituzionali dell’ente interessato (Cass. 27 giugno 2007 n. 14809).
Tutti i casi predetti possono essere riportati al
pubblico impiego (v., proprio con riferimento ai portieri degli enti
previdenziali, ai fini del riparto di giurisdizione a favore del giudice
amministrativo secondo le regole dell’epoca, tra le molte, Cass., S.U., 28
novembre 1990, n. 11459), ma si caratterizzano per l’eccezionale destinazione
ad un regolamento negoziale di stampo esclusivamente privatistico (v., sempre
rispetto ai portieri, Cass. 22 aprile 2010, n.
9555, che ha ritenuto il rapporto a tempo determinato di pubblico impiego
ma soggetto a disciplina secondo le regole del rapporto privato, tra cui la
conversione a tempo indeterminato).
La vicenda oggetto di causa si inserisce
coerentemente in tale quadro di fondo, in quanto la sottrazione della
disciplina a quella propria dei rapporti di lavoro con l’ente pubblico di
riferimento fu ab origine impostata dall’art. 51 d.p.r. 411/1976, secondo cui
la disciplina del rapporto di lavoro pubblico, nell’ambito qui interessato del
c.d. parastato, non si applicava «ai dipendenti con rapporto di lavoro regolato
da contratti collettivi di diritto privato e instaurato per lo svolgimento di
attività privatistiche dell’ente o per servizi di istituto del tutto
peculiari».
3.1 Vi è però necessità di definire che cosa accada,
rispetto ai rapporti di lavoro così instaurati, se, dopo l’assunzione, segua
(fin dall’inizio o in corso di rapporto) l’adibizione a mansioni diverse da
quelle per le quali vi fu l’eccezionale instaurazione in forme privatistiche ed
in particolare se vi sia assegnazione a compiti inerenti all’attività
amministrativa tipica dell’ente pubblico considerato.
In proposito va intanto detto che il rapporto di
pubblico impiego privatizzato, di cui al d. Igs. 29/1993 e 165/2001, sorge in stretta relazione tra una
dotazione organica (art. 4
d. Igs. 165/2001, già art. 6
d. Igs. 29/1993) e lo svolgimento di procedure concorsuali o selettive (art. 35 d. Igs. 165/2001,
già art. 36 d. Igs. 29/1993),
secondo una dinamica indirizzata al perseguimento degli scopi istituzionali dei
diversi enti e quindi tendenzialmente destinata a rimanere estranea alle
ipotesi eccezionali qui in esame.
Affinché un rapporto instaurato nelle forme
esclusivamente privatistiche possa evolversi in un rapporto tipico di pubblico
impiego privatizzato, non è dunque sufficiente che, di fatto, vi sia
svolgimento di mansioni inerenti all’attività amministrativa propria dell’ente
di riferimento, occorrendo quanto meno una previsione normativa che disponga in
tal senso, anche in ragione dell’eventuale assenza di un originario concorso o
selezione pubblica ed in linea con la previsione dell’art. 97, u.c. ultima parte Cost.
3.2 Nel caso dei contratti di diritto privato di chi
sia stato assunto come portiere di un ente previdenziale, tale previsione
normativa è da ravvisare nell’art.
43, co. 19, L. 388/2000, secondo cui «I lavoratori, già dipendenti degli enti
previdenziali, addetti al servizio di portierato o di custodia e vigilanza
degli immobili che vengono dismessi, di proprietà degli enti previdenziali,
restano alle dipendenze dell’ente medesimo».
Tale norma, prevedendo la prosecuzione dei rapporti
di lavoro instaurati in forme esclusivamente privatistiche, pur con
l’adibizione a mansioni diverse e dunque attinenti all’attività amministrativa
propria dell’ente datore di lavoro, comporta il fuoriuscire dei rapporti stessi
dall’ambito di quel riferimento ad attività «privatistiche dell’ente o servizi
di istituto del tutto peculiari» che, come detto, ai sensi dell’art. 51 d.p.r.
411/1976, caratterizzava le eccezionali ipotesi di contratti di caratura
esclusivamente civilistica.
Poiché non vi è dubbio che la disciplina del lavoro
pubblico privatizzato, di cui al d.lgs. 29/1993
ed al d. Igs. 165/2001, costituisca /ex
generalis, l’effetto dell’assegnazione ex lege a mansioni proprie dell’attività
amministrativa tipica dell’ente di riferimento porta naturalmente con sé la
corrispondente trasformazione del rapporto di lavoro, che resta dunque
ricondotto alle forme comuni dell’impiego pubblico privatizzato.
Pertanto, anche la successiva aggiunta apportata
all’art. 43, co. 19, cit. dall’art. 7, co. 4, L. 3/2003, secondo
cui «si applica quanto disposto dagli artt. 33 e 34 del d. Igs. 20
marzo 2001, n. 165», costituisce precisazione normativa di uno sviluppo già
insito nella pregressa disposizione dell’art. 43 nella originaria
formulazione.
Il riferimento della norma agli «addetti al servizio
di portierato» ed al fatto della dismissione degli immobili, quale ragione
della permanenza in servizio, non può escludere peraltro che gli effetti così
delineati si verifichino anche rispetto a chi, già all’epoca non più addetto a
quelle mansioni, fosse tuttavia titolare di un rapporto stipulato per il
portierato ed in forme di diritto privato.
Orienta verso tale interpretazione estensiva sia il
fatto che anche in tali casi si è di fronte all’allontanamento delle mansioni
concrete da quelle rispetto alle quali eccezionalmente si è addivenuti
all’utilizzazione del contratto privatistico, sia la comune ratio diretta al
mantenimento in servizio dei titolari di contratti civilistici di portierato in
sé non più utili come tali per la P.A., a fortiori sussistente nei casi di chi
già prima, seppure assunto in quelle forme, fosse stato poi adibito ad altre
mansioni.
I rapporti instaurati con contratti di portierato,
comunque svoltisi nel corso del tempo, a partire dall’entrata in vigore dell’art. 43, co. 19, cit., sono dunque
divenuti a tutti gli effetti rapporti di pubblico impiego privatizzato, con
applicazione consequenziale di ogni previsione, anche retributiva, ad esso
inerente.
3.3 Si pone peraltro il problema di stabilire se lo
svolgimento di mansioni diverse e relative all’attività amministrativa, dopo
l’assunzione per l’attività di portierato e prima della menzionata
trasformazione a tutti gli effetti in rapporti tipici di pubblico impiego
privatizzato, comporti viceversa effetti sotto il profilo del trattamento
retributivo rivendicato in causa dalla odierna ricorrente.
In proposito va detto che l’eccezionalità di un
impiego pubblico regolato da disciplina esclusivamente privatistica,
giustificato esclusivamente dalla funzionalità rispetto ad attività estranee
alle specifiche finalità istituzionali dell’ente interessato, ha quale
conseguenza l’illegittimità dell’assegnazione di mansioni che siano viceversa
proprie di tali finalità tipiche.
L’effetto di tale illegittimità è poi quello di
comportare, in parte qua ed in ragione del disposto dell’art. 2126 c.c., l’applicazione, a tutela del
lavoratore, del trattamento retributivo proprio delle mansioni quali
concretamente svolte, secondo la disciplina propria del rapporto entro cui la
corrispondente attività di lavoro dovrebbe trovare inquadramento.
Pertanto, il rapporto, pur proseguendo nella matrice
civilistica sua propria, impone, nei periodi in cui le mansioni svolte siano
quelli proprie dell’attività funzionali alle tipiche finalità istituzionali
dell’ente, il riconoscimento del trattamento retributivo di cui al C.C.N.L.
degli enti pubblici non economici, secondo l’inquadramento corrispondente al
lavoro quale in concreto svolto.
4. Da quanto sopra deriva l’infondatezza del secondo
motivo, in quanto deve ritenersi che alla P. si dovesse applicare l’art. 43, co. 19, cit., ma al
contempo la fondatezza del terzo motivo e ciò in quanto è corretto l’assunto di
fondo della ricorrente in ordine all’illegittima incoerenza tra mansioni
assegnate e retribuzioni corrisposte, erroneamente avallata dalla Corte di
merito.
5. La sentenza impugnata, essendosi discostata dai
principi quali sopra ricostruiti, va dunque cassata, con rinvio alla medesima
Corte territoriale, in diversa composizione, la quale riconoscerà i diritti
retributivi rivendicati per effetto della trasformazione del rapporto di lavoro
che consegue al disposto dell’art.
43, co. 19, L. 388/2000 e valuterà inoltre se, prima di tale
trasformazione, vi sia stato svolgimento di attività lavorative afferenti alle
finalità istituzionali tipiche dell’ente e diverse da quelle di portierato
contemplate nel contratto di assunzione, riconoscendo, in caso positivo, le
differenze retributive maturate rispetto all’inquadramento cui la ricorrente
avrebbe avuto diritto ove il rapporto fosse stato regolato dal d. Igs. 29/1993, applicabile ratione temporis.
6. Il primo motivo, relativo alla ricostruzione in
fatto svolta dalla Corte territoriale, resta assorbito, in quanto la
valutazione di diritto sulla base dei principi qui espressi comporterà
necessariamente una nuova e più precisa valutazione, nei termini sopra detti,
anche dei fatti storici rilevanti, non avendo la Corte di merito appurato, come
invece è necessario, quando vi sia stata la (pur riconosciuta) adibizione della
P. alle mansioni di ausiliario di amministrazione.
7. Va altresì stabilito il seguente principio: «lo
svolgimento, da parte dei portieri degli enti previdenziali assunti con
contratto di diritto privato assoggettato alla disciplina del C.C.N.L. dei
dipendenti da proprietari di fabbricati, di mansioni diverse da quelle di
portierato e da riportare ad attività proprie della funzione amministrativa
dell’ente di appartenenza non comporta in sé la trasformazione del vincolo in
un rapporto di impiego pubblico privatizzato di cui al d.lgs. 29/1993 ed al d.lgs.
165/2001, che si verifica solo quale effetto ex lege in esito al
sopravvenire dell’art. 43, co. 19,
L. 388/2000, ma fa sorgere, ai sensi dell’art.
2126 c.c., il diritto del lavoratore a percepire, per il periodo di
concreto ed effettivo svolgimento di quelle diverse mansioni, il trattamento
retributivo proprio del C.C.N.L. inerente agli enti pubblici non economici».
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, nei sensi di cui in
motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma,
in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del
giudizio di legittimità.